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19 aprile 2025
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Argomenti

Addio al “Modello Germania”? Se lo dice “Der Spiegel”…

Giovanni Bernardini - 27.09.2014

C’era una volta … “un Re!”, diranno i lettori. Molto più modestamente, c’era una volta il “Modello Germania”. Espressione che per la verità ha assunto connotazioni differenti nel corso degli anni: nell’immediato dopoguerra l’etichetta comprendeva l’insieme di relazioni industriali innovative (la cosiddetta “Mibestimmung”, o coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’azienda), una formazione professionale diversificata, e più in generale la stretta collaborazione tra industria, finanza e politica al fine di promuovere il benessere collettivo. In seguito, quando la Repubblica Federale sembrò attraversare pressoché indenne la crisi economica generale degli anni ’70, l’espressione “Modello Germania” indicava soprattutto la condotta moderata delle organizzazioni sindacali, che moderavano le loro richieste salariali fornendo così un aiuto significativo all’intero sistema economico nazionale. Infine, le politiche di riforma del welfare e del mercato del lavoro promosse dal governo rosso-verde al tornante del millennio furono presentate come un necessario e salutare aggiornamento del “Modello Germania” ai tempi nuovi della globalizzazione. Si trattava dell’ambiziosa “Agenda 2010” promossa dal Cancelliere Schroeder tra il 2003 e il 2005, periodo in cui le sinistre moderate erano al governo in più parti del continente leggi tutto

Un duello tra deboli?

Michele Marchi - 23.09.2014

Tra il 18 e il 21 settembre la politica francese ha effettuato la sua vera rentrée. Prima la quarta conferenza stampa del quinquennato di Hollande, importante perché successiva al rimpasto di governo di fine agosto e alla pubblicazione del velenoso volume dell’ex compagna Valérie Trierweiler. A stretto giro, tra il 19 e il 21, l’ufficializzazione del ritorno sulla scena politica dell’ex presidente Sarkozy. Per molti osservatori è ufficialmente partita la campagna per le presidenziali del 2017. In realtà è presto per dire se Hollande e Sarkozy saranno davvero tra i candidati del 2017 e, ancora più azzardato, pronosticare un ballottaggio tra i due. Al momento si può rilevare che, ripresentandosi uno di fronte all’altro come nella passata campagna elettorale, i due non hanno nascosto le loro debolezze.

 

Hollande, il “non presidente”


Per quanto riguarda Hollande la sua conferenza stampa non è stata, in assoluto, negativa. In fondo non bisogna dimenticare che ci si trovava di fronte al presidente meno gradito della storia della Quinta Repubblica, alla guida di un Paese in difficoltà economico-finanziarie e socialmente e moralmente allo strenuo delle forze. Hollande ha “tenuto” e ha ribadito la sua intenzione di essere presidente sino alla fine (sottointeso del mandato). Non ha però potuto nascondere le sue quattro grandi mancanze. leggi tutto

Il Regno Unito è salvo: il NO degli scozzesi all'indipendenza

Giulia Guazzaloca - 20.09.2014

Il Regno Unito è salvo

 

«Il popolo della Scozia ha scelto l’unità», ha commentato soddisfatto Alistair Darling, presidente del comitato «Better Toghether»; e in molti, non solo in Gran Bretagna, possono tirare un sospiro di sollievo. Con un’affluenza altissima, oltre l’85% degli aventi diritto, il risultato del referendum è stato netto: il 55% degli scozzesi ha optato per il mantenimento dell’unione, per non interrompere una storia iniziata oltre tre secoli fa.

Si prevedeva un duello all’ultimo voto, dopo la rimonta sorprendente degli indipendentisti dello Scottish National Party guidati da Alex Salmond, ma alla fine la vittoria del «no» si è imposta con un distacco di dieci punti percentuali. Fra le grandi città solo Glasgow, l’area metropolitana più popolosa, si è schierata a favore l’indipendenza con il 53,5% di «sì». In attesa che i dati elettorali vengano scorporati e analizzati, si può ritenere che la vittoria degli unionisti sia dipesa tanto dai timori degli scozzesi per il «salto nel buio» che avrebbe comportato l’indipendenza, quanto dall’agguerrita, a tratti minacciosa, campagna del potente schieramento anti-secessione. Quest’ultimo, sostenuto anche dalle grandi istituzioni internazionali e dai leader dei paesi europei, raccoglieva infatti i tre maggiori partiti, banche, colossi industriali, magnati della stampa; persino la regina leggi tutto

