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Sarà Mario Draghi il vero stratega anti-Trump?
Quando il giorno dell’esito elettorale in USA ho scritto che la lezione americana consisteva nel pragmatismo estremo dimostrato dal vincitore intendevo cogliere – in estrema sintesi – la spiegazione più veritiera del voto per come è stato espresso in modo netto dal popolo americano. Un pragmatismo che consiste nell’aver individuato i temi su cui giocare la leadership cogliendo e rappresentando i bisogni e le aspettative della gente. Sono perciò confortato nel veder confermata da un editoriale del Washington Post questa chiave di lettura per avvalorare tale interpretazione. Noi europei e noi italiani in particolare siamo abituati ad esprimere ragionamenti politici basati su una narrazione complessa che finisce per perdere di vista i fondamentali, argomentando in modo divisivo e radicato su presupposti più teorici che pratici. Per questo nel nostro Paese la polarizzazione post-ideologica è fondata su retaggi del passato che ciclicamente ritornano, creando peraltro una sorta di incomunicabilità e difficoltà rappresentativa tra paese legale e paese reale. Per questo inoltre esser parte dell’U.E. dopo il lungo cammino storico e istituzionale successivo alla seconda guerra mondiale, lascia trasparire le difficoltà dello stare insieme piuttosto che le ragioni di una possibile unità di intenti rispetto alle potenzialità che questo salto di qualità atteso da decenni ci consentirebbe di realizzare. leggi tutto
Le fascinazioni superficiali per gli esempi stranieri
Siamo da sempre un paese che ama rispecchiarsi in quel che avviene nei grandi paesi. È dal Risorgimento che va avanti così: la Francia, l’Inghilterra, poi la Germania, poi gli USA, qualche volta la Spagna, la Cina, con continue entrate e uscite, a volte anche di paesi un po’ strane (ricordate le fascinazioni per Cuba e per il Vietnam?). Ovviamente non è che si prendano in considerazione proprio le complessità di quel che accade altrove, in genere ci si accontenta di assolutizzare alcune impressioni che possono portare acqua al mulino di questa o quella forza politica.
L’ultimo caso è la vittoria di Trump nelle elezioni per la presidenza americana, che hanno infiammato le letture del futuro da parte delle destre e condizionato quelle di molte altre componenti. Non moltissimo tempo fa c’è stata l’esaltazione della vittoria elettorale del “Nuovo Fronte Popolare” in Francia che aveva galvanizzato le sinistre nostrane e i commentatori che le supportano. In quel caso stiamo vedendo che non è che stia andando a finire benissimo, almeno per ora, ma noi non facciamo parte di nessun fan-club per cui sappiamo che i tempi della politica sono più lenti di quel che si pensa.
Tornando a Trump, adesso si scommette a destra leggi tutto
Il sogno americano di John Fitzgerald Kennedy, sessant'anni dopo
Se alle 12:29 del 22 novembre 1963 la Lincoln Continental presidenziale - dove JFK sedeva in seconda fila - entrando in Dealey Plaza a Dallas avesse proseguito diritto su Main Street, come inizialmente era previsto, anziché svoltare a destra su Houston Street ad una velocità di circa 18 km/h, passando lentamente di fronte al deposito di libri della Texas School dove il suo assassino si era strategicamente appostato, forse il Presidente Kennedy si sarebbe salvato da quel pericoloso viaggio elettorale in Texas, ricco di nefaste premonizioni e carico di un clima apertamente ostile a quella visita. Ma John Kennedy che era consapevole dei rischi che correva - tanto da averne premonizione la stessa mattina -decise di affrontare il suo incerto e rischioso destino. La storia non attende i ‘ma’ e i ‘se’ e compie inesorabile la sua parabola: tutto era stato orchestrato affinché in quel momento esatto a poche decine di metri di distanza Lee Oswald prendesse la mira e colpisse al collo e alla testa il Presidente che si accasciò tra le braccia di Jaqueline che gli sedeva accanto. La morte repentina al Parkland Memorial Hospital e ciò che avvenne quel giorno fatale - i dettagli macabri di quell’avvenimento, con i volantini listati ad un lutto annunciato, leggi tutto
Siamo stati schiavisti. I gesuiti negli Stati Uniti fanno i conti (salati) con il proprio passato
La Compagnia di Gesù si è assunta una assai rilevante responsabilità negli Stati Uniti, impegnandosi a raccogliere 100 milioni di dollari a beneficio dei discendenti delle persone schiavizzate che un tempo l’ordine religioso possedeva e aveva venduto per agevolare un’operazione commerciale. Il New York Times ha salutato la promessa dei leader gesuiti americani come uno dei più grandi sforzi della Chiesa cattolica romana nel fare ammenda per il proprio coinvolgimento nello schiavismo.
