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19 aprile 2025
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Argomenti

La politica tedesca vista da Amburgo

Gabriele D'Ottavio - 28.02.2015

In Germania le elezioni regionali possono assumere, talvolta, un significato che va al di là del contesto specifico in cui hanno luogo. Nel 2005, per esempio, il Cancelliere Gerhard Schröder decise di porre anticipatamente fine alla legislatura dopo la pesante sconfitta subita in Nordreno-Vestfalia, nel tentativo di arrestare l’emorragia di consensi del suo partito. Le recenti elezioni di Amburgo, che si sono svolte il 15 febbraio scorso, molto probabilmente non avranno alcuna ricaduta rilevante sulla tenuta del governo. L’attuale Grande coalizione gode infatti di una maggioranza amplissima al Bundestag (quasi l’80% dei seggi) e le prossime elezioni politiche, previste per l’autunno 2017, appaiono ancora molto lontane. I risultati ottenuti dalle due principali forze politiche, la Cdu e la Spd, non trovano peraltro alcuna corrispondenza nelle più recenti rilevazioni effettuate a livello nazionale. Dalle urne di Amburgo sono usciti vincitori i socialdemocratici e sconfitti i cristiano-democratici, mentre a livello nazionale tutti i sondaggi danno il partito di Angela Merkel stabilmente sopra la soglia del 40%, con un distacco di oltre 15 punti percentuali sulla Spd, in linea con i risultati delle politiche del settembre 2013. leggi tutto

Grecia: vincitori e vinti

Gianpaolo Rossini - 26.02.2015

Chi ha vinto nel braccio di ferro tra Europa e Grecia? Forse l’Europa intesa come comunità sovranazionale dalla quale non ci si stacca, non tanto per affetto profondo, ma perché sembra non avere alternative nel mondo di oggi che vive le tensioni dei debiti sovrani, della difficile ripresa e i fuochi geopolitici nell’Est Europa e nel medio Oriente.  La paura non è sempre buona consigliera e gli accordi che influenza possono rivelarsi fragili. E allora l’Europa vince perché temiamo la Non Europa. A ben guardare i termini dell’accordo tra le autorità europee e la Grecia ci si accorge però che gran parte dei problemi posti sul tappeto dall’affermazione elettorale di Tsipras sono stati appena toccati e avranno bisogno di nuovi e faticosi negoziati. Il problema di fondo, ovvero la insostenibilità del debito pubblico greco nelle attuali condizioni di spread sui tassi, rimane tutto intero. Nonostante l’ottimismo dei mercati seguito all’accordo i tassi a dieci anni in Grecia sono ancora vicini al 9%.  Nessun paese può pensare di risolvere i propri problemi finanziari con questi tassi che durano ormai da 5 anni. La situazione finanziaria della Grecia non era sostenibile prima. Non lo è neppure dopo l’accordo. La Grecia ha lanciato un grido di dolore. leggi tutto

La “Barcaccia” danneggiata dagli hooligans olandesi

Stefano Martelli * - 26.02.2015

Quanto è avvenuto nella Capitale italiana la scorsa settimana nei due giorni che hanno preceduto la partita di Europa League tra gli olandesi del Feyenoord e la Roma non si può liquidare dicendo semplicemente che nel calcio se ne sono viste di peggio – e chi dice così, di solito pensa ai 39 morti e ai circa 600 feriti nello stadio Heysel di Bruxelles, il 29 maggio 1985, provocati dalla guerriglia messa in atto dagli hooligans che seguirono il Liverpool, nella finale di Champions contro la Juventus; e il tifoso di buona memoria ne potrebbe aggiungere molti altri ancora, di tragici fatti generati dal tifo violento, dentro e fuori gli stadi.

