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Storia di Gaza: terra, politica, conflitti
Scrivere un libro su Gaza di questi tempi potrebbe evocare la metafora del lanciare un sasso nello stagno.
Il conflitto israelo-palestinese, originato dall’attacco terroristico di Hamas “Operazione Diluvio al-Aqṣā” del 7 ottobre 2023 (nel giorno del cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973), con l’uccisione di 1200 tra civili e militari israeliani e il sequestro di altri 250 tenuti in ostaggio per oltre due anni (restituiti in parte vivi o morti), si è risolto in una tragedia umanitaria, con l’uccisione di 65 mila vittime e il ferimento di altre 166 mila persone. In mondovisione è stato rappresentato uno scenario raccapricciante, città, case, villaggi rasi al suolo, una belligeranza estesa a gran parte del Medioriente, il massacro della popolazione inerme, le tendopoli, gli accampamenti, la fame, le malattie, le mutilazioni – con un numero spropositato di bambini uccisi, almeno 16 mila – stimato come la guerra più sanguinosa del XXI secolo. Il pogrom di Hamas ha spaccato il mondo politico, suscitando deprecazione non solo come aspetto dell’estremismo terroristico e del fondamentalismo religioso mentre molti osservatori hanno duramente biasimato la reazione di Israele che pure è stata sostenuta dagli USA e da larga parte del mondo occidentale. Anche in Italia le manifestazioni di piazza pro-Pal hanno raggiunto un parossismo distruttivo che è arrivato a
La prima vittima a morire in guerra è la verità (Eschilo)
Sono trascorsi oltre 1300 giorni dall’invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia e – a parte le 19 sanzioni comminate dall’U.E. all’aggressore (peraltro mai illustrate nei dettagli e negli auspicati esiti) e il progressivo disimpegno di Trump dal massacro in atto con tutti gli impliciti e le evidenze del caso – le istituzioni politiche del mondo occidentale hanno reagito con sostegni militari non risolutivi del conflitto e ora i Paesi dell’U.E. stanno prendendo atto delle vere intenzioni di Putin che provoca e minaccia con presìdi dei territori e dei confini, con sorvoli aerei e incursioni di droni. Le prese di posizione nonostante una pletora di incontri mai drasticamente risolutivi (nemmeno nella considerazione dell’ipotesi di sospendere le acquisizioni dalla Russia di gas e petrolio, una scelta che avrebbe sferrato un duro colpo all’economia di Mosca) sono state una polifonia stonata per intensità differenti, indisponibilità ad azioni unitarie, dissonanti prese di posizione: in estrema sintesi un bailamme ben descritto da Mario Draghi come ‘evaporazione ed evanescenza’ di una visione sostanzialmente acefala.
Di converso è cresciuta nella pubblica opinione una sorta di indifferenza mista a insofferenza per il protrarsi del conflitto che – in misure diverse – ha sottratto risorse ed energie alle economie nazionali. Se la guerra in leggi tutto
Come Putin prepara la sua nuova escalation
Come già evidenziato il bilaterale di Ferragosto tra Trump e Putin alla Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage non ha proposto nulla di costruttivo: quel red carpet steso in onore dell’illustre ospite ha lasciato in totale imbarazzo il Presidente USA, ricordando implicitamente che dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca (e nella magniloquenza del programma elettorale) aveva affermato che la guerra in Ucraina si sarebbe conclusa in pochi giorni. L’incontro ha se mai rafforzato le mire strategiche del capo del Cremlino che si era presentato a quell’appuntamento ostentando una non scalfibile sicurezza. Il successivo vertice di Pechino, alla presenza dei leader del rassemblement anti occidentale con tanto di parata militare e sfoggio di potenza bellica nucleare non ha inviato al mondo alcun segnale di distensione e di pace ma un messaggio di coesione, compattezza, minaccia e di forza. Trump continua a tessere una tela che ricorda quella di Penelope: facendo e disfacendo, promettendo e smentendo, minacciando dazi come deterrente ritorsivo alle emergenze di una nuova geopolitica (da lui stesso incautamente provocata) deve combattere su due fronti: quello del consenso interno centrato sul progetto MAGA e quello esterno dove nelle relazioni internazionali predilige l’ostensiva mediazione con i tradizionali nemici piuttosto che leggi tutto
Luigi Di Maio, il Qatar e il Golfo Persico
