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24 aprile 2024
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Argomenti

Come se i profughi non fuggissero da qualche cosa

Lorenzo Ferrari * - 27.08.2015

Nelle ultime settimane in Italia e negli altri paesi dell'Unione europea s'è ampiamente discusso del problema del crescente afflusso di richiedenti asilo in Europa. Come vanno controllati i confini dell'Unione? Chi deve registrare i profughi? Quanti ne deve accogliere ciascun paese? Negli ultimi giorni il dibattito ha condotto ad alcune significative – seppur ancora parziali – decisioni politiche per quanto riguarda l'allocazione dei profughi tra i vari stati membri dell'UE, in particolare grazie alla decisione tedesca di accogliere sostanzialmente tutti i profughi siriani che chiederanno l'asilo in Germania.

 

Nonostante questi alcuni progressi recenti, il dibattito europeo sui richiedenti asilo continua a mostrarsi ostinatamente refrattario a una seria e franca discussione sulle cause del crescente afflusso di profughi in Europa. Si parla molto del sintomo – l'afflusso massiccio di richiedenti asilo – ma non si parla affatto della malattia che ne è all'origine. I problemi profondi dell'Eritrea non hanno mai ottenuto la benché minima attenzione, ma anche la guerra in Siria guadagna le prime pagine dei giornali solo quando vengono fatte saltare in aria rovine archeologiche di prim'ordine: la guerra in sé non interessa affatto, non ne parlano i politici e non ne parla la stampa.

 

La Siria viene ormai chiaramente guardata come un caso senza speranze, soggetta a un'autocombustione di cui si può solamente stare passivamente ad attendere la fine (che peraltro non pare affatto vicina). leggi tutto

Kos, i profughi e i confini dell’Europa

Giovanni Bernardini - 25.08.2015

“Una delle migliori destinazioni in Grecia, con siti archeologici, spiagge sabbiose e divertimento per tutti i gusti”. Per una volta la formula di prammatica dei depliant non colpisce lontano dal bersaglio: perché l’isola di Kos, nel Dodecaneso, si è affermata da tempo come l’ennesima, “normale” meraviglia estiva che la Grecia offre a prezzi tutto sommato abbordabili ai turisti europei e non solo. Quest’anno però l’isola è assurta agli onori della cronaca per un primato degli arrivi ben più difficile rispetto a quello consueto dei charter e dei traghetti da occidente, carichi di visitatori e dei loro risparmi per le vacanze. Perché un fazzoletto di mare, o un “braccio” a voler essere generosi, separa a nordest le coste di Kos da quelle della Turchia. Quest’ultima, dati alla mano, sta sopportando il maggior peso della disperata fuga per la sopravvivenza dal disastro siriano: ormai quasi due milioni d’individui, secondo le stime sicuramente al ribasso dell’UNHCR, che in percentuale considerevole guardano come approdo finale della loro odissea all’ingresso nell’Unione Europea. Di cui Kos, volente o nolente, si è scoperta porta d’ingresso e frontiera critica al pari di Lampedusa, Malta, Melilla, Orestiada. Rispetto ad altre destinazioni, però, l’isola greca ha mostrato nelle ultime settimane un’impreparazione comprensibile ma non meno preoccupante di fronte all’ingente flusso di rifugiati. In un paese la cui amministrazione pubblica ha già subito colpi gravi dalla crisi e dall’austerity, l’arrivo di circa 7.000 migranti leggi tutto

La Germania perde uno dei protagonisti della Ostpolitik

Gabriele D'Ottavio - 22.08.2015

Giovedì è venuto a mancare Egon Karl-Heinz Bahr, uno degli artefici della Ostpolitik. Egon Bahr era nato il 18 marzo 1922 a Treffurt in Turingia, uno dei Länder Orientali della Germania. Finita la seconda guerra mondiale, cui aveva partecipato come soldato dal 1942 al 1944, Bahr iniziò la sua attività di giornalista come inviato di “Berliner Zeitung”, “Allgemeine Zeitung” e “Tagesspiegel”; dal 1950 al 1960 fu anche caporedattore dell’emittente radiofonica berlinese RIAS. La sua carriera politica fu strettamente legata a quella del suo mentore, nonché amico, Willy Brandt. Iscritto alla Socialdemocrazia tedesca dal 1956, Bahr venne nominato nel 1960 dall’allora borgomastro berlinese portavoce al Senato e direttore dell’ufficio stampa e informazione di Berlino Ovest. Nel 1966, quando Brandt divenne ministro degli Esteri, Bahr fu nominato ambasciatore straordinario e, nel 1967, direttore della Commissione di pianificazione presso l’Auswärtiges Amt. Al culmine della carriera politica di Brandt, Bahr ricevette nel 1969 il doppio incarico di segretario di stato presso la cancelleria e di delegato plenipotenziario della città di Berlino e, nel 1972, divenne ministro agli Affari particolari. La sua attività politica proseguì, tuttavia, anche dopo le dimissioni di Brandt da capo del governo, provocate dallo scandalo Guillaume. Nel luglio 1974 il successore di Brandt, Helmut Schmidt, affidò a Bahr il Ministero per la Cooperazione allo sviluppo, incarico che ricoprì fino al 1976. Membro del Bundestag sin dal 1972, resterà parlamentare fino al 1990, l’anno della riunificazione tedesca. leggi tutto