Però quello avvenuto a Roma presenta una nota di particolare tristezza e preoccupazione. Da un lato fortunatamente non si lamentano morti, anche se si contano una quarantina di poliziotti feriti, ma i danni provocati intenzionalmente a una fontana unica al mondo, che fu realizzata nel 1629 dai fratelli Bernini e posta in piazza di Spagna, ai piedi della scalinata che sale a Trinità dei Monti – un monumento di rara bellezza e fantasia, che ha preso spunto da uno scafo, abbandonato dal Tevere in piena nel 1598. leggi tutto

La fine “della storia” e la fine di “una storia”

Michele Marchi - 24.02.2015

È sotto gli occhi di tutti che le crisi aperte in Ucraina, Grecia e Libia sono legate ed interconnesse. Si è riflettuto molto, in queste settimane, sui successi diplomatici della Germania di Angela Merkel, volata a Washington per convincere Obama a non avventurarsi nell’invio di armi in Ucraina, per poi correre a rappresentare la diplomazia europea al tavolo negoziale di Minsk e infine pronta a far pesare il prestigio acquisito a Minsk e a Washington nel braccio di ferro con Atene.

Allo stesso modo si sono sottolineate le tante divisioni che i tre focolai di crisi evidenziano all’interno del continente europeo. Il caso greco (euro) e quello libico (immigrazione e guerra civile) confermerebbero una sempre più profonda divaricazione tra un’Europa del nord ed un’Europa del sud. Virtuosa economicamente e sufficientemente lontana dalle tensioni provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo quella del nord. Cronicamente arretrata ed esposta ai marosi delle crisi successive alle primavere arabe quella del sud. Sempre seguendo questo ragionamento la  crisi ucraina accentuerebbe un’altra frattura, quella sull’asse est/ovest, o per dirla con un’altra terminologia tra “nuova Europa” e “vecchia Europa”, con la prima timorosa dei tentativi egemonici di Putin (intrisi di zarismo e post-stalinismo) e la seconda ancora disposta a farsi cullare nell’illusione di una improbabile “fine della storia”.

Ma è proprio l’attenzione sulla dimensione “storica” che in questi giorni è forse mancata. leggi tutto

L’esame di coscienza della Francia (parte prima)

Emmanuel Jousse * - 24.02.2015

Gli eventi che hanno scosso la Francia da un mese a questa parte possono sconcertare l’osservatore straniero. Da un lato, il sussulto repubblicano suscitato dagli attentati del 7-9 gennaio e sfogatosi nella manifestazione dell’11. E’ sotto il segno di questo « spirito dell’11 gennaio » che François Hollande ha aperto la sua conferenza stampa annuale del 5 febbraio: lo spirito dell’unità della Repubblica nella prova, della coesione nazionale contro il terrorismo. Dall’altro lato, il risultato preoccupante delle elezioni legislative parziali nella quarta circoscrizione del dipartimento del Doubs l’8 febbraio, che ha visto vincere il candidato socialista ma con solo un piccolo margine di vantaggio su quello del Fronte Nazionale  (51,43% contro 48,57%). E’ precisamente la diffidenza verso il partito di Marine Le Pen che ha indebolito lo « spirito dell’11 gennaio » : la decisione di escluderlo dalla marcia a Parigi gli ha permesso di rilanciare il suo messaggio populista contro un sistema politico corrotto. Naturalmente, questa votazione va contestualizzata nel quadro particolare di una circoscrizione rurale, toccata profondamente dalla crisi dell’industria automobilistica, ma si tratta comunque di un segnale importante a qualche mese dalle elezioni dipartimentali in marzo e poi dalle regionali in dicembre (per non pensare a cosa succederà più in là) cosa che i partiti hanno perfettamente compreso. leggi tutto

Il terrorismo, i barconi e la crisi dell’Europa: riflessioni sugli eventi di Copenaghen.

