Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Argomenti

Perché abbiamo capito poco della crisi della Grecia

Lorenzo Ferrari * - 04.07.2015

Le ragioni per cui la crisi del debito greco si trascina da anni e s'è avviluppata sempre di più sono molteplici. Grosse responsabilità dei governi greci del passato e di quello attuale, grosse responsabilità dei creditori e in primo luogo del governo tedesco. E poi ci sono la debolezza dell'architettura istituzionale per la gestione dell'euro, i limiti del disegno di integrazione monetaria europea, il grave ritardo con cui procede l'integrazione politica. Tutti problemi molto seri e reali, che sono stati ampiamente discussi in questi anni.

 

Forse vale però la pena di riflettere su un paio di altri aspetti della questione che sono rimasti più nell'ombra, ma che pure hanno giocato un ruolo. Si tratta di aspetti che riguardano soprattutto il modo in cui la crisi della Grecia è stata raccontata dai mezzi di comunicazione dei Paesi creditori, e in particolare dell'Italia. Il modo in cui la crisi è stata inquadrata e narrata ha influenzato l'elaborazione – e la popolarità – delle risposte politiche ed economiche che le sono state date dai governi creditori e dalle istituzioni europee.

 

Il primo aspetto problematico è legato all'isolamento del sistema greco dell'informazione. Il greco moderno è una lingua molto diversa dalle altre lingue europee ed è pochissimo diffusa all'estero: in questi anni, la gran parte dei giornalisti e degli osservatori stranieri ha potuto fare scarsissimo affidamento sulle analisi e sulle storie legate alla crisi raccontate dalla stampa greca. Interviste e discorsi politici, editoriali, reportages: leggi tutto

La mossa del cavallo e lo scoglio del taglio del debito pubblico greco

Gianpaolo Rossini - 02.07.2015

Tsipras ha obbligato i suoi interlocutori ad interrompere il negoziato indicendo un referendum sulle proposte di UE-BCE-FMI. Una mossa avventata e molto rischiosa che rischia di fare molto male alla Grecia e a gran parte dell’Europa. E’ una mossa del cavallo che scompiglia il gioco dell’avversario ma che rischia di esporre in maniera irreversibile chi la mette in atto. Ma perché Tsipras ha sbattuto la porta alla troika? Le lunghe trattative tra le parti si fermano su diversi punti ma il vero scoglio è la ristrutturazione del debito pubblico greco. Tsipras la chiede da tempo. Ma appare una richiesta irricevibile per gran parte dei partners euro, specie quelli Est Europa che hanno sopportato sacrifici notevoli per entrare nell’euro e che hanno visto i sorci verdi quando Tsipras ha preso a cinguettare con Putin. . Il taglio del debito appare essenziale alla maggioranza dei greci. Un debito pubblico pari al 180% del Pil e con tassi nominali che mediamente sono intorno al 10% effettivamente non è sostenibile. Le ragioni per cui si è arrivati a tutto questo dipendono da gravi inadempienze del governo greco e da altrettanto pesanti errori delle autorità europee quando non si è intervenuti subito (nel 2010) sui titoli di stato dei paesi in difficoltà spinti nel 2008 ad aumentare la spesa pubblica anche se con finanze vacillanti. leggi tutto

Gli alberi e la foresta. Sul negoziato tra Grecia e UE/FMI

Duccio Basosi * - 02.07.2015

La vicenda del negoziato tra governo greco e UE/FMI, sul rinnovo delle linee di credito aperte da queste istituzioni negli anni scorsi verso Atene, si sta avvitando in una sequela di colpi di scena "dell'ultimo minuto" (rottura delle trattative, convocazione di referendum, nuove proposte in extremis). Si tratta di eventi che meritano di essere seguiti, visto che dai loro sviluppi dipenderà molta parte della politica e dell'economia europea dei prossimi mesi. Tuttavia, l'impressione è che, giorno dopo giorno, la discussione pubblica si concentra sempre più sulle foglie dell'albero, perdendo di vista la foresta nel suo insieme. Si discute appassionatamente, sulla stampa e sui social network, delle tattiche negoziali delle due parti e delle disposizioni della Costituzione greca in merito alla convocazione dei referendum. Si perde progressivamente di vista, invece, il quadro complessivo, che è dato dal fallimento spettacolare, in Grecia, di tutte le politiche di austerità raccomandate negli ultimi anni dai creditori internazionali agli stati indebitati. Per comprendere la posta in gioco in Grecia, forse è il caso che questo quadro venga ricostruito.

