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02 ottobre 2024
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Argomenti

È “vero amore”? “I giovani amanti”, recensione del film franco-belga

Francesco Domenico Capizzi * - 16.07.2022

Sintesi

Forse al di là delle intenzioni del regista Carine Tardieu, la filigrana che impronta il film ”Les jeunes amants”
è retta dal trinomio sentimento-malattia-irrazionalità.

Il sentimento più come fascino irradiato, esteriore ma trafittivo e pervasivo, che come amore consapevole e maturo.

Pierre (Melvil Poupaud), medico affermato, sul piano clinico e scientifico, nell’Ospedale di Lione, sposato felicemente con una collega bella e accattivante sotto ogni aspetto, padre di due splendidi figli, si imbatte in un’amica, Shana (Fanny Ardant), di una malata agonizzante e ne rimane colpito: la spiccata personalità incentrata e riassumibile nel suo aspetto regale ed armonioso espresso da un sorriso penetrante, un dardo all’istante scagliato dentro l’anima, al quale pare impossibile sottrarvisi.

Nessun discorso intimo fra i due, nessun dialogo, nessun confronto, come dopo 15 anni in Irlanda dove si rincontreranno casualmente.

Eppure l’attrazione di Pierre verso Shana appare totalizzante, nonostante la differenza di età sia quella di madre e figlio e nonostante il loro rapporto sentimentale rimanga superficiale, estraneo alle loro rispettive storie e visioni e prospettive di vita e alle conseguenze che, prevedibilmente, si abbatteranno sul loro futuro.

Tuttavia il rapporto epidermico-estetico-sentimentale prende piede, continua e si consolida a Parigi dove Shana risiede, raggiunta periodicamente da Pierre che leggi tutto

I due Papi

Sabina Pavone * - 05.02.2020

E’ degli ultimi giorni la notizia della pubblicazione in Francia del libro di Benedetto XVI e del cardinale Sarah in merito al tema del celibato (Des profondeurs de nos coeurs, Fayard, 2020) che ha fatto riaffiorare il tentativo delle forze conservatrici di ascrivere il papa emerito al partito anti-Bergoglio, soprattutto in risposta al sinodo dell’Amazzonia svoltosi recentemente a Roma che ha invitato a «stabilire criteri e disposizioni da parte dell'autorità competente, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente […], potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica».

La scelta di riproporre una curia profondamente divisa, espressione di due visioni della chiesa radicalmente differenti, è una prospettiva molto diversa da quella proposta da I due papi (2019), in programmazione sulla piattaforma di NetflixNonostante il titolo - che potrebbe far pensare a una visione per così dire dicotomica - il film diretto da Fernando Meirelles e interpretato da Jonathan Price (Jorge Mario Bergoglio - papa Francesco) leggi tutto

Microchimica del potere

Paolo Costa * - 07.02.2018

Recentemente la discussione sul caso degli abusi sessuali nel mondo del cinema, della politica e, più in generale, del lavoro è stata rinfocolata dalla lettera sottoscritta, tra le altre, da Catherine Deneuve. Lo stile retorico polarizzante di questa presa di posizione pubblica ha riportato sotto i riflettori una polemica che aveva già reso le discussioni degli scorsi mesi non solo un dialogo tra sordi, ma anche un’acrimoniosa disputa tra idee opposte di civiltà. Come nel dibattito originario, anche in questo caso il fronte della diatriba si è gradualmente frastagliato in una maniera che ha reso spesso irriconoscibili gli schieramenti classici destra/sinistra, progressisti/conservatori, femminismo/maschilismo. Il tutto, comunque, sempre in un clima incandescente di sospetti e accuse reciproci.

Il nervosismo e la suscettibilità non stupiscono, vista la natura asimmetrica delle relazioni tra uomo e donna fin dalla notte dei tempi. Da un punto di vista morale, il compromesso in simili questioni di principio è fuori discussione. Il rispetto per la persona non può ammettere un gradiente e il criterio della tutela della dignità umana gode giustamente di uno status non negoziabile nelle nostre società. Premesso ciò, in questo articolo vorrei concentrarmi sul coté teorico della questione. In particolare mi interessa riflettere su una dissonanza cognitiva

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C’era una volta la rivoluzione. Cronaca di un’assenza (dal grande schermo)

Maurizio Cau - 31.01.2018

Come c’era da aspettarsi, le celebrazioni legate al centenario della rivoluzione bolscevica si sono svolte sotto tono. Un po’ in tutta Europa le cerimonie ufficiali hanno lasciato il posto a commemorazioni molto misurate, quando non alla rimozione e al silenzio. Del resto in molti, a partire dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, hanno candidamente dichiarato di non sapere bene cosa ci sia da festeggiare.

