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Scenari internazionali e questioni domestiche
È difficile non tenere conto del peggiorare della congiuntura internazionale. Sul fronte ucraino è ormai evidente che Putin non ha alcuna intenzione di arrivare ad una qualche composizione del conflitto, perché è convinto di avere la vittoria a portata di mano. L’analisi va fatta sempre con molta cautela, perché c’è tanta tattica comunicativa in quello che si fa circolare: le notizie vengono diffuse per creare certe aspettative nell’opinione pubblica in modo che questa condizioni le decisioni dei diversi governi.
Certo i massicci bombardamenti russi sulle città chiave dell’Ucraina non sono notizie, ma fatti, però non è detto che il loro scopo non sia anche quello di fiaccare la disponibilità occidentale a sostenere la capacità di resistenza di Kiev confermando la tesi che ormai le armate di Mosca siano ad un passo dalla vittoria. Naturalmente i governi hanno a disposizione informazioni più precise, ma anche loro lasciano filtrare quelle che ritengono utili alle rispettive politiche. Così non è facile capire se veramente l’avanzata dei russi sia lenta e costosissima in termini di perdita di uomini e di materiali, anche se è noto che nella tradizione bellica di quel paese il tributo in vite umane sia preso a dir poco alla leggera secondo il vecchio mito che il leggi tutto
Schermaglie da comari, mentre il mondo fibrilla
La definizione di lite delle comari per uno scontro fra Beniamino Andreatta e Rino Formica nel 1982 ci è tornata in mente a proposito delle schermaglie fra maggioranza e opposizioni sul ruolo internazionale dell’Italia. Intendiamoci: i due citati sopra erano dei giganti a confronto dei propagandisti demagogici dei nostri giorni, nonostante alcuni di questi ultimi abbiano avuto o abbiano posizioni di governo. È abbastanza stupefacente che i commentatori politici non colgano la superficialità strumentale con cui tutta la faccenda è trattata.
Le relazioni internazionali sono sempre state un terreno complesso in cui non valgono le regole che si applicherebbero ai rapporti personali o anche istituzionali di altro tipo. Per esempio la questione dell’essere coinvolti o esclusi in una trattativa non è riducibile a singoli episodi, ma va inquadrata nello svolgimento complessivo delle vicende. Del resto si è visto benissimo che Meloni non ha partecipato all’incontro fra i cosiddetti “volonterosi” di Tirana, ma il ministro degli esteri del suo governo ha partecipato ad incontri più o meno simili in un altro luogo, e infine la nostra premier è tornata al tavolo con Macron, Starmer, Merz e Tusk in una successiva occasione in cui di nuovo si sono sentiti con Trump ed è poi stata ulteriormente coinvolta. leggi tutto
Come evitare l'esplosione dell'Europa
Sylvie Goulard, già europarlamentare e collaboratrice di Romano Prodi nel periodo della sua presidenza della Commissione (2001/2004) ci consegna un interessante saggio dove si misura con un tema di grande attualità: l’allargamento dell’U.E. come deriva incalzante e persino ineludibile su cui sembrano convergere da tempo i leader del vecchio continente più di quanto siano stati e siano tuttora impegnati al consolidamento dell’U.E. L’autrice pone una questione procedurale ed enfatizza la sua propedeuticità rispetto all’ingombrante assillo della crescita numerica dei Paesi membri dell’Unione: fondamentalmente il tema riguarda l’aspetto identitario di un rassemblement di quasi 400 milioni di abitanti degli attuali 27 Stati membri che dovrebbe essere da tempo la principale preoccupazione dei governi avvicendatisi nei Paesi che sono parte dell’U.E.
A fronte dell’ipotesi di una ulteriore inclusione di altri Stati nel consesso dell’U.E. (si tratta di Ucraina, Moldavia, Georgia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Turchia: quest’ultima, che figura nell’elenco della comunicazione della Commissione dell’8/11/2023, nonostante le negoziazioni con Ankara siano a un punto morto, porterebbe in dote qualcosa come 90 milioni di abitanti. “Un’inezia” come la definisce eufemisticamente la Goulard, che porterebbe la popolazione europea a oltre 500 milioni di abitanti. Nell’un caso o nell’altro si passerebbe infatti a 36 o 37 Stati membri. leggi tutto
Un passaggio molto stretto
Si vota in Parlamento sulla relazione della premier riguardo a quello che sarà l’atteggiamento dell’Italia al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. Un passaggio molto stretto, che l’opinione pubblica percepisce per lo più nelle semplificazioni di movimenti, intellettuali, populisti e demagoghi, cioè nel modo meno utile per cercare di capire cosa sta accadendo.