Anzitutto, il contesto del negoziato è quello della "condizionalità stretta", che il FMI (seguito poi dalla Banca Mondiale) iniziò a teorizzare nei primi anni Ottanta, quando si trattava di affrontare la "crisi del debito estero latinoamericano": da allora, l'istituzione internazionale che emette un prestito (o ne rinnova uno precedente) non negozia solo i termini della restituzione (rate, scadenze, interessi, ecc.), ma anche le politiche che il richiedente dovrà mettere in pratica per ripagare la somma ricevuta. leggi tutto

La sfida del populismo (greco) e l’Italia

Paolo Pombeni - 30.06.2015

La decisione del governo Tsipras di drammatizzare all’eccesso l’esito di un negoziato che per il suo paese era impossibile vincere risponde al momento difficile che i populismi di ogni colore hanno imposto all’Europa. Infatti, al di là di ogni considerazione sui tecnicismi della faccenda, ciò che ha condizionato a fondo questa partita è stato il fatto che ogni paese era prigioniero delle pulsioni populiste che dominano la propria opinione pubblica. L’Italia non fa eccezione, anche se da noi, come vedremo, la situazione ha peculiarità non riscontrabili altrove.

La rappresentazione del conflitto fra il governo greco e quelli europei è piuttosto semplice da riassumere: le opinioni pubbliche europee difficilmente avrebbero accettato che la Grecia ottenesse non solo una sanatoria su un passato di finanza allegra, ma una licenza a continuare ad elargire privilegi che negli altri paesi sono stati cancellati. Tsipras dal canto suo non poteva accettare di venire smentito nelle promesse elettorali che irresponsabilmente aveva elargito al suo popolo, cioè che si potesse cavarsela molto a buon mercato rispetto ai guai fatti in precedenza (senza parlare della forza che non ha per imporre un freno all’evasione e comunque ai privilegi  fiscali).

Si può mettersi a fare delle riflessioni articolate sulla perfetta aderenza alla realtà di questa rappresentazione, ma in politica le rappresentazioni contano nella loro capacità di semplificazione. Per tutti i leader europei era di fatto impossibile concedere a Tsipras quella vittoria che reclamava, perché avrebbe significato, oltre tutto, l’aprirsi di una domanda generalizzata di misure di assistenzialismo economico-fiscale che avrebbero fatto naufragare la stentata ripresa economica in atto. leggi tutto

Europa 2015: “tragedia greca” e “peccato originale”

Michele Marchi - 25.06.2015

Quella che si sta consumando in questi giorni è l’ennesima puntata dell’oramai troppo lunga vicenda che dall’autunno 2009 ad oggi viene indicata con l’espressione di “crisi greca”. Al netto delle questioni tecniche e senza sbilanciarsi in previsioni - anche se l’impressione è che si vada verso l’ennesimo “mezzo compromesso” con relativo rinvio e ci si debbano attendere nuove puntate della “fiction infinita” – si può forse introdurre qualche riflessione generale, nel tentativo di individuare la fonte originaria dell'attuale impasse.

Punto primo. Le convulse riunioni di questi giorni hanno mostrato che la cosiddetta “Grexit” potrebbe essere gestita da un punto di vista tecnico (cioè economico-finanziario) grazie, in particolare, all’operato della BCE di Mario Draghi. La stessa ipotesi è però impensabile da un punto di vista “storico-politico” (significherebbe rinnegare il ruolo svolto dalla costruzione europea in termini di soft power democratico tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta dello scorso secolo) e da quello geopolitico (basti pensare agli incontri Tsipras-Putin e al concretizzarsi di un nuovo passo falso lungo l’importante fianco sud-orientale dell’Ue dopo il fallimentare negoziato per l’adesione di Ankara all’Ue).