Anche il cinema, spesso sensibile alle ricorrenze, ha mostrato un certo disinteresse per uno degli eventi più gravidi di conseguenze del Novecento. Certo, anche nel nostro paese è arrivata in sala, promossa dalla Cineteca di Bologna, la riedizione della Corazzata Potemkin di Sergej M. Ėjzenštejn nella splendida versione restaurata dalla Deustche Kinemathek, ma nonostante il loro carico iconico, i 68 minuti (altro che le 18 bobine di fantozziana memoria!) che Ėjzenštejn aveva girato nel 1925 su incarico del governo sovietico per celebrare i vent’anni della rivoluzione russa del 1905, non ci dicono molto del ruolo che a distanza di un secolo la rivoluzione d’ottobre ricopre nell’immaginario collettivo.

Anche le numerose iniziative dedicate di recente al cinema politico sovietico parlano solo indirettamente di ciò che di quell’esperienza storica si è sedimentato nel corso dei decenni. Come ha ricordato di recente Pietro leggi tutto

Dunkirk di Christopher Nolan. Il ritorno dell’epica di guerra (e l’involontario omaggio all’arroganza).

Marco Mondini - 09.09.2017

Una pellicola enigmatica.

You can’t blame Christopher Nolan for Brexit («non possiamo rimproverare Christopher Nolan per la Brexit») ha scritto il Guardian il 20 luglio scorso. Non c’è dubbio. Quando il referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea si è tenuto, nel giugno 2016, l’ultimo film del regista anglo-americano, era già in fase avanzata di lavorazione: scritta la sceneggiatura, scelti gli attori e iniziate le riprese.Era da anni che Nolan meditava di raccontare al cinema l’operazione Dynamo, la leggendaria evacuazione delle truppe britanniche (e francesi), accerchiate dai tedeschi nella sacca di Dunquerque e miracolosamente riportate in Inghilterra negli ultimi giorni del maggio 1940, e comunque dal 2015 che si parlava della produzione del film.Eppure,lo spettatore europeo sfugge difficilmente alla sensazione che Dunkirk sia un inno trionfante all’orgoglio, al solipsismo e, per dirla tutta, all’arroganza britannica. Nolan, come la stragrande maggioranza degli intellettuali, degli artisti e in generale delle persone colte del Regno Unito, sarà anche personalmente contrariato dall’inopinata decisione dei suoi compatrioti, ma la sua pellicola possiede tutti gli ingredienti per assurgere al rango di emblema del neo isolazionismo dell’era Brexit.

 

Niente paura, siamo inglesi. leggi tutto

Silence, regia di Martin Scorsese (2016)

Sabina Pavone * - 04.03.2017

Il film Silence di Martin Scorsese sull’esperienza dei missionari gesuiti in Giappone al tempo della scristianizzazione del XVII secolo non è un’epopea. In questo senso si colloca su tutt’altro piano rispetto a Mission (1986),film nel quale Roland Joffé ricostruiva in maniera epica ed edulcorata l’ultimo scontro tra i gesuiti delle reducciones del Paraguay e le potenze coloniali.

Scorsese lavora su un piano diverso: pur essendo molto fedele alla trama del libro scritto nel 1966 da Shusaku Endo il film gioca su un rapporto strettissimo tra il silenzio del titolo, la parola e l’immagine, intrecciandoli in maniera tale da rimandare dall’uno all’altro piano con una logica stringente che si dipana man mano che scorrono le scene. Punti di riferimento sono i due dialoghi posti all’inizio e nel momento di svolta finale della pellicola. I protagonisti sono tutti gesuiti: nel primo Alessandro Valignano, noto visitatore della Compagnia per l’Asia e primo teorico dell’accomodamento gesuitico in Oriente, legge ai due giovani missionari protagonisti l’ultima lettera ricevuta da padre Ferreira, in cui il missionario riferisce tutto il suo sgomento di fronte al terribile martirio di missionari e giapponesi convertiti al cristianesimo al quale è stato costretto ad assistere. Dalle parole della lettera si intuisce chiaramente la disperazione leggi tutto

Le colpe dei padri.

