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Un passaggio molto stretto
Si vota in Parlamento sulla relazione della premier riguardo a quello che sarà l’atteggiamento dell’Italia al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. Un passaggio molto stretto, che l’opinione pubblica percepisce per lo più nelle semplificazioni di movimenti, intellettuali, populisti e demagoghi, cioè nel modo meno utile per cercare di capire cosa sta accadendo.
Prima di addentrarci dunque in una analisi delle molte posizioni dei partiti politici italiani, proviamo a fissare qualche coordinata che aiuti ad orientarsi. Il primo punto da tenere a mente è che la posizione del governo viene delimitata dal suo ruolo e dal suo posizionamento nello scacchiere internazionale. L’Italia non è una grande potenza, ma non è neppure un piccolo paese marginale, dunque deve stare nelle dinamiche attuali con queste consapevolezze. In pratica significa che da un lato non può permettersi una rotta di collisione con la nuova amministrazione americana (anche a prescindere dal fatto che alla nostra premier stia simpatica), perché siamo storicamente connessi con quel sistema. Certamente la attuale evoluzione alla Casa Bianca può e deve preoccupare, ma non è abbastanza per rompere (del resto nessuno in Europa vuole veramente farlo). Poi è difficile capire cosa davvero abbia in mente Trump e dunque senza entrare in collisione con lui rimane leggi tutto
Il futuro dell'Europa e la tecnocrazia americana che solidarizza con Putin
Alcuni anni fa un articolo di Time – “Wanted people Renaissance” (‘Cerchiamo gente del Rinascimento’) – descriveva un’America che guardava alla storia e alla cultura dell’Europa: l’avvento dirompente della tecnologia negli stili di vita e nel modo di pensare suggeriva una riscoperta delle radici profonde della civiltà ereditata dal vecchio continente che Umanesimo e Rinascimento avevano ben rappresentato esprimendo valori universali.
Quanto sia cambiata questa consonanza ideale di una parte dell’America lo si può riscontrare dalle parole e dalle azioni dell’establishment che da un paio di mesi la rappresenta. L’abbandono dell’alleanza atlantica e la sottostima degli organismi internazionali di cui gli USA hanno fatto parte come simbolo di appartenenza ai consessi delle democrazie occidentali sono accompagnati dalla marginalizzazione e dal disprezzo (‘l’Europa ci ha truffati’), sentimenti di rancore e distacco mai ascoltati dal dopoguerra ai giorni nostri.
Il trattamento riservato all’Europa fa il paio con il disimpegno americano – un vanto personale di Trump- nei confronti dell’Ucraina: è una faccenda che riguarda l’U.E. per questo il sostegno militare e soprattutto il servizio di intelligence sono stati ritirati con una sovraesposizione drammatica e immediata di Kyiv e del suo esercito continuamente e ininterrottamente sottoposti a bombardamenti di missili e droni diventati improvvisamente inintercettabili: ciò accade leggi tutto
Di fronte alla crisi internazionale: parole e fatti
Come è normale, nei momenti di crisi acuta cresce la voglia di prendere posizione: è un modo per dimostrarsi partecipi e spesso per convincersi di poter incidere su una situazione che ci turba. Eppure nei momenti cruciali sarebbe utile vaccinarsi contro le parole che generano illusioni e fughe dalla realtà. Ci permettiamo di suggerire qualche esempio preso dagli ultimi fuochi del dibattito in corso sulla fase critica della guerra in Ucraina.
Due sono le leggende metropolitane che tengono banco, non solo presso un’opinione disorientata, ma anche in quote importanti delle nostre classi politiche, dalle quali sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di discernimento. La prima leggenda da sfatare è quella secondo cui l’Europa non avrebbe fatto quasi nulla per promuovere una soluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Sinceramente non ha fondamento. Innanzitutto nella fase iniziale dell’invasione russa alcuni leader europei hanno provato ad approcciare Putin: lo hanno fatto sia Macron che Scholz e qualcuno ricorderà il famoso viaggio in treno che vide insieme Draghi con il presidente francese e il cancelliere tedesco andare verso Kiev: certo per portare solidarietà a quel paese invaso, ma al tempo stesso per esplorare la possibilità di trovare soluzioni diplomatiche. Più o meno sotto traccia ci sono stati altri leggi tutto
C’era una volta in America
Il vulnus più castrante di ogni democrazia è la regola ineliminabile dell’uno vale uno. Che è il fondamento del principio di uguaglianza ma anche la causa di rallentamenti, inciampi, complicazioni applicative se il voto di un mentecatto vale quello di un genio (ma nulla però al confronto con la dittatura di uno solo al comando, dove gli oppositori sono fatti fuori semplicemente sopprimendoli). Eppure la più grande democrazia del mondo ha retto a questo potenziale ostacolo e lo ha superato, dalla Costituzione approvata a Filadelfia nel 1787 ed entrata in vigore nel 1789 (lo stesso anno della Rivoluzione Francese) e dai primi dieci emendamenti – gli United States Bill of Rights - che esaltano le tutele civili e le libertà individuali. Situata all’entrata del porto sul fiume Hudson al centro della baia di Manhattan dove fu collocata nel 1885 – dono proprio della Francia – la Statua della libertà è stata ed è tuttora un mito per l’America ed un simbolo per l’intero mondo libero.