L’esperimento greco

Francesco Lefebvre D’Ovidio * - 18.08.2015

Il recente accordo di negoziare un accordo (“agreement to agree”, dicono gli inglesi), raggiunto fra Ecofin e governo greco, per la continuazione dei trasferimenti di capitali da parte degli Stati membri verso la Grecia, è il frutto di una forte pressione esercitata dall’opinione pubblica sui ministri finanziari europei e, in particolare, sui governanti tedeschi, affinché effettuassero il “salvataggio” della Grecia anziché spingerla ad “uscire” dall’Eurosistema.

Sembra spontaneo domandarsi: da cosa nasce questa pressione?

La risposta è fornita dalla diffusa persuasione, in una parte dell’opinione pubblica e dei politici di vari paesi membri, che i principi di politica economica posti alla base del processo di integrazione europea siano errati. Tali principi vengono solitamente etichettati dai media come “neo-monetaristi” (o “neo-liberisti”) e la richiesta di osservarli, rivolta ai paesi in crisi, è qualificata come imposizione di “austerità” e di misure recessive.

Invece, questa parte dell’opinione pubblica europea sostiene principi di politica economica che vengono solitamente definiti “neo-keynesiani” e consistenti, in sostanza, nella convinzione che per aumentare il PIL sia necessario aumentare la spesa pubblica (cosiddette misure espansive di politica fiscale).

Sorvoliamo sulla correttezza di queste definizioni e sulla validità delle teorie economiche sostenute dall’una e dall’altra parte.

Il dato di fatto è che l’evoluzione del processo di integrazione è stata dominata dai principi definiti nel trattato di Maastricht, nello statuto del SEBC (Sistema europeo delle banche centrali) e in tutto l’apparato normativo sul mercato unico e sulla convergenza dei paesi in condizioni di squilibrio. leggi tutto

Rentrée 2015: ultima chiamata per Hollande, ma non solo … .

Michele Marchi - 06.08.2015

In queste settimane si è molto parlato del ruolo svolto dallo storico asse franco-tedesco nell’ennesimo (ma forse non ultimo) salvataggio greco. Chi scrive è persuaso, come indicato su queste colonne http://www.mentepolitica.it/articolo/parigi-berlino-e-la-crisi-greca/562, che l’equilibrio della coppia sia oramai rotto e che la leadership, non solo economica ma anche politica, sia ascrivibile a Berlino. Per una serie di ragioni, in larga parte storiche ma anche legate ai nuovi equilibri all’interno dell’Ue a 28, un processo di integrazione a guida tedesca può, sul medio-lungo termine, non essere una notizia così positiva per l’intero Vecchio Continente e nello specifico per l’Italia. Lo “stato di salute” di Parigi diventa così un elemento non trascurabile quando si cercano di valutare le prospettive di ripresa dell’area euro. Per dirla in maniera ancora più esplicita, al di là delle preferenze politiche e dei giudizi personali, il carattere deludente dei tre anni di presidenza Hollande e l’ipotesi di un ritorno alla guida del Paese di Nicolas Sarkozy, dovrebbero preoccupare non poco tutti coloro che hanno veramente a cuore i destini del processo di integrazione europea. Mentre Hollande affonda e Sarkozy arranca, a sorridere resta sempre e comunque Marine Le Pen. Ecco perché la rentrée di Hollande, dopo la pausa estiva, rappresenta uno snodo importante.

Non si tratta di avventurarsi in previsioni relative all’ipotesi che Hollande opti per una clamorosa non ricandidatura nel 2017 (si tratterebbe di una prima assoluta in quasi sessant’anni di V Repubblica). Né tanto meno di insistere sul livello di gradimento bloccato al 20%, peggior risultato dopo tre anni all’Eliseo per qualsiasi presidente quinto repubblicano. leggi tutto

Il “matrimonio greco” con l’Europa

Francesco Lefebvre D’Ovidio * - 06.08.2015

L’introduzione della moneta unica e la creazione dell’Eurosistema sono state la risultante di un progetto economico che aveva il suo presupposto in scelte di politica economica coerenti e dava per scontato che i governi le avrebbero applicate: l’adozione di una moneta unica per un’area economica disomogenea avrebbe richiesto di ridurre gli squilibri fra le sue regioni economiche mediante un processo di progressiva convergenza. In caso contrario, la creazione di un’area valutaria unica avrebbe generato continue crisi di riaggiustamento.

Gli impegni assunti non sono stati rispettati. I politici al governo nei paesi che presentavano squilibri non hanno messo in atto le misure necessarie per realizzare la convergenza. La realizzazione stessa dell’Unione monetaria per alcuni anni non solo ha reso più agevole a quei politici di rinviare la riduzione degli squilibri ma, anzi, ha consentito di accentuarli.