Marco Mondini - 12.10.2016

L’uomo che ho ucciso

 

«Se muoiono i loro figli, noi brindiamo con la birra e la chiamiamo vittoria. Se muoiono i nostri figli, loro brindano con il vino e la chiamiamo sconfitta» proclama il dottor Holderlin in Broken Lullaby, film che Ernst Lubitsch realizza alla fine del 1931. In questo coraggioso adattamento cinematografico del dramma L’homme que j’ai tué di Maurice Rostand, si ritrova tutto il trauma del regista tedesco, artista colto e cosmopolita, di fronte alla recrudescenza del nazionalismo tedesco negli anni Trenta, rivelazione di una Germania incapace di smobilitare la propria cultura di guerra e di seppellire l’ascia del revanscismo. Di lì a poco, il nazismo di Adolf Hitler avrebbe conquistato il potere. Gli squallidi frequentatori di birreria che proclamano la necessità di una vendetta contro la Francia, contro cui il personaggio di Holderlin si scaglia, avrebbero a quel punto inneggiato ai quadrati delle camicie brune, o forse sarebbero divenuti alcuni di quegli «uomini comuni» su cui si basava la forza totalitaria del regime, contribuendo a precipitare la Germania nell’abisso di un’altra sconfitta.

Da questo testo, tra le più interessanti testimonianze del fallimento dello «spirito di Locarno» nell’Europa che stava scivolando verso la Seconda Guerra Mondiale, François Ozon ha tratto ora Frantz, leggi tutto

L’Asia orientale: tra cinema, politica e storia

Guido Samarani * - 31.08.2016

Il Far East Film Festival che si tiene annualmente ad Udine e che rappresenta una delle realtà più interessanti e dinamiche relative alle novità della cinematografia asiatica, ha presentato tra l’altro nel corso della sua edizione del 2016 due interessanti pellicole in cui si intrecciano politica, storia e cinema. Può dunque essere interessante spendere qualche parola su tali pellicole,prescindendo ovviamente dal loro valore prettamente artistico e culturale.

 

*Gli amanti ed il despota: squarci dalla Corea del Nord

Il primo film (in realtà un documentario) è opera dei britannici Ross Adam e Robert Cannan. Esso descrive, anche sulla base di interviste ai protagonisti e di rare immagini di repertorio, la incredibile ma vera vicenda di cui nel 1978 furono vittime il regista e produttore sudcoreano Shin Sang-Ok e l’attrice, nonché ex moglie di Shin, Choi Eun-Hee. Shin e Choi furono infatti rapiti, separatamente, su ordine di Kim Jong-Il (1941-2011), figlio di Kim Il-Sung, fondatore della Repubblica democratica popolare di Corea (Corea del Nord), e padre dell’attuale leader nordcoreano Kim Jong-Un. L’obiettivo che avrebbe spinto Kim Jong-Il al sequestro fu la forte volontà di rilanciare l’industria cinematografica norcoreana la quale – come viene affermato in una scena del film – era ancora ferma ai primi passi mentre quella sudcoreana leggi tutto

The Spotlight: il ruolo cruciale dell’inchiesta giornalistica

Francesca Del Vecchio * - 23.02.2016

Dal 18 febbraio 2016 è in programmazione nelle sale The Spotlight, di Tom McCarthy. Il film-  presentato fuori concorso alla 72ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia- racconta la storia dell’omonimo pool d’inchiesta del Boston Globe che, nel 2001, inizia un’indagine sugli abusi sessuali ai danni di minori. Abusi perpetrati da alcuni sacerdoti dell’Arcidiocesi di Boston e immediatamente insabbiati dall'autorità ecclesiastica, l’arcivescovo Bernard Francis Law. Nel corso del 2002 il quotidiano pubblica oltre 600 articoli, documentando un migliaio di casi di violenze, attestando le responsabilità di circa 70 sacerdoti, tra cui spicca il nome di Padre Geoghan. Nel 2003 al giornale viene assegnato il Premio Pulitzer nella categoria “pubblico servizio”. The Spotlight non ha nulla a che vedere con i film hollywoodiani tutti star e colpi di scena, né vuol scimmiottare il mèlo dai toni stucchevoli. Al contrario: ricostruisce in maniera capillare la genesi dell’inchiesta che ha fatto luce sul fenomeno della pedofilia, raccontando sia le pressioni da parte delle istituzioni laiche, che le intimidazioni ricevute da quelle religiose nella cittadina più cattolica d’America. I personaggi proposti sembrano essere fedeli agli originali, e- per questo- senza pretese di mitizzazione. Il risultato è un film apprezzabile. Il silenzio in cui è avvolta la sala alla fine della proiezione spinge a fare alcune considerazioni. Ovviamente il tema non è nuovo al pubblico, non dopo il racconto di alcune vicende disseppellite- in Italia -dalle Iene. leggi tutto