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Ripartire dalla solidarietà? Una sfida per il presente
Nel discorso di insediamento di martedì il presidente Mattarella ha sottolineato la necessità che il Paese e l’Unione Europea si aprano a politiche più solidali. A parlare, in questo richiamo a istanze di carattere solidaristico, non era solo la cultura politica di provenienza del neopresidente. Quello della solidarietà, infatti, è un concetto che nel dibattito contemporaneo sembra avere riguadagnato una centralità che sembrava smarrita. Tra i lemmi più sfumati del lessico politico occidentale, è un principio che ha conosciuto fortune alterne nel corso degli ultimi tre secoli, e che in tempi di crisi come quelli correnti riguadagna un rinnovato slancio.
Un po’ di storia
Se pensiamo alla triade di concetti (libertà, uguaglianza, fraternità) che ha segnato l’esperienza politica dell’Europa post-rivoluzionaria, l’idea di solidarietà (la fraternità cara a Marat) è senz’altro quella più trascurata dai disegni delle ideologie politiche otto-novecentesche. A dare una forma concettualmente ordinata al principio solidaristico, uno dei concetti fondativi della modernità, erano state nel maturo Ottocento la scienza sociologica francese (Emil Durkheim e Leon Bourgeois), la teoria politica tedesca (Heinrich Pesch, Gustav Gundlach, Oswald Nell-Breuning) e la dottrina sociale della Chiesa, in cui l’idea di solidarietà rappresentava il fondamento stesso dell’economia politica declinata nei termini del cattolicesimo sociale.
Ma cosa ne è stato della solidarietà come ideologia politica capace di produrre una nuova rappresentazione leggi tutto
Effetto Kolinda. Il ritorno della destra a Zagabria agita i Balcani
Il dodici gennaio, Zagabria e la Croazia si svegliavano con una nuova presidente della repubblica: Kolinda Grabar-Kitarović, candidata del partito di centrodestra HDZ, conquistava la più alta carica per una manciata di voti di scarto (32.435, per un 50,74% totale), sloggiando dal palazzo del Pantovčak il presidente uscente, il socialdemocratico Ivo Josipović.
La vittoria della Grabar-Kitarović è venuta un po’ a sorpresa, visti i risultati del primo turno in cui Josipović era arrivato in testa. Invece, da una parte questi non è riuscito ad assicurarsi il sostegno di una parte degli elettori che avevano dato la propria preferenza al 24enne Ivan Vilibor Sinčić, candidato della sinistra col suo movimento “Živi zid” (Muro vivente) contro gli sfratti. E dall’altra parte Josipović è rimasto nelle menti degli elettori croati legato alla debole performance del governo socialdemocratico di Zoran Milanović, considerato responsabile dello stato di crisi economica in cui versa il paese adriatico.
Appena eletta, Grabar-Kitarović leggi tutto
La Grecia mette l’euro di fronte ad un bivio
Il ribaltone greco con la vittoria di Tsipras e il nuovo governo che intende rinegoziare il debito pubblico pongono l’euro e l’Europa di fronte ad un bivio storico che costituirà una sorta di spartiacque tra due grandi fasi dell’integrazione continentale. Una prima fase fatta di grandi progetti istituzionali che hanno portato ad una aggregazione di entità distinte sempre più vicine ma senza sostanziali vincoli di cooperazione e solidarietà. E una seconda fase, che potrebbe vedere o l’ introduzione di principi di maggiore condivisione ed omogeneità istituzionale oppure un repentino regresso ad un’Europa delle nazioni divisa in forme per ora imprevedibili ma certamente politicamente orientate a ridurre il processo di integrazione intrapreso negli ultimi 60 anni. La posta in gioco è molto alta. I timori dei mercati si sono già materializzati rendendo ormai insostenibile il debito pubblico greco grazie ad una salita degli spread che ha portato i tassi d’interesse a livelli impossibili. I commenti e l’attenzione da parte del mondo anglosassone sembrano dirci che in queste settimane seguite al voto greco si gioca il destino dell’euro. E probabilmente hanno ragione. E’ l’Europa pronta a raccogliere la sfida che viene dai mercati e dal voto greco per andare avanti o si avviterà su perniciose polemiche nazionali che la riporteranno indietro a decenni apparentemente morti e sepolti? leggi tutto
La Germania e l’Europa. I primi segnali e le ragioni del cambiamento
Ci sono buone ragioni per ritenere che anche la Germania possa rispondere alla crescente domanda di cambiamento, a dispetto della contestata rigidità tedesca sulla politica europea. Anzi, l’impressione è che proprio in Europa il governo tedesco abbia iniziato a mutare atteggiamento, per quanto tale cambiamento possa risultare impercettibile a uno sguardo superficiale. Il modo in cui i media (soprattutto quelli tedeschi) hanno raccontato le ultime decisioni europee non aiutano a cogliere le novità provenienti da Berlino. Il programma di investimenti strategici di Jean Claude Juncker, la maggiore flessibilità nell’applicazione dei vincoli finanziari europei annunciata dalla Commissione europea e soprattutto la nuova politica monetaria espansiva varata dalla Banca centrale europea, infatti, sono state presentate per lo più come misure imposte alla Germania contro la sua volontà. Al riguardo, è singolare che nessuno si sia chiesto come mai le istituzioni europee, che fino a qualche poco tempo fa venivano tacciate di essere eccessivamente sensibili alle preferenze tedesche, abbiano improvvisamente potuto adottare provvedimenti contrari alla linea dell’austerità. In realtà, parlare di decisioni europee subite dalla Germania non solo è riduttivo ma è anche fuorviante. Gli ultimi provvedimenti adottati dalle istituzioni sovranazionali segnalano un’inequivocabile, ancorché parziale, presa di distanza dalla linea rigorista finora dettata dalla Germania leggi tutto
Parigi gennaio 2015: la linea sottile tra emergenza e quotidianità
I tragici eventi che hanno sconvolto la Francia ad inizio gennaio e le successive risposte dei principali protagonisti politici segnano un tornante nella lunga crisi che attanaglia il Paese perlomeno dall’inizio del XXI secolo? Se di reale tornante ed effettiva cesura sia lecito parlare, sarà solo il tempo a confermarlo o a smentirlo. L’impressione di una qualche forma di discontinuità è però più che evidente.