Dopo la frattura con Conte (che lui stesso aveva portato alla ribalta del Movimento) e i 5 Stelle (rimasti con il loro capo politico legati al palo della demagogia e dell’opposizione negazionista e preconcetta) e dopo la mancata rielezione in Parlamento con un proprio partito politico – “Impegno civico” in tandem con il Centro democratico di Bruno Tabacci – Luigi Di Maio ha da oltre due anni trovato una collocazione internazionale di prestigio. Proposto dal Governo a guida Mario Draghi (di cui aveva fatto parte come Ministro degli Esteri--incarico prorogato dal Conte-bis- dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre 2022, giorno di insediamento del Governo Meloni e dimessosi da Segretario di impegno Civico) come Rappresentante speciale dell'Unione europea per il Golfo Persico, viene scelto in una rosa di quattro candidati dall'Alto rappresentante Josep Borrell come “rappresentante ufficiale dell’U.E. per il Golfo Persico e assume l'incarico il 1º giugno 2023. Viene riconfermato il 15 gennaio 2025 per ulteriori due anni da Kaja Kallas, donna politica estone, succeduta a Borrell nella carica di Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a sua volta designata dal 1º dicembre 2024 dalla Presidente della Commissione U.E. Ursula von Der Leyen. Nel conferire la proroga dell’incarico di Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, leggi tutto
Un tornante difficile trattato con incomprensibile leggerezza
Dovrebbe essere impossibile trattare con leggerezza il tornante internazionale di fronte al quale ci troviamo. La conferenza della organizzazione per la cooperazione di Shanghai registra una chiara e complessiva sfida all’ordine mondiale come si è sviluppato dopo il 1945. Lo fa certamente perché quell’ordine è già di suo messo molto male, ma lo fa proponendo non di ricostruirlo in maniera adeguata, bensì di sostituirlo con un nuovo equilibrio (si fa per dire) con il perno non più ad Occidente, ma ad Oriente.
Diciamo subito che i due termini sono in verità un modo garbato per dire che al cosiddetto “secolo americano”, si sostituirà un secolo cinese, ad un impero più o meno su invito con sede a Washington, un impero con sede a Pechino, non si sa basato su quale collante per tenere insieme i suoi membri. Al momento quello proclamato è il rifiuto dell’egemonia occidentale, questione piuttosto ambigua da definire: la si presenta come una rivolta degli sfruttati contro chi per secoli li ha asserviti, cioè l’occidente euro-americano, ma poi ci si allarga, diremmo inevitabilmente a mettere in discussione il sistema costituzionale liberal-democratico che fu l’ideologia portante con cui i paesi di quell’area esercitarono la loro preminenza in nome del progresso e della
Le scodelle di Gaza e i droni su Kyiv
Quando il sole ogni mattina compie il suo rituale stanco e si alza sulla sottile striscia di Gaza o nelle 24 oblast ucraine o illumina la stessa capitale Kyiv, getta un sinistro fascio di luce sulle devastazioni che la notte trascorsa ha mascherato per qualche ora. Solo chi vive in quei luoghi di terrore e di morte potrebbe descrivere la cruda, drammatica realtà di case rase al suolo, macerie, distruzione, cadaveri da ricomporre o nascosti nei teli per una celere, pietosa sepoltura. Quel sole, quella luce che altrove nel mondo recano la speranza che il nuovo giorno sia un buon giorno, che accarezzano le alterne pause di un’umanità intenta al lavoro o vacanziera, qui rinnovano il terrore di nuovi eccidi, di famiglie annientate, di civili inermi presi di mira, soprattutto di vittime innocenti: molti troppi bambini perdono la vita ancor prima di averne vissuto una esigua parte. Sono tutti ostaggi di una deriva che annienta i popoli e consegna i destini del mondo a dittatori criminali che sono l’impersonificazione del male, mai c’è stata nella Storia recente una così alta preponderanza della tirannia sui diritti dei popoli: abbiamo visto madri disperate, bimbi mutilati, anziani tentare di fermare con le mani i leggi tutto
Il grande rebus dei dazi
A che punto è la guerra dei dazi fra Europa e Stati Uniti? Trump proclama che è finita con un ottimo accordo, ma fa parte della sua retorica che deve sempre vederlo trionfatore. In Italia il teatrino è il solito dominato dalla politica interna: il governo dice che è andata bene, ma per la verità avanza anche fra le righe qualche cautela, le opposizioni gridano al disastro dovuto alla resa di Meloni al tycoon di Washington.
La faccenda è tutt’altro che semplice da interpretare. Bisogna tenere conto che si è trattato per la UE di una partita molto difficile che aveva due grandi incognite: valutare l’impatto di una guerra commerciale senza limiti e tenere unita la compagine degli stati membri. Partiamo dal secondo punto e poi passiamo al primo.