Andiamo indietro nel tempo per cercare le radici di questo impegno. Nel 1838 i proprietari gesuiti dell’Università di Georgetown vendettero 272 schiavi, uomini, donne e bambini, ai proprietari di piantagioni in Louisiana, in cambio di 115.000 dollari (equivalenti a circa 3,3 milioni di dollari del 2021).
Perché i gesuiti lo fecero? Per far fonte ai debiti accumulati dalla Georgetown University (allora Georgetown College), fondata da John Carroll nel 1789, quando la Compagnia di Gesù era formalmente soppressa ma lottava per sopravvivere in varie parti del mondo. È stata la ricerca storica a consentire la messa in moto del procedimento di risarcimento, chiamiamolo così, che ha dato il via all’onere dei 100 milioni. Nel settembre 2015 Georgetown si è impegnata “in un processo di lungo termine e continuativo per comprendere più profondamente e per dare risposta al ruolo dell’università nell’ingiustizia della leggi tutto
La democrazia è una cosa seria
Lo choc per i fatti di Washington è stato abbastanza forte. Si è visto come quella che era stata elevata a madre del costituzionalismo democratico sia finita ad essere teatro di un assalto al suo parlamento da parte di bande di facinorosi esagitati istigati a farlo da un presidente sconfitto alle elezioni. Vale il vecchio detto che chi semina vento (Trump e i suoi vari supporter) raccoglie tempesta. Purtroppo i seminatori di vento sono molti, anche in Italia, e la delegittimazione del sistema democratico è una tempesta che può sempre essere in procinto di scatenarsi.
Per questo ci permettiamo di attirare l’attenzione su alcuni argomenti pericolosi che vengono agitati durante la attuale crisi politica che non sappiamo ancora come potrà concludersi. Non tifiamo per nessuno degli attori che con maggiore o minore insensatezza occupano l’attuale ring politico, vorremmo semplicemente che si evitasse di diffondere argomentazioni che sono rischiose per la stessa tenuta del nostro sistema.
La più banale è l’affermazione che un partito che ha il 2% (stimato) dei consensi non avrebbe diritto a porre questioni di tenuta del governo. Ovviamente in democrazia chiunque è titolato ad intervenire sulla gestione della cosa pubblica. Se sono questioni fondate se ne dovrebbe tenere conto, perché è irrilevante la percentuale leggi tutto
La politica populistica di Trump e la lotta religiosa per il controllo del sogno americano
Nelle recenti elezioni presidenziali gli Stati Uniti sembrano essere giunti, nell’opinione dei mass media, a un punto di radicale rottura del paese in due fazioni, schierate in un, seppur banale e riduttivo, “o con Trump o contro”. Se da una parte questa divaricazione sociale, culturale e politica è stata incentivata dal populismo e dalla dialettica del miliardario repubblicano, dall’altra la netta estremizzazione delle posizioni tra democratici e repubblicani può leggersi in una chiave evoluzionista, la quale può far luce su una strategia politica fredda e programmata: non dunque, come la frenetica attività dei media ritiene, a una deriva populistica di Donald Trump, di concerto con il suo establishment.
A questo scopo risulta interessante riprendere un libro di Emilio Gentile, “La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore” (Bari, Laterza, 2008), che pur focalizzandosi sulla politica portata avanti dalla presidenza di George W. Bush figlio, analizza un particolare aspetto della politica USA che in questo periodo storico assume un connotato molto più aspro e deciso.
Gentile si concentra sulla forte connotazione religiosa data alla figura del presidente degli Stati Uniti da Bush, riuscendo in tal modo a rendere indiscutibili e immuni da ogni critica razionale le sue mosse politiche, leggi tutto
Il populismo, la pandemia e gli equilibri politici
Subito dopo l'elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti d'America, molti commentatori hanno giustamente ricordato che il populismo non scomparirà con Trump (quest'ultimo, anzi, ha ottenuto un numero di voti persino superiore rispetto al previsto). Il fatto che la destra leghista e quella neomissina abbiano perso importanti agganci internazionali (ma non tutti) non ha alcun peso sul consenso che questi soggetti politici hanno nel Paese. La stessa Meloni, peraltro, è alla guida dei conservatori europei e sembra proiettata (più di Salvini, rimasto ancorato a Trump, diversamente dal suo collega di partito Giorgetti) verso la leadership politica - e un giorno forse anche numerica - della destra italiana. C'è da dire, anzi, che la base dell'estrema destra, da noi, è molto meno improntata alla realpolitik di certi suoi rappresentanti: un rapido giro sui social network sarebbe stato sufficiente, nei giorni immediatamente successivi alle elezioni americane, per rendersi conto che Trump era e resta il "capo spirituale" di parecchi elettori italiani. Senza contare che anche in certi ambienti ultraconservatori cattolici - quelli, per intendersi, che fanno fatica a riconoscere Bergoglio come Pontefice e che amano Benedetto XVI - il trumpismo non è certo finito con la sconfitta del magnate americano. Il populismo internazionale e quello italiano, insomma, sono vivi leggi tutto
Quel mattino di primavera
La notizia che la pandemia abbia portato gli Stati Uniti alla testa della triste classifica mondiale dei contagi e dei decessi e, nel contempo, causato finora oltre 20 milioni di disoccupati, difficilmente riassorbibili nel mercato del lavoro, conduce ad inevitabili considerazioni che sconfessano uno dei fondamenti su cui è costruita la Costituzione americana: “ tutti gli uomini sono stati creati uguali… dotati di Diritti inalienabili, fra questi la Vita, la Libertà, la ricerca della Felicità”. Infatti, la situazione di precarietà socio-sanitaria degli USA poggia su uno storico, e ancor solido modello liberista, gravato dal più elevato tasso di privato conosciuto in ogni ambito delle organizzazioni sanitarie dell’Occidente con l’effetto inevitabile di divaricare le diseguaglianze sociali fino alla rottura con conseguenze incalcolabili, estensibili in ogni piega della società.