La prima riguarda il presidente della Repubblica. François Hollande, a metà del deludente mandato che lo ha condotto ad essere l’inquilino dell’Eliseo meno gradito della Quinta Repubblica, sembra avere a disposizione una “seconda chance”. Nelle tragiche giornate del 7-9 gennaio, poi in quella “mitica” dell’11 e nel corso delle varie commemorazioni per le vittime, Hollande ha sfoggiato un “percorso netto”. Ha di volta in volta trovato il giusto tono e la necessaria determinazione. Di fronte all’evento “straordinario” ha insomma contraddetto i suoi critici: ha mostrato cioè di poter essere all’altezza del ruolo. Il Paese in questa complicata congiuntura ha avuto, per la prima volta dal maggio 2012, l’impressione di poter contare su un presidente. È vero che il +21% del suo livello di popolarità dovrà superare la prova del tempo, ma oltre l’80% dei cittadini ha approvato ogni singolo intervento di Hollande nella gestione della crisi. È un dato emblematico per un Paese che ha visto il suo presidente svolgere al meglio le due principali funzioni che Costituzione formale e materiale gli attribuiscono: decidere e rassembler. leggi tutto
Aria nuova in Grecia. E in Europa?
I risultati delle politiche greche di domenica hanno visto lo schieramento di sinistra Syriza guidato da Alexis Tsipras conquistare il 36,34% dei voti e 149 deputati sui 300 del Parlamento greco superando di quasi dieci punti percentuali Nuova democrazia che, con il 27,81% dei voti e 76 deputati, si attesta come primo partito di opposizione. Al terzo posto il partito ultra-nazionalista e filo-nazista di Alba dorata che raccoglie il 6,28% dei consensi mandano in Parlamento 17 deputati nonostante che la sua leadership sia da tempo agli arresti con varie pesanti accuse tra cui quella di essere un'organizzazione criminale. Assieme ad Alba dorata al terzo posto si colloca To potami (6,05% e 17 deputati). Quest'ultimo è guidato dal giornalista lifestyle Stavros Theodorakis ed è una creazione politica recente e per vari aspetti anomala: non si dichiara né di sinistra né di destra dal momento che il suo obiettivo sarebbe quello di cambiare tutto il sistema politico greco ed è sostenuta massicciamente dai principali media privati che hanno concesso larghissimi spazi a Theodorakis in campagna elettorale. Dal canto suo Theodorakis ha giustificato l'assenza di un chiaro programma politico con il fatto che il suo è un partito che va oltre i classici e tradizionali schemi. To potami è sostenuto dalla media borghesia e dalle professioni e sembra più un soggetto leggi tutto
Ultimo atto del semestre italiano sottotono, ma con finale a sorpresa
Gli attacchi terroristici di Parigi e le dimissioni di Napolitano hanno oscurato molte notizie che in circostanze diverse avrebbero probabilmente ricevuto maggiore attenzione dai media italiani. La chiusura del semestre europeo di presidenza italiana è una di queste. A onor del vero, l’ultima giornata del semestre italiano non ha offerto uno spettacolo particolarmente gratificante, a cominciare dall’immagine dell’aula semivuota del Parlamento di Strasburgo in cui Matteo Renzi ha tenuto il suo discorso, per finire con lo «scambio di cortesie» tra il Presidente del Consiglio e il leader della Lega Nord. Approfittando del palcoscenico europeo, l’europarlamentare Matteo Salvini ha duramente attaccato l’operato del governo Renzi, beccandosi per tutta risposta dell’ignorante e del populista.
Chi ha buona memoria ricorderà che anche l’inaugurazione del semestre italiano era stata contrassegnata da un acceso scontro dialettico. Sei mesi fa a criticare il Presidente del Consiglio italiano era stato il neoeletto capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber, il quale aveva contestato la richiesta italiana di una maggiore flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità, esprimendo inoltre forti dubbi sulla credibilità progettuale e attuativa del governo italiano rispetto alle tante riforme che erano state annunciate da Renzi. Il Presidente del Consiglio aveva replicato piccato che l’Italia non prendeva lezioni da nessuno, leggi tutto
Una via venezuelana per la Spagna democratica?