Giovanni Bernardini - 21.02.2015

Gli eventi che hanno recentemente sconvolto Copenaghen meritano riflessioni politiche ben più profonde delle strumentalizzazioni di chi cerca facili consensi sull’onda dell’emozione.  Certamente colpiscono alcune affinità con i giorni di follia che hanno sconvolto la capitale francese a inizio anno; e tuttavia pochi hanno insistito a sufficienza sul passaggio nelle rispettive patrie galere che ha accomunato i giovanissimi attentatori di Francia e Danimarca. Approfondire un fenomeno sociale così preoccupante non significa negare le responsabilità individuali dei colpevoli, ma porre le basi affinché il futuro comporti minori rischi collettivi. E quando delle istituzioni detentive ma anche correttive non adempiono alla loro missione, ma anzi danno a individui marginalizzati l’occasione di una nuova socializzazione criminale, è forse giunto il momento di un loro serio ripensamento. Va in questa direzione la bella e dolorosa lettera scritta da alcuni docenti della periferia di Parigi nei giorni successivi al massacro di gennaio: un appello all’autocritica per tutti coloro che, dai banchi di scuola fino all’esperienza carceraria, hanno lasciato i futuri attentatori ai margini di una piena consapevolezza dei valori repubblicani e della convivenza civile, parcheggiati “nelle cloache delle periferie”, e infine abbandonati in balia “di perversi manipolatori” capaci di offrire loro una prospettiva di vita (e di morte) più allettante di quella che li attendeva al ritorno alla libertà. Tutto questo implica una presa di coscienza della più grande e più amara delle verità, spesso celata leggi tutto

Una politica ancora sospesa nel vuoto

Paolo Pombeni - 19.02.2015

Ci si interroga se le due crisi che si sono affacciate con prepotenza sulla scena politica, quella libica e quella greca, siano o meno in grado di imprimere una svolta all’impasse in cui sembrava essere precipitata la nostra politica dopo le baruffe della scorsa settimana alla Camera. Si tratta ovviamente di due fenomeni molto diversi fra loro, a cui forse sarebbe da aggiungere la crisi ucraina, non fosse che da quest’ultima l’Italia sembra più lontana.

Entrambe le crisi hanno un certo impatto sull’opinione pubblica. Gli avvenimenti in Libia preoccupano come è ovvio sia per il concretizzarsi di una minaccia jihadista alle porte di casa nostra, sia per la possibilità che quanto sta accadendo accentui la pressione delle ondate migratorie sulle nostre coste. Non è dunque solo per comprensibili motivi geostrategici e per reminiscenze storiche che il nostro governo non può rinunciare ad avere un ruolo importante in questo contesto.

I partiti sembrano avere colto la situazione e difatti, pur con accenti e retoriche diverse, tutti stanno attenti a non apparire come coloro che boicottano l’unità nazionale di fronte ad un pericolo largamente percepito. Naturalmente non possiamo sottovalutare il peso e l’impatto dei vari “distinguo” che vengono proposti: nessuno vuole che Renzi tragga giovamento da questa emergenza e dunque spesso si mettono in campo ragionamenti che non sono fondati. Nonostante questo la necessità di gestire la crisi creatasi con gli ultimi avvenimenti in Libia ha ridato forza e centralità al governo ed ha messo in difficoltà i suoi avversari. leggi tutto

Guerra in Europa?

Nicola Melloni * - 14.02.2015

Venti di guerra spirano sull’Europa. Anzi, una guerra già c’è, nell’Est dell’Ucraina e tutto il continente ne è ormai parte attiva, quantomeno con le sanzioni che sono state imposte contro la Russia. Il rischio ora è di una escalation dalle imprevedibili conseguenze. Per evitarlo bisognerebbe cercare di capire cosa davvero ci sia in ballo.

Esistono dei fatti: il cambio di governo a Kiev; l’illegale annessione della Crimea; la guerra civile nel Donbass, cospicuamente foraggiata da Mosca. Questi fatti, però, andrebbero interpretati.  Da una parte si dice che sia tutta colpa della Russia, la cui volontà imperiale la porta in linea di collisione con il diritto internazionale in generale e con l’Occidente in particolare, e la cui struttura autocratica ed autoritaria la rende ostile a tutti i tentativi di democratizzare i paesi confinanti. L’unica risposta a questa Russia dovrebbe dunque essere l’intransigenza, così almeno sembrano chiedere Obama e gran parte dell’Europa Orientale.