Difficile mantenere intenti ideali tanto alti, addirittura di stampo teleologico, se perfino la American Medical Association nel 2007 ha dichiarato pubblicamente la sua “contrarietà alla Riforma sanitaria per un possibile deragliamento del sistema sociale verso un modello d’impianto socialista” di fronte alla volontà e alle iniziali misure dell’Amministrazione Obama di estendere, a fasce bisognose di popolazione, la gratuità dei diritti assistenziali.
Al di là delle enunciazioni e contrapposizioni di principio i dati essenziali parlano chiaro: negli leggi tutto
Coronavirus: Trump e ultrà tedeschi contro Curavec
I labirinti legati al Coronavirus trovano sviluppi stupefacenti. Per esempio cosa può avere a che fare Hoffenheim, frazione di Sinsheim, una cittadina del Land tedesco del Baden-Württemberg nella Germania sud-occidentale, col contagio che sta lentamente aggrovigliando grandi parti del pianeta in una tela morbosa? Soprattutto cosa c’entra in tutto questo il Turn- und Sportgemeinschaft 1899 Hoffenheim e.V, Associazione ginnico-sportiva 1899 Hoffenheim, squadra di calcio della prima divisione tedesca? Come può un anonimo gruppo sportivo che occupa il nono posto della Bundesliga essere legato ai destini della ricerca medica che potrebbe salvare un gran numero di vite umane? Per capirlo basta un ora di macchina. A 130 chilometri nord-ovest, sempre nel Baden-Württemberg, si trova la città universitaria di Tubinga. Qui opera la Curevac, impresa specializzata in ricerche biotecnologiche. Oltre il fatto di trovarsi entrambe nel Baden-Württemberg, 1899 Hoffenheim e Curevac hanno in comune un nome. Quello di Dietmar Hopp. L’uomo, cofondatore del complesso industriale SAP, multinazionale europea per la produzione di software gestionali, oltre ad essere il presidente dell’Hoffenheim è il mecenate della Curevac. Ora, da qualche tempo, il manager è diventato il bersaglio preferito degli ultras tedeschi. Grazie all’attenzione delle frange estremiste del tifo organizzato, leggi tutto
Bloomberg e le primarie dei democratici in USA
L’annuncio della candidatura di Michael Bloomberg alle primarie dei democratici USA è una notizia buona o una cattiva? Certo la possibilità che tra un anno due tycoon possano scontrarsi per conquistare la presidenza della prima potenza mondiale aumenta l’importanza del denaro nelle relazioni internazionali e il malsano aggroviglio tra economia e politica. Contemporaneamente il mondo assiste a proteste che contestano proprio l’influenza assunta dalla dark money nei singoli Stati e l’aumento dell’immoralità sociale che questa comporta. Rivendicazioni che vanno oltre linee partitiche o confessionali per identificarsi nell’ideale di un ordine civile internazionale. Dimostrazioni che non si appellano a parole d’ordine ideologiche, ma puntano su richieste concrete. Per la specialista dei movimenti di resistenza civile all’Istituto americano della pace, Maria J. Stephan, se è vero che alla base dell’attuale collera internazionale vi sono misure economiche negative, la sua vera causa sta nelle “questioni sistemiche della corruzione, la bassa qualità di governi e classi dirigenti, le forme di esclusione sociale”. Problemi che in modi diversi oggi affliggono tutte le società. L’altro motivo dell’ondata di dissenso internazionale sta nella constatazione del crescente intreccio tra politica ed economia. In maniera più o meno confusa la popolazione mondiale vede l’avanzata di forme oligarchiche di governo che potrebbero leggi tutto