Prima di addentrarci dunque in una analisi delle molte posizioni dei partiti politici italiani, proviamo a fissare qualche coordinata che aiuti ad orientarsi. Il primo punto da tenere a mente è che la posizione del governo viene delimitata dal suo ruolo e dal suo posizionamento nello scacchiere internazionale. L’Italia non è una grande potenza, ma non è neppure un piccolo paese marginale, dunque deve stare nelle dinamiche attuali con queste consapevolezze. In pratica significa che da un lato non può permettersi una rotta di collisione con la nuova amministrazione americana (anche a prescindere dal fatto che alla nostra premier stia simpatica), perché siamo storicamente connessi con quel sistema. Certamente la attuale evoluzione alla Casa Bianca può e deve preoccupare, ma non è abbastanza per rompere (del resto nessuno in Europa vuole veramente farlo). Poi è difficile capire cosa davvero abbia in mente Trump e dunque senza entrare in collisione con lui rimane leggi tutto
Il futuro dell'Europa e la tecnocrazia americana che solidarizza con Putin
Alcuni anni fa un articolo di Time – “Wanted people Renaissance” (‘Cerchiamo gente del Rinascimento’) – descriveva un’America che guardava alla storia e alla cultura dell’Europa: l’avvento dirompente della tecnologia negli stili di vita e nel modo di pensare suggeriva una riscoperta delle radici profonde della civiltà ereditata dal vecchio continente che Umanesimo e Rinascimento avevano ben rappresentato esprimendo valori universali.
Quanto sia cambiata questa consonanza ideale di una parte dell’America lo si può riscontrare dalle parole e dalle azioni dell’establishment che da un paio di mesi la rappresenta. L’abbandono dell’alleanza atlantica e la sottostima degli organismi internazionali di cui gli USA hanno fatto parte come simbolo di appartenenza ai consessi delle democrazie occidentali sono accompagnati dalla marginalizzazione e dal disprezzo (‘l’Europa ci ha truffati’), sentimenti di rancore e distacco mai ascoltati dal dopoguerra ai giorni nostri.
Il trattamento riservato all’Europa fa il paio con il disimpegno americano – un vanto personale di Trump- nei confronti dell’Ucraina: è una faccenda che riguarda l’U.E. per questo il sostegno militare e soprattutto il servizio di intelligence sono stati ritirati con una sovraesposizione drammatica e immediata di Kyiv e del suo esercito continuamente e ininterrottamente sottoposti a bombardamenti di missili e droni diventati improvvisamente inintercettabili: ciò accade leggi tutto
C’era una volta in America
Il vulnus più castrante di ogni democrazia è la regola ineliminabile dell’uno vale uno. Che è il fondamento del principio di uguaglianza ma anche la causa di rallentamenti, inciampi, complicazioni applicative se il voto di un mentecatto vale quello di un genio (ma nulla però al confronto con la dittatura di uno solo al comando, dove gli oppositori sono fatti fuori semplicemente sopprimendoli). Eppure la più grande democrazia del mondo ha retto a questo potenziale ostacolo e lo ha superato, dalla Costituzione approvata a Filadelfia nel 1787 ed entrata in vigore nel 1789 (lo stesso anno della Rivoluzione Francese) e dai primi dieci emendamenti – gli United States Bill of Rights - che esaltano le tutele civili e le libertà individuali. Situata all’entrata del porto sul fiume Hudson al centro della baia di Manhattan dove fu collocata nel 1885 – dono proprio della Francia – la Statua della libertà è stata ed è tuttora un mito per l’America ed un simbolo per l’intero mondo libero.
La speranza è che possa restare tale anche oggi e per il futuro, per noi, per l’Europa, per i popoli oppressi dalle tirannie, per tutti coloro che credono nella libertà e nell’amicizia con gli Stati Uniti in nome di un’alleanza che non è solo militare o economica ma leggi tutto
Le incertezze di un passaggio storico
Non sappiamo se si possa già parlare di una svolta storica dopo la sceneggiata tra Trump, Vance e Zelensky messa in onda dallo Studio Ovale: perché un episodio si trasformi da singolo evento, bello, brutto, o, come nel nostro caso, orripilante, in un momento storico di cambiamento è necessario attendere cosa accadrà. Non fosse altro perché le conseguenze possono essere molteplici.