Cosa resterà di queste nomine europee

Lorenzo Ferrari * - 20.09.2014

Nella storia dell'Unione europea non era mai successo che un capo di governo in carica di uno dei principali paesi europei si dimettesse per andare a ricoprire un incarico a Bruxelles. Jacques Santer e José Manuel Barroso si dimisero da capi di governo per andare a presiedere la Commissione europea – ma c'è una grossa differenza tra il rinunciare al governo del Lussemburgo e il rinunciare al governo della Polonia, soprattutto in una fase così delicata per l'Europa centro-orientale come quella attuale. In passato, era più frequente assistere a fenomeni opposti, come quando commissari europei di peso lasciavano Bruxelles per andare ad assumere incarichi a livello nazionale, come fece Franco Frattini nel 2008 (o ancora più clamorosamente Franco Maria Malfatti nel 1972).

Se Donald Tusk ha rinunciato alla guida del suo paese, è probabile che non lo abbia fatto per andare a svolgere funzioni ornamentali a Bruxelles, né solo per beneficiare del migliore trattamento economico previsto dal suo nuovo incarico. Piuttosto è lecito attendersi che Tusk intenda invece sfruttare pienamente l'incarico europeo, affermandone i poteri, l'influenza e la visibilità molto più di quanto non abbia voluto o potuto fare Herman Van Rompuy nei cinque anni scorsi. Di conseguenza, è possibile immaginare un sostanziale rafforzamento della figura del presidente del Consiglio europeo nei prossimi anni. leggi tutto

L’Alternativa per la Germania: l’opposizione tedesca alla Merkel di cui è meglio non parlare

Gabriele D'Ottavio - 18.09.2014

La principale novità emersa dagli ultimi appuntamenti elettorali in Germania è il rilevante ingresso sulla scena politica di un nuovo partito. Si tratta di Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland-AfD), sorta nel febbraio 2013 su iniziativa di un gruppo di economisti guidato da un professore di Amburgo, Bernd Lucke. Alle politiche del 22 settembre 2013, l’AfD ha ottenuto il 4,7% dei consensi, quasi due milioni di voti. Alle successive elezioni europee del 24 e 25 maggio 2014 ha registrato il 7% delle preferenze, più del doppio dei voti conseguiti dallo storico Partito liberaldemocratico tedesco (Fdp). Infine, alle recenti elezioni regionali nei tre Länder orientali – in Sassonia (31 agosto) e in Turingia e Brandeburgo (14 settembre) – l’AfD ha ottenuto, rispettivamente, il 9,7%, il 10,6% e il 12,2% dei consensi.

 

L’antimerkelismo tedesco ignorato

 

Siamo dunque in presenza di un fenomeno politico tutt’altro che effimero. Eppure di questo partito, che di fatto ha già intaccato la tradizionale stabilità del sistema partitico tedesco, in Italia si è parlato finora molto poco. leggi tutto

Una Commissione “politica”

Michele Marchi - 16.09.2014

La lunga tessitura di Jean-Claude Juncker è giunta ad un primo traguardo. Ora che l’organigramma della sua Commissione è noto, è possibile provare ad ipotizzare verso quale direzione cercherà di puntare l’Unione europea nei prossimi cinque anni. Naturalmente non deve essere trascurato il complicato passaggio dei singoli commissari di fronte alle “bellicose” commissioni del Parlamento europeo. Ma già oggi, una riflessione sulla dimensione “politica” della nuova compagine è possibile farla.

Alcune novità … obbligate

I primi passi di Juncker sono stati condotti all’insegna di alcune novità. La sempre più profonda distanza tra cittadini e istituzioni europee, testimoniata dai continui successi dei partiti politici anti-europei o comunque euroscettici (dalla Francia alla Svezia, passando per la Germania), ha creato una sorta di clima da ultima spiaggia. Servivano messaggi forti e non a caso il neo presidente della Commissione ha parlato di “ultima possibilità per l’Europa”, aprendo la conferenza stampa di presentazione della sua equipe. I dieci anni di Barroso e soprattutto l’assenza della Commissione nella gestione della crisi economica-finanziaria, tutta demandata al Consiglio europeo e al vertice della BCE, imponevano una scossa. Juncker ha deciso di incarnarla prima di tutto con una svolta organizzativa, basata su due pilastri principali. leggi tutto

La vendetta della première dame

Riccardo Brizzi - 11.09.2014

«Dolce è la vendetta, soprattutto per le donne», recita un verso del Don Giovanni di Lord Byron, che non deve essere passato inosservato a Valérie Trierweiler. In effetti all'indomani della crisi del governo Valls, mentre il clima nella maggioranza appare tesissimo e si registrano i primi inciampi nella formazione del nuovo esecutivo, il racconto dettagliato dell'ex compagna del presidente della sua relazione con Hollande, appare la classica pugnalata alla schiena. A coronare la tragicommedia politico-personale di Hollande mancava solo il castigo letterario di Valérie.