Punto secondo. Accanto all’emergenziale problema greco si sta sviluppando sottotraccia, ma in maniera sempre più evidente, quello del futuro dell’eurozona. Un altro modo per guardare al caos ellenico è infatti quello di fermarsi a riflettere su cosa vorrà essere l’eurozona da grande. leggi tutto

L’euro e la crisi greca

Massimo Bucarelli * - 25.06.2015

Nel 1961, l'economista canadese, Robert Mundell, vincitore 38 anni dopo del premio Nobel per l'economia per i suoi studi sulla politica fiscale e monetaria, pubblicava un fondamentale saggio in cui elaborava la teoria delle aree valutarie ottimali. Nell'articolo, Mundell si domandava quali siano le condizioni affinché per un paese possa essere conveniente rinunciare all’indipendenza monetaria e valutaria, per entrare in un’unione monetaria con altri partner. Ebbene – in base alle riflessioni dell'economista canadese, considerato da alcuni "il padre intellettuale dell'euro" - l’adozione di una moneta unica potrebbe convenire soltanto ai paesi legati da una stretta integrazione economica, caratterizzata non solo da un forte interscambio commerciale, ma anche da un'elevata mobilità sia del capitale finanziario, che dei lavoratori, grazie alla quale poter affrontare gravi crisi nei rapporti economici e commerciali dei paesi membri.

In caso di shock asimmetrico all’interno dell’unione monetaria, dovuto all'aumento nella domanda di beni prodotti in un paese (paese A) e al contemporaneo calo nella domanda di beni prodotti in un altro paese (paese B), l'aggiustamento della bilancia dei pagamenti non può essere ottenuto con la variazione del tasso di cambio; un’opzione che permetterebbe al paese B di svalutare, rendere i propri prodotti competitivi ed evitare il deterioramento della bilancia commerciale, con conseguente crescita della disoccupazione ed esplosione delle questione sociale. leggi tutto

Il viaggio di Felipe González a Caracas

Luca Costantini * - 20.06.2015

Nell’estate del 1976, durante gli incontri del Partito Socialisa Obrero Español (Psoe), Felipe González, all’epoca poco più che trentenne, avvertiva sull’ipotesi che la giovane democrazia spagnola emulasse lo «scenario italiano» del dopoguerra. González temeva il sorpasso del partito comunista di Carrillo e più in generale un accordo di quest’ultimo con il partito di centro di Adolfo Suárez, sullo stile del compromesso storico. Comprese che il Psoe doveva disincagliarsi dalla retorica ribellistica, e proporsi come forza egemonica della sinistra sulla base di un progetto revisionista.

Dapprima agì per consolidare la sua leadership all’interno del Psoe. Limitò il peso delle federazioni regionali, promosse una politica moderata a livello sindacale, rinunciò a Marx e adottò i principi politici della cultura social-liberale (la stessa che in quegli anni andava proponendo invano Norberto Bobbio in Italia). Libertà e cambiamento divennero i termini più utilizzati dai socialisti spagnoli fino a che, nel 1982, riuscirono a conquistare il potere. Vi rimasero fino al 1996, facendo della Spagna un paese moderno, europeo e democratico.

I risultati di quell’epoca fortunata sono evidenti ancor oggi. La Spagna è la quarta economia continentale, ha indici di turismo altissimi e un settore produttivo di punta come l’agroalimentare. Dal punto di vista della ricerca è un paese avanzato, e in quanto a infrastrutture può pienamente considerarsi un paese sviluppato. leggi tutto

Macedonia: verso una soluzione della crisi?

Christian Costamagna * - 18.06.2015

La Macedonia, nota ufficialmente nelle organizzazioni internazionali come “ex repubblica jugoslava di Macedonia”, da alcuni mesi sta vivendo una profonda crisi politica. Il partito d’opposizione, il partito socialdemocratico guidato da Zoran Zaev (SDSM), contesta il governo guidato da Nikola Gruevski, leader del partito conservatore (VMRO-DPMNE). Dallo scorso maggio, si è giunti alla mobilitazione delle piazze. La comunità internazionale cerca di mediare una via d’uscita pacifica dalla crisi.

Breve genesi di una crisi largamente prevedibile.

