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Il TTIP e il futuro del “Mondo Atlantico”: una proposta di lettura

Giovanni Bernardini - 17.03.2015
Ennio di Nolfo - Il mondo atlantico e la globalizzazione

Chi frequenta con regolarità Mente Politica, sa quanto spazio abbiano dedicato le sue pagine alla politica estera italiana e alle relazioni esterne dell’Unione Europea, confluite nel recente semestre di presidenza e nella nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante. Pure all’interno di una salutare diversità di opinioni, tali riflessioni nascono dalla convinzione condivisa che la superficialità e il disinteresse riservati alla politica estera dall’opinione pubblica costituiscano sintomi preoccupanti di provincialismo e impoverimento di una cittadinanza attiva e consapevole. Si ha talvolta l’impressione che alla lunga parabola della Guerra Fredda, con la sua evidente osmosi tra il gioco delle forze politiche interne e l’andamento delle questioni internazionali, sia seguita una fase di sterili contrapposizioni attorno alla presunta ineluttabilità della “globalizzazione” e dell’integrazione continentale. Ineluttabilità destituita di ogni fondamento: il fatto che si sia trattato e si tratti di processi apparentemente sovraordinati non significa che non rimanga spazio per l’azione collettiva e per il tentativo politicamente organizzato di plasmare i rapporti internazionali. Così come non aveva senso accordarsi al flusso degli euroentusiasti o dei pro-globalizzazione, convinti di aver finalmente rinvenuto in quei processi la “cifra della storia”, ancora meno sopportabile è l’atteggiamento arrendevole di chi continua ad accogliere il presunto declino dell’Europa come un castigo di origine ultraterrena o una catastrofe naturale inevitabile.

Discorsi tondi e ragionevoli, cui la dialettica politica twittata dei nostri giorni sostituisce imbarazzanti e perentorie castronerie pro o contro l’Euro, la Merkel, i flussi migratori, le “primavere arabe”, la Russia di Putin, la detenzione dei marò. La valutazione delle ragioni storiche, delle conseguenze così come delle possibili alternative, è un orpello inesauribile nei 140 caratteri a disposizione, e dunque sacrificabile. Il che rimanda a un’annosa questione già posta su queste pagine: data l’indisponibilità della politica, chi dovrebbe farsi carico dell’auspicata funzione pedagogica dell’opinione pubblica per distoglierla dall’insana idea che il mondo sia qualcosa di valutabile e giudicabile soltanto dall’angolo visuale della propria finestra di casa? Anche su questo terreno il nostro paese rivela la carenza cronica di un’offerta di approfondimento che si collochi a livello intermedio tra la pubblicazione specialistica e dunque difficilmente accessibile, e il resoconto più volatile e superficiale dei quotidiani e dei telegiornali. Sarebbe piuttosto necessaria una saggistica, comune in altri paesi europei, che punti sulle dimensioni ridotte e sull’efficacia di strumenti analitici propri delle scienze sociali da declinare in un linguaggio comprensibile e utile per chi, ogni giorno, cerca di attribuire un senso non fenomenico ai processi di cui è parte.

Ben venga dunque il nuovo contributo di Ennio Di Nolfo, “Il mondo atlantico e la globalizzazione”, recentemente pubblicato da Mondadori. Il libro è animato dall’obiettivo esplicito di conferire una profondità storica all’inesistente dibattito nostrano sul cosiddetto TTIP o “Partnership Transatlantica sul Commercio e gli Investimenti”. Il segreto con cui esso è stato discusso e negoziato finora, nonché la goffa, farraginosa e maldestra struttura comunicativa dell’UE, non hanno saputo o voluto fornire risposte convincenti ai tanti legittimi timori che albergano su questa sponda dell’Atlantico. Timori che, come è noto, si sono concentrati per il momento sul livellamento al ribasso che il TTIP produrrebbe sulle tutele dei consumatori e dei lavoratori, sugli standard qualitativi di beni e servizi e, in definitiva, sul potere delle autorità pubbliche rispetto alle aziende multinazionali. Proprio l’insensata o sospetta segretezza sull’impianto generale dei negoziati – giova ripeterlo – ha determinato lo spostamento dell’attenzione collettiva sulle ricadute nei singoli ambiti della vita collettiva.

Il volume di Di Nolfo aspira invece a riportare al centro del dibattito il passato e l’attualità di un “Mondo Atlantico” che, ben lungi dal vedere la luce nell’era del TTIP, ha una sua storia ormai secolare e dinamiche proprie che ne hanno determinato l’ingresso nella fase di “globalizzazione” attuale. “Quando si cercano le motivazioni profonde dell’opportunità, o forse della necessità, di un accordo commerciale che elimini le barriere doganali e quelle non tariffarie nei rapporti tra Unione Europea e Stati Uniti, il peso della storia e quello delle conseguenze politiche sono le due categorie entro le quali collocare l’argomentazione”. Va da sé che Di Nolfo, Professore Emerito di Storia delle relazioni internazionali, dedica la propria attenzione soprattutto al primo dei due parametri, ovvero al passato dei rapporti transatlantici nel lungo Ventesimo Secolo fino alle soglie dell’era attuale. La chiave di lettura prescelta è l’interdipendenza strutturale, maturata e costruita soprattutto a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, ma presente in nuce già nei decenni precedenti, quando Europa e Stati Uniti hanno reciprocamente influenzato il loro sviluppo economico e politico attraverso un continuo transito di idee, metodi, persone fino a fare dell’Atlantico una sorta di “lago interno”. Un’interdipendenza “speciale” che ha dunque conosciuto una varietà di mutazioni e metamorfosi all’interno di quella più ampia e crescente con il resto del globo, al punto che ritenere la loro “globalizzazione” economica come una primizia dei nostri giorni è il più banale degli anacronismi contro cui l’autore argomenta diffusamente.

In definitiva l’agile e documentato excursus storico vuole suggerire al lettore l’idea che un ulteriore progresso dell’integrazione del mondo transatlantico, per mezzo del TTIP o meno, potrebbe risolversi positivamente in un incremento del peso dell’Europa stessa e della sua identità nelle relazioni internazionali, conferendo a queste ultime un’eredità valoriale importante e positiva. Questo in modo non dissimile da quanto prodotto nella fase post-1945, quando il rafforzamento dell’integrazione strutturale ha consentito all’Europa (almeno a quella occidentale) di risollevarsi dalle macerie materiali e morali di due conflitti mondiali e di inaugurare un’era di prosperità e democrazia senza precedenti. Ne consegue il paradosso per cui, rinunciando a considerare anche questa apertura di possibilità, ci si priverebbe di argomenti storici utili a discutere ed eventualmente a contestare gli ancora fumosi lineamenti del Trattato in discussione, le sue criticità e ristrettezze a fronte dei valori che l’area euro-atlantica ha espresso nel tempo. Per una volta, dunque, il libro rappresenta un messaggio di speranza ragionata e non superficiale, utile a tutti gli schieramenti intenti a dibattere delle sorti della partnership transatlantica. A patto che abbiano voglia di riflettere su un tema così cruciale per il futuro in più di 140 caratteri e di una manciata di hashtag.