Sgombriamo il campo dagli equivoci: «Merci pour ce moment» non è una bomba, è fuffa. L'indignazione postuma della figlia di un invalido e di una cassiera di supermercato verso il disprezzo classista del presidente - che in privato  chiamerebbe «sdentati» i meno abbienti - è quantomeno sospetta. E il travaglio interiore di colei che ha avuto accesso all'Eliseo soltanto dalla laterale avenue de Marigny, e non dall'ingresso d'onore, lascia poco spazio all'immedesimazione dei comuni mortali. leggi tutto

La Scozia indipendente? Storia e attualità all'origine del Referendum del 18 settembre

Giulia Guazzaloca - 06.09.2014

Il Regno Unito

 

In Italia se n’è parlato poco e anche le incaute similitudini tra il caso scozzese e quello della Padania sono state perlopiù limitate agli organi di stampa della Lega Nord; ma il referendum che il prossimo 18 settembre potrebbe sancire l’indipendenza della Scozia riveste un’importanza cruciale per la Gran Bretagna e per l’Europa intera. La vittoria degli indipendentisti metterebbe fine a tre secoli di storia dell’Unione e anche al Regno Unito come l’abbiamo conosciuto finora.

Regno Unito che tuttavia dal punto di vista religioso, linguistico e geografico è sempre stato tutt’altro che omogeneo. Composto originariamente di quattro realtà nazionali unite ma non totalmente fuse, Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, nel corso dell’800 e dei primi decenni del ’900 conobbe enormi tensioni a causa delle aspirazioni autonomistiche degli irlandesi, in maggioranza di religione cattolica. Se la nascita nel 1921 dello Stato libero d’Irlanda risolse parzialmente l’annosa questione irlandese (lasciando tuttavia lacerazioni profonde nell’Irlanda del Nord), crebbero però costantemente, a partire dal periodo fra le due guerre, le rivendicazioni identitarie in Scozia e Galles. Di natura più culturale quello gallese, leggi tutto

Federica Mogherini ai casting di Bruxelles

Riccardo Brizzi - 04.09.2014

Correva l'anno 2009 e la nomina della semi-sconosciuta Catherine Ashton ai vertici della diplomazia europea aveva suscitato critiche feroci. «Siamo alla farsa» avevano commentato gli ex capi di governo francese Rocard e tedesco Schröder, denunciando il basso profilo di Lady Pesc, puntualmente confermato nel corso di un mandato nel quale la Ashton è stata sempre scavalcata dagli Stati membri (da ultimo nella recente crisi ucraina).  Cinque anni dopo ci risiamo.  «Cattiva scelta» ha sintetizzato uno dei più autorevoli quotidiani del Vecchio continente, il francese «Le Monde», peraltro di fede progressista, riferendosi all'investitura dell'«inesperta» Federica Mogherini ad Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera e di difesa.  

 

I «meriti» di un basso profilo

 

Difficile d'altronde argomentare che le ragioni della sua nomina risiedano nella solidità di un curriculum decisamente acerbo (anzi, probabilmente, ha giocato a favore proprio il profilo poco ingombrante, garanzia che le ambizioni nazionali degli stati membri non saranno ostacolate). Le motivazioni di tale scelta sono piuttosto da ricondurre alla convinta sponsorizzazione del premier Renzi e, soprattutto, leggi tutto

Un ultimo giro di Valls?

Michele Marchi - 28.08.2014

Il governo di “combattimento” di Manuel Valls è durato meno di cinque mesi. Ora via libera a quello della “chiarezza”. Se il Valls I non è stato protagonista di grandi “battaglie”, il Valls II ha, sin dalla lista dei suoi membri, il pregio della linearità e dell’omogeneità.

 

Una squadra compatta


La coppia Hollande-Valls sembra aver scelto la strada della decisione. Senza cambiare le caselle di ministeri di rilievo (Esteri, Interni, Difesa, ecc..), si è concentrata in maniera “chirurgica” sugli elementi di disturbo. Il nucleo “dissidente” era composto da tre ministri, più uno solidale a questi. Capeggiati da Arnaud Montebourg, ministro dell’economia, critico nei confronti della linea social-liberale della coppia Presidente-Primo ministro, la pattuglia comprendeva anche il ministro dell’Educazione nazionale BenoÎt Hamon e la ministra della cultura Aurélie Filippetti. A questi, più per affinità ideologica che per prese di posizione pubbliche, leggi tutto