Consentiteci di sottrarci ai ragionamenti di quelli che parlano di realpolitik senza sapere cosa sia e di quelli che vogliono accreditarsi come censori della storia: le faccende sono molto più complicate. Prima di tutto non è chiarissimo se Trump non abbia costruito apposta lo scontro in mondo visione per mascherare quello che può essere un suo primo fallimento: aveva promesso di chiudere il conflitto russo-ucraino in pochi giorni, mentre, questione dei tempi necessari a parte, deve riscontrare che Putin non ha nessuna intenzione di consentirgli una vittoria a meno che non contenga anche quella totale della Russia. Come si può immaginare, non solo a queste condizioni per The Donald non sarebbe un gran risultato (la gente non è del tutto cieca), ma non sarebbe neppure accettabile per l’America.
Con la sceneggiata crede di aver scaricato sul presidente ucraino la colpa del fallimento leggi tutto
L'Europa e l'Ucraina sotto scacco. Trump e il gioco delle tre tavolette
Finora solo il figlio di Musk, nell’innocenza dei suoi 4 anni, ha apostrofato duramente Trump proprio nella stanza ovale della Casa Bianca: “Chiudi il becco. Non sei tu il Presidente”. Magari avrà ripetuto parole ascoltate a casa, il video è virale in rete e smorza ironicamente il clima raggelante che avvolge ben altri discorsi che circolano in questi giorni tra potenti e soccombenti della Terra. A cominciare da quello del vice Presidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che ha spinto l’Europa nell’angolo dell’irrilevanza, dopo averla ben bene schiaffeggiata. Un missus dominicus assai istruito che di suo ci ha messo una tracotanza non da poco. Per continuare con Marco Rubio, Segretario di Stato che ha contattato il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov per mantenere aperti i contatti (“dialogo con rispetto”) avviati con la telefonata tra il tycoon e Putin, o in modo ancor più eloquente con l’affermazione perentoria dell'inviato speciale di Donald Trump per l'Ucraina Keith Kellogg : “L’ Europa sarà consultata ma non siederà al tavolo dei colloqui di pace sull'Ucraina” precisando di appartenere alla "scuola del realismo e che ciò non accadrà", come riporta il Guardian. “Potrebbe essere come il gesso sulla lavagna, potrebbe irritare un po', ma leggi tutto
Interpretare il cambiamento in corso
È particolarmente difficile districarsi in quel che sta succedendo nel panorama delle relazioni internazionali. Indubbiamente l’avvento di Trump alla Casa Bianca ha acuito il disorientamento che da tempo domina in quel campo: siamo davanti ad un giocatore di poker che ha come obiettivo quello di confondere tutte le carte per costringere gli altri a cambiare le loro ed esibire solo all’ultimo le sue. Tuttavia non è una storia che sia iniziata un mese fa (era il 20 gennaio quando il 47° presidente giurò e si insediò nel ruolo): a dichiarare finita l’era dell’ordine internazionale così come si era delineato, con alti e bassi, dopo il 1945, fu nel 2007 Putin, il quale intervenendo alla conferenza sulla sicurezza di Monaco chiarì che non accettava quella regolamentazione che con il crollo dell’URSS era finita nelle mani solo degli Stati Uniti.
Poiché tutto si inserisce in una generale transizione storica che tocca anche il quadro culturale, e di conseguenza economico e sociale, all’interno del quale si era configurato l’ordine post 1945, non meraviglia che siamo in presenza dell’intrecciarsi di piani diversi e di spinte contrastanti. Quel che avviene nel caso della guerra in Ucraina, così come in quello delle guerre in Medioriente si deve cercare di inquadrarlo a partire da queste premesse. leggi tutto
Il quadro politico si va complicando
Qualcosa si muove nella politica italiana a fronte di quanto è avvenuto dopo le votazioni a Strasburgo per la riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Anche se inizialmente si era detto che quel che accadeva nel parlamento europeo non avrebbe avuto ricadute sulla politica di casa nostra, così non è stato.
Giorgia Meloni ha sottovalutato la portata di quel che si stava formando negli equilibri della UE. La sua scelta di opporsi alla selezione dei candidati ai vertici nel Consiglio europeo e poi di non votare la nomina della von der Leyen l’ha messa nella sgradevole posizione di perdere una quota non insignificante del prestigio che si era guadagnata. È stata oggettivamente intrappolata dalla scelta di Macron, Scholz e Sanchez di dare una torsione “partitica” alla configurazione di vertici UE, rompendo lo schema tradizionale del condominio a livello di stati. Non ha colto che le debolezze interne in alcuni contesti nazionali chiave spingevano all’arrocco, dimostrando così di non voler dare spazio ad un conclamato “vento di destra” che in realtà era meno forte di quanto voleva apparire. Questo spingeva a negare a Meloni un ruolo chiave come possibile “ponte” verso un conservatorismo di destra che in realtà non leggi tutto