La speranza è che possa restare tale anche oggi e per il futuro, per noi, per l’Europa, per i popoli oppressi dalle tirannie, per tutti coloro che credono nella libertà e nell’amicizia con gli Stati Uniti in nome di un’alleanza che non è solo militare o economica ma leggi tutto
Le incertezze di un passaggio storico
Non sappiamo se si possa già parlare di una svolta storica dopo la sceneggiata tra Trump, Vance e Zelensky messa in onda dallo Studio Ovale: perché un episodio si trasformi da singolo evento, bello, brutto, o, come nel nostro caso, orripilante, in un momento storico di cambiamento è necessario attendere cosa accadrà. Non fosse altro perché le conseguenze possono essere molteplici.
Consentiteci di sottrarci ai ragionamenti di quelli che parlano di realpolitik senza sapere cosa sia e di quelli che vogliono accreditarsi come censori della storia: le faccende sono molto più complicate. Prima di tutto non è chiarissimo se Trump non abbia costruito apposta lo scontro in mondo visione per mascherare quello che può essere un suo primo fallimento: aveva promesso di chiudere il conflitto russo-ucraino in pochi giorni, mentre, questione dei tempi necessari a parte, deve riscontrare che Putin non ha nessuna intenzione di consentirgli una vittoria a meno che non contenga anche quella totale della Russia. Come si può immaginare, non solo a queste condizioni per The Donald non sarebbe un gran risultato (la gente non è del tutto cieca), ma non sarebbe neppure accettabile per l’America.
Con la sceneggiata crede di aver scaricato sul presidente ucraino la colpa del fallimento leggi tutto
L'Europa e l'Ucraina sotto scacco. Trump e il gioco delle tre tavolette
Finora solo il figlio di Musk, nell’innocenza dei suoi 4 anni, ha apostrofato duramente Trump proprio nella stanza ovale della Casa Bianca: “Chiudi il becco. Non sei tu il Presidente”. Magari avrà ripetuto parole ascoltate a casa, il video è virale in rete e smorza ironicamente il clima raggelante che avvolge ben altri discorsi che circolano in questi giorni tra potenti e soccombenti della Terra. A cominciare da quello del vice Presidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che ha spinto l’Europa nell’angolo dell’irrilevanza, dopo averla ben bene schiaffeggiata. Un missus dominicus assai istruito che di suo ci ha messo una tracotanza non da poco. Per continuare con Marco Rubio, Segretario di Stato che ha contattato il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov per mantenere aperti i contatti (“dialogo con rispetto”) avviati con la telefonata tra il tycoon e Putin, o in modo ancor più eloquente con l’affermazione perentoria dell'inviato speciale di Donald Trump per l'Ucraina Keith Kellogg : “L’ Europa sarà consultata ma non siederà al tavolo dei colloqui di pace sull'Ucraina” precisando di appartenere alla "scuola del realismo e che ciò non accadrà", come riporta il Guardian. “Potrebbe essere come il gesso sulla lavagna, potrebbe irritare un po', ma leggi tutto
La politica italiana tra Trump e la Germania
Potrebbero essere settimane calde per la politica italiana, ma non lo sono se non per quel che riguarda una quota limitata di fan-club dei partiti in campo. L’impressione a stare in mezzo alla gente normale è che tutto scivoli via come uno spettacolo le cui scene essendo ormai conosciute non suscitano particolare coinvolgimento.
Ovviamente quel che sta succedendo è importante, ma gran parte dell’opinione pubblica fa fatica a rendersene pienamente conto. Prendete la vera e propria esplosione della nuova linea politica di Trump: è così palesemente sopra le righe, paradossalmente teatrale che la gente fa fatica a ritenerla reale e capace di cambiare le cose. Si aspetta più o meno che la bolla scoppi. Naturalmente non andrà così, almeno per un periodo di tempo non breve, tuttavia la preminenza di un sentimento che da un lato si aspetta che succedano sconvolgimenti e che dall’altro li vuol tenere lontani da sé declassandoli fa sì che il coinvolgimento nelle tensioni della politica sia sostanzialmente modesto.