In vista delle prossime elezioni di novembre, il tradizionale bipartitismo spagnolo è minacciato dalla crescita di almeno due nuovi partiti rilevanti a scala nazionale. Uno di questi, Podemos (“possiamo”, in spagnolo), è un partito-movimento che invoca misure economiche radicali e una rigenerazione democratica che ripulisca le istituzioni dai corrotti. Potrebbe Podemos, fautore di un messaggio demagogico e populista, rappresentare una sostanziale via venezuelana per la Spagna democratica? La risposta è almeno in parte sì.
Negli ultimi anni la politica spagnola è stata scossa da due spinte destabilizzanti. Da un lato gli indignados, che hanno prima criticato Zapatero e il sistema rappresentativo, per poi proporre di «assaltare» il Parlamento. Dall’altro i regionalismi, e in particolare quello catalano, che, dentro e fuori la Spagna, hanno cercato di gettare una cattiva immagine sul paese iberico per legittimare i loro progetti indipendentisti.
Tanto per gli uni come per gli altri la vittoria del Partito popolare di Mariano Rajoy nel 2011 rappresentò una fonte di frustruazione. La protesta degli indignados dalle piazze si spostò alla rete e, di lí, alla televisióne. Questa massa critica, trasversale per età e classe sociale, trovò più tardi in un gruppo di giovani politologi ed esperti di comunicazione la sua «élite mediatica e più concretamente televisiva» di riferimento, per dirla con i sociologi Luis García Tojar e Antón R. Castromil. leggi tutto
Dalla Svizzera una boccata d’ossigeno per le banche centrali (per la BCE) e per l’Italia
La Svizzera ha abbandonato il cambio fisso con l’euro a 1.20 e i mercati hanno immediatamente fatto apprezzare il cambio del franco di quasi il 40% in un solo giorno. Una mossa imprevista nei tempi ma non del tutto inattesa. Un manovra con molti effetti e significati di rilievo per tutte le banche centrali e in special modo per la nostra tentennante BCE. Diversi operatori dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti al Giappone dovranno leccarsi ferite profonde per questa mossa improvvisa della banca centrale a causa di enormi perdite su posizioni speculative errate. Le conseguenze di questo non sono ancora valutabili ma potrebbero indebolire fortemente qualche operatore bancario globale. In una congiuntura come quella che stiamo vivendo soprattutto in Europa questo potrebbe apparire piuttosto negativo. Ma in realtà la mossa della banca federale elvetica è positiva per molti aspetti che superano di gran lunga le ferite inferte ad alcuni operatori sui cambi. In primis si restituisce alla banca centrale la capacità e il potere di leadership nei mercati dei cambi. E questo serve alla BCE. Dopo anni di manipolazioni dei cambi da parte di grandi banche private globali, dopo anni di banche centrali che sembravano tapine impotenti di fronte alla subissante speculazione apparentemente soverchiante e impossibile da contrastare scopriamo che le banche centrali possono per fortuna muoversi con forza e infliggere perdite ingenti agli operatori di mercato che hanno scorazzato per anni senza trovare mai una adeguata resistenza. leggi tutto
Parigi val bene una riflessione su noi stessi
Impressionante la manifestazione di Parigi. Esaltante il milione e più di "Je suis Charlie"; ma quale insegnamento trarne? Penso nessuno ritenga che quell'unità indichi una generale unità di intenti. A me pare sia una comune rivendicazione della libertà di scontrarsi su una miriade di questioni politiche, etiche, culturali. Il che va bene. James Madison, uno dei grandissimi della Rivoluzione americana, scrisse che se si spegne lo scontro fra fazioni diverse si spegne la libertà, che la libertà vive nel dissenso non nel consenso. Ottimo, è uno dei principi base dell'illuminismo. La libertà umana è scontro. La libertà non è un assoluto con un significato univoco, non scende dall'iperuranio, è storia e neppure storia progressiva, in cammino verso più alti destini. E' mutamento, un susseguirsi di contesti che variano per una ridda di miliardi di variabili e lì, nel mutare dei contesti, si colloca una minima variabile, ciascuno di noi, la nostra volontà di smuovere qualcosa.
Da qualche generazione la civiltà a cui apparteniamo - e che non è una, ma un ammasso di storie confliggenti - ha trovato nel termine libertà il suo luogo di confronto, la sua utopia e per le tante varianti di questa utopia ha versato sangue e sangue e sangue. Nel 1989, credette di aver vinto, di essere giunta alla fine della storia come scrisse improvvidamente Francis Fukuyama. Quell'affermazione era in realtà l'ultima e più presuntuosa espressione dell'egemonia bianca che gli europei esausti avevano ceduto agli Stati Uniti affinché fossero loro a portarla avanti, ad assimilare il mondo a "noi" con strumenti più raffinati del colonialismo. leggi tutto