Di tutte le ex repubbliche, quelle che più assomigliano, nella forma di governo, alla Jugoslavia di Tito, sono la Bosnia ed Erzegovina e la Macedonia. In effetti, entrambe le repubbliche, come la federazione titina, sono costituite da società divise, amministrate da partiti fondati simbolicamente sull’etnia, con un’economia fondata sul prestito internazionale e sul debito, in un contesto di profondo clientelismo e corruzione, ove la tessera di un partito può essere fondamentale nell’ottenere un lavoro nel settore pubblico. Per quanto le ultime caratteristiche citate non siano ovviamente un’esclusiva dei Balcani, certamente è lì che destano le maggiori preoccupazioni. In altri termini, oltre ad una situazione economica relativamente stagnante e ad un tasso di disoccupazione molto elevato (fenomeno anch’esso diffuso nella regione), la Bosnia e la Macedonia condividono anche divisioni politiche tra comunità etniche e nazionali, peraltro istituzionalizzate dai rispettivi accordi di pace (Dayton per la Bosnia, leggi tutto

La sigaretta di Obama e lo stanco rituale del G7

Giovanni Bernardini - 16.06.2015

E un altro G7 è scivolato via tra boccali di birra formato bavarese, trite battute sui pantaloni di pelle locali, idilliaci bozzetti alpini di campanili acuminati. Evidentemente gli anni passano senza mutare l’odiosa tendenza dei vertici a fare delle località che li ospitano degli scialbi stereotipi. Grillinamente parlando, si sarebbe tentati di concludere che, se questa banale coreografia corrisponde all’immagine che i sette capi di governo hanno dei rispettivi paesi, c’è da dubitare delle loro ricette per il futuro. Si dirà: “non ci si fermi alle apparenze”. Ben volentieri, se non fosse che l’incontro ha dominato la stampa internazionale soprattutto per un increscioso dubbio che poco ha a che vedere coi contenuti: era una sigaretta quella che Obama stava estraendo nella foto insieme a Matteo Renzi? Analisi tecniche delle immagini, pugnaci pamphlet libertari che invitano il Presidente a non cedere ai bacchettoni, accuse d’incoerenza col salutismo professato altrove, fino all’apoteosi della smentita ufficiale (si badi bene: ufficiale) della Casa Bianca.

 

Apparenze anche queste, certo. Ma chi conosce la storia del G7 sa che l’apparenza non è mai secondaria. Risale al 1975 la convocazione del primo vertice, nel mezzo di una grave crisi economica e di enormi mutamenti globali che, a detta dei protagonisti, esigevano leggi tutto

Il Kirchentag 2015: le Chiese evangeliche guardano al futuro analizzando il presente.

Claudio Ferlan - 09.06.2015

Domenica scorsa, 7 giugno, è terminata a Stoccarda la 35a edizione del Kirchentag, manifestazione che dal 1949 raduna i fedeli delle Chiese evangeliche tedesche. Tradizionalmente le giornate sono dedicate a temi che mettono in dialogo il mondo ecclesiastico con quello della società civile. Il motto scelto dagli organizzatori dell’appuntamento 2015 è stato: “Affinché diventiamo saggi” (Salmo 90,12), un versetto preso a simboleggiare l’impegno per la costruzione di modelli di vita più sostenibili. A testimoniare saggezza è stato quantomeno il comportamento dei visitatori, lodato dal direttore della polizia cittadina, Andreas Stolz, che ne ha evidenziato pazienza, cortesia e gentilezza. Di fronte a inevitabili code e lunghi tempi d’attesa, resi per di più disagevoli da un caldo poco abituale, tutto è filato alla perfezione; la disponibilità di tutti ha consentito la celebrazione di una vera e propria festa di pace, ha commentato Stolz.

 

Numeri e creatività


Come riassume efficacemente l’ottimo sito kirchentag.de, le cifre non mentono ed evidenziano la riuscita dell’evento: 100.000 presenze all’inaugurazione, 95.000 alla messa conclusiva, 600.ooo in totale le persone accorse nella capitale del Baden-Württemberg per il Kirchentag, più di 50.000 dei quali di fede cattolica. A dare conto della maestosità dell’iniziativa, va ricordata almeno un’altra cifra: 2.500 avvenimenti tra conferenze, dibattiti, studi biblici, celebrazioni, spettacoli teatrali, mostre, concerti, workshop. Impossibile dunque pretendere di riassumere quanto successo a Stoccarda, meglio porre la lente d’ingrandimento su alcuni temi portanti, che a nostro parere restituiscono la capacità delle chiese evangeliche di guardare al futuro con serenità e con la volontà di farvi attivamente parte. leggi tutto