È ben noto che dall’introduzione dell’Euro i paesi della cosiddetta “periferia” (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda) hanno beneficiato di un afflusso di capitali privati dall’estero. Tale afflusso a basso costo (grazie all’abbassamento dei tassi di interesse sui titoli emessi dai paesi periferici dopo l’introduzione dell’Euro) ha consentito di finanziare il disavanzo delle partite correnti e di aumentarlo. Ciò ha determinato una crescita di prezzi in alcuni settori (tipicamente immobili) e un illusorio benessere. leggi tutto

Obbedienza greca: occasioni per l’Europa?

Gianpaolo Rossini - 04.08.2015

Come trasformare l’obbedienza greca alle autorità e ai partner dell’eurogruppo in una occasione per far crescere l’Europa? Una domanda ridicola? Nient’affatto. L’architettura del sistema  di relazioni commerciali e monetarie globali ancora in parte funzionante con Fondo Monetario e Banca Mondiale è stata creata nel 1944 a Bretton Woods ben un anno prima della fine della seconda guerra mondiale. Dunque perché non cominciare già ora, a negoziati in corso sul salvataggio della Grecia, a ideare innovazioni che numerose debolezze europee sembrano imporre? Eppoi i governi pro-Europa sono in debito d’ossigeno e hanno bisogno di un rilancio. I negoziati tra Grecia e sherpa europei avranno un esito positivo. Ma presto o tardi occorrerà affrontare il tema della ristrutturazione del debito greco o con un allungamento a 30 anni delle scadenze dei titoli di stato e riduzione interessi o con un taglio del loro valore nominale. Il che comporterà un onere per il resto di eurolandia, che potrà essere reso più sopportabile se il progetto europeo riprende slancio e la Grecia cresce.

E allora in primo luogo occorre accelerare l’integrazione bancaria con l’avvio da subito della assicurazione federale sui depositi bancari alla pari di quanto avviene negli Stati Uniti con la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation). Questa assicurazione può essere costituita dalle aziende di credito senza aggravi per il cittadino e per la BCE, lasciando a questa solo il ruolo che sta svolgendo ora senza aggiunta di alcunché. A questa assicurazione federale sui depositi potrebbero partecipare, e sarebbe una vera innovazione, anche altri paesi europei come la Gran Bretagna se fosse disposta a scambiare le informazioni della sua vigilanza bancaria con la BCE. leggi tutto

La crisi della Grecia e i guai dell’Europa

Giovanni Bernardini - 25.07.2015

L’estate è la stagione perfetta per i drammi mediatici: possibilmente brevi e intensi, segnati da aneddoti gustosi e coronati da finali edificanti. Non sfugge alla regola la vicenda greca delle ultime settimane e in particolare l’Eurosummit-fiume di metà mese, una lunga nottata insonne e nevrotica come si conviene a una simile messinscena. Un incontro durante il quale, secondo i beninformati, le proposte sono diventate slogan, le rivendicazioni gesti teatrali, le posizioni un mero riflesso delle personalità dei leader che le esprimevano o peggio ancora dei rispettivi “caratteri nazionali” (il tedesco inflessibile, il greco furbacchione). Il tutto in un’atmosfera che un’indiscrezione dall’interno ha definito laconicamente “shitty”, e per buona creanza lasciamo ai lettori l’onere della traduzione. Nelle stesse ore, voci e illazioni correvano soprattutto attraverso Twitter e la mannaia dei suoi 140 caratteri: inadeguati a rendere la complessità del dibattito in corso ma perfetti per colpi di scena e virgolettati a effetto.

A distanza di giorni urge un bilancio dei danni d’immagine che quel pessimo spettacolo ha arrecato all’Europa. A cominciare dall’idea malsana che il negoziato fosse un gioco a somma zero, nel quale la vittoria di una parte corrispondeva necessariamente alla capitolazione dell’altra. Altrettanto irritante è la logica delle tifoserie opposte che imperversa da settimane, tra chi dagli agi della Costa Smeralda invoca un addio volontario all’Euro da parte dei greci, che ne sconterebbero amaramente le conseguenze; e chi, armato di grafici e proiezioni più o meno fantasiosi, chiede loro di continuare a sottoporsi volenterosamente a ricette e sacrifici da cui non traggono alcun beneficio da tempo. leggi tutto

Antieuropeismo di lotta e di governo: la Lega di Salvini e la moneta unica

Massimo Piermattei * - 21.07.2015

Nel panorama politico italiano, la Lega Nord è oggi una delle principali voci critiche sulla moneta unica. Eppure, c’è stato un tempo in cui la Lega Nord, nata come movimento convintamente europeista, è stata la principale sostenitrice della moneta unica (“Tutta l’Europa, persino la Gran Bretagna, si illumina lentamente, ma fatalmente, della luce di Maastricht”, scrisse Bossi pochi giorni dopo il vertice nella cittadina olandese). Se la maggior parte delle forze politiche italiane viveva il percorso di convergenza per l’Unione economica e monetaria (e il trattato sull’Unione europea più in generale) come un vincolo esterno al quale era impossibile sottrarsi, per l