Esiste però una lettura alternativa, pur basata su quegli stessi fatti di cui sopra. Ed è una lettura che prende in considerazione oltre un ventennio di politiche occidentali nei confronti della Russia, e più in generale di gestione dei rapporti internazionali da parte, soprattutto, degli Stati Uniti.

Per anni l’Occidente ha considerato la Russia come uno Stato irrilevante, ignorandone le richieste, gli interessi, senza mai cercare una cooperazione duratura e proficua. Ci si è, anzi, mossi in direzione opposta: prima l’espansione della Nato, violando gli accordi presi all’indomani della caduta del Muro; poi, davanti ad una Russia che cercava di riaffermare i propri interessi, il supporto a governi anti-russi ed il dispiegamento del sistema missilistico ai suoi confini. leggi tutto

L’antisemitismo contagia gli inglesi

Giulia Guazzaloca - 12.02.2015

Inchieste shock sull’antisemitismo in Gran Bretagna                 

 

È vero che nella moderna storia britannica l’antisemitismo è stato presente sempre e in tutti i settori della società, sebbene in forme meno aspre e pervasive rispetto all’Europa continentale, e la più recente storiografia ha ormai sfatato anche il «mito» della tolleranza degli inglesi nei confronti della comunità ebraica. Nondimeno, i risultati di alcuni sondaggi e inchieste condotti all’inizio di quest’anno hanno suonato un preoccupante campanello d’allarme circa il radicamento dell’antisemitismo nel Regno Unito.

Un’indagine eseguita qualche settimana fa da YouGov per la Campaign Against Antisemitism ha rivelato infatti che il 45% dei cittadini nutre sentimenti antisemiti, nella forma dell’adesione ai più comuni pregiudizi e stereotipi riguardanti gli ebrei. Ad esempio, il 25% condivide l’idea che essi «bramino il denaro più degli altri britannici»; uno su cinque ritiene che la lealtà degli ebrei verso Israele li renda «meno leali al Regno Unito»; il 13% pensa che «gli ebrei parlino troppo dell’Olocausto» e, circa uno su sei, che esercitino «troppo potere nei media». Dati «scioccanti» secondo gran parte della stampa britannica, ai quali ha immediatamente risposto il ministro degli Interni Theresa May dicendo, durante una cerimonia in ricordo delle vittime degli attacchi terroristici di Parigi, che la Gran Bretagna deve raddoppiare gli sforzi per «spazzare via l’antisemitismo». leggi tutto

Lo strano bipolarismo italiano ed il cleavage Europa/stato-nazione.

Pasquale Pasquino * - 10.02.2015

L’articolo di Paolo Pombeni apparso su questo giornale del 7 febbraio solleva interrogativi importanti circa questioni di fondo e non di breve periodo per l’assetto del sistema politico italiano. Questioni sulle quali è utile, sembra a chi scrive, aprire un dibattito.

Il bipolarismo, di cui si discute in Italia ormai da molti anni, è il fondamento della democrazia competitiva, teorizzata da Schumpeter nel 1942, avendo in mente il sistema politico inglese. Quello americano, federale e presidenziale, rendeva inevitabilmente l’indagine più complessa, anche a causa del sempre possibile divided government e per la presenza, a quell’epoca eccezionale nelle democrazie liberali, del controllo di costituzionalità. Un fenomeno che sfugge peraltro a grande parte della politologia contemporanea, nonostante il fatto che quell’istituzione sia diventata ormai parte essenziale dei regimi che chiamiamo democratici.
Il bipolarismo significava possibile alternanza al potere senza conflitti violenti, grazie all’uso del voto popolare ovvero di quei paper stones che – date certe condizioni – prendono il posto dei conflitti violenti attraverso i quali si accedeva in passato, e ancora purtroppo oggi in alcune parti del mondo, a posizioni di comando politico. Schumpeter non lo diceva, ma questa possibile alternanza è stata assunta come la qualità nobile della democrazia, nella versione moderna e rappresentativa della sovranità popolare. leggi tutto