Non ci si fermi sulle posizioni barricadiere di Macron e, un po’ meno convinte, di Merz, che avevano prospettato una risposta dura e una controffensiva per non cedere alle richieste di Trump. Si tratta in realtà del solito gioco del poliziotto cattivo e del poliziotto buono, perché né i francesi né i tedeschi sono nella posizione di affrontare una crisi del commercio fra Europa e USA. Altrettanto vale per chi, come l’Italia, spingeva per l’accordo anche se
Appesi ai dazi
Il pirotecnico Donald Trump si è esibito in una ulteriore serie di prese di posizione: stavolta a tornare al centro è la questione dei dazi da imporre ai paesi che esportano negli USA, non importa quale sia il rapporto fra essi e Washington. Il focus è ora sull’Unione Europea i cui paesi membri sono accusati di aver vampirizzato per lunghi decenni l’economia americana.
Come sempre ci si chiede quale sia la portata di queste esternazioni, se siano sceneggiate momentanee o espressione di una strategia che va consolidandosi e di conseguenza quali debbano essere le reazioni dei paesi europei, sia singolarmente considerati sia come parte della UE.
Per capire va sempre tenuto presente che per Trump tutto si tiene: politica internazionale, politica economica, politica interna sono componenti di un unico mescolone, la sua visione del mondo di cui si sente il vero arbitro. Il tycoon è coerente, perché questa è stata la base della sua campagna elettorale e su questo ha raccolto il suo ampio, ma variegato e variopinto consenso.
Ora la base della sua richiesta di una specie di pieni poteri è nella promessa di risolvere grandi problemi, perché questo ha fatto grande l’America in momenti storici decisivi (idealizzati e in parte inventati) ed è colpa grave leggi tutto
La politica dell’estate
È un po’ presto per parlare già di politica estiva (quella che, nel disinteresse vacanziero, mena un po’ il can per l’aia), ma l’ondata di caldo eccezionale ha forse anticipato il consueto timing. Non certo perché il mondo si sia acquietato, anzi al contrario, ma forse proprio perché il continuo incalzare di notizie drammatiche le rende, purtroppo, routine che viene accettata.
Così le quotidiane intemerate di Trump vengono accolte come prevedibile espressione di un politico sui generis, anche perché non è semplice capire se siano alzate d’ingegno ad uso della comunicazione o se nascondano qualche tattica, se non proprio strategia per venire a capo di quello che l’inquilino della Casa Bianca valuta a suo modo un tornante storico.
Se dovessimo giudicare da tre reazioni importanti, diremmo che al momento la situazione per lo più non accenna ad evoluzioni. Sul delicato fronte ucraino Putin prosegue nella politica di ricerca dell’annientamento del suo nemico puntando sul brutale e cinico calcolo che ormai sia una questione di quantità di risorse da spendere. La Russia ha un’economia di guerra che sforna missili e droni in quantità impressionante, ha una cospicua riserva d’uomini che ritiene di poter sacrificare (adesso rinforzata dalla carne da cannone che gli fornisce leggi tutto
In un mondo senza coordinate
L’ulteriore complicarsi della situazione internazionale è sotto gli occhi di tutti e giustamente ci si chiede quale potrà essere il ruolo dell’Europa e nella fattispecie dell’Italia in un quadro che sta perdendo tutte le tradizionali coordinate di riferimento.
Il riferimento al diritto internazionale e all’illegittimità dell’uso della forza bellica per risolvere vere o presunte questioni fra stati non è più proponibile: a parte violazioni limitate che si sono avute anche nei decenni passati, l’invasione russa dell’Ucraina ha dato un colpo decisivo a quel contesto e la vicenda della guerra di Israele le ha dato il colpo definitivo. In questo ultimo caso si è avuta non soltanto una reazione ad un crimine orrendo perpetrato il 7 ottobre da un soggetto non statale come è Hamas, ma una guerra di distruzione che ha coinvolto altre realtà come Hezbollah in Libano, gli Houti in Yemen e ora l’Iran, considerato, fondatamente, il grande burattinaio della guerra ibrida ad Israele. Tutto ciò, a iniziare dall’Ucraina e avanti, senza dichiarazioni di guerra, rispetto di regole anche minime nell’impiego dei mezzi di distruzione, vera attivazione di sedi di arbitrato internazionale (l’ONU è scomparso dalla scena).
È in un contesto del genere che deve muoversi l’Europa e in essa e con essa l’Italia, del tutto leggi tutto