Ne è prova la scarsa presa che ha avuto il terzo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina. Avrebbe dovuto essere una occasione per riflettere seriamente sul cambiamento che abbiamo davanti e che richiederebbe una presa di coscienza sulla svolta che si presenta all’Europa: leggi tutto
Un anno dopo l'omicidio di Navalny, Trump porge la mano a Putin
Il 16 febbraio 2024 Alexey Navalny moriva assassinato nella colonia penale di Kharp nella regione di Jamalo-Nenets, a Nord degli Urali e a più di 2 mila km da Mosca, oltre i confini del Circolo polare artico. Vi era stato rinchiuso il 23 dicembre 2023 in regime di isolamento che stava scontando per la ventisettesima volta in tre anni. Il suo destino era segnato, dopo un lungo calvario iniziato con l’arresto nel 2021, al suo rientro a Mosca da Berlino, fatto di processi farsa, con capi di imputazione inesistenti e inventati (condannato in un primo tempo a nove anni di reclusione nella colonia penale di Melekhovo, aveva subito un successivo grado di giudizio a porte chiuse, senza difesa legale, al termine del quale gli erano stati inflitti 19 anni per “estremismo” secondo un marchingegno giudiziario studiato a tavolino dal regime sotto la guida del FSB, erede del KGB), tentativi di avvelenamento con il gas nervino, denutrito, indebolito, ridotto alla mera sopravvivenza a termine, senza alcuna speranza di uscirne vivo.
Né la moglie Julija Naval'naja né gli amici rimastigli fedeli pur se a loro volta ridotti al nascondimento e alla morte civile, avrebbero anche solo immaginato che potesse sopravvivere ad un regime di detenzione durissimo: se infatti qualcuno
Interpretare il cambiamento in corso
È particolarmente difficile districarsi in quel che sta succedendo nel panorama delle relazioni internazionali. Indubbiamente l’avvento di Trump alla Casa Bianca ha acuito il disorientamento che da tempo domina in quel campo: siamo davanti ad un giocatore di poker che ha come obiettivo quello di confondere tutte le carte per costringere gli altri a cambiare le loro ed esibire solo all’ultimo le sue. Tuttavia non è una storia che sia iniziata un mese fa (era il 20 gennaio quando il 47° presidente giurò e si insediò nel ruolo): a dichiarare finita l’era dell’ordine internazionale così come si era delineato, con alti e bassi, dopo il 1945, fu nel 2007 Putin, il quale intervenendo alla conferenza sulla sicurezza di Monaco chiarì che non accettava quella regolamentazione che con il crollo dell’URSS era finita nelle mani solo degli Stati Uniti.
Poiché tutto si inserisce in una generale transizione storica che tocca anche il quadro culturale, e di conseguenza economico e sociale, all’interno del quale si era configurato l’ordine post 1945, non meraviglia che siamo in presenza dell’intrecciarsi di piani diversi e di spinte contrastanti. Quel che avviene nel caso della guerra in Ucraina, così come in quello delle guerre in Medioriente si deve cercare di inquadrarlo a partire da queste premesse. leggi tutto
Informazione, quarto potere: tra social e network, i magazine e i giornali resistono
A volte i paradossi aiutano a capire meglio la realtà, le iperboli immaginifiche ne amplificano la comprensione. Se oggi il barone Charles de Montesquieu dovesse riformulare la sua teoria della tripartizione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – nella lungimirante intuizione che è alla base del sistema istituzionale moderno e dello stesso concetto di Stato (che si va sgretolando nella cd. ‘postmodernità’) non potrebbe non considerare l’incidenza dell’informazione, intesa come insieme indefinito e complesso di mezzi e fini, dalla mera comunicazione alle relazioni umane più ampie ed estese. Poiché è questo – di fatto – un vero e proprio “quarto potere” trasversale ai primi tre: ora in modo oggettivo, ora strumentale, ora paradossalmente labile nell’epoca delle connessioni globali, dei media, dei social e dell’intelligenza artificiale.
Un potere forte che – a differenza di quelli in uso nell’immaginario collettivo come sintesi di competenze e responsabilità, anche se spesso debordanti o confliggenti - sfugge spesso alle stesse coordinate spazio-temporali che sono gli ancoraggi di una società complessa, o liquida come l’ha definita Bauman, in quanto simultaneo e pervasivo, svincolato spesso al controllo delle fonti, difficilmente incline al discernimento tra vero e falso e basterebbe solo questa osservazione per capacitarsi del peso etico, culturale e sociale che declina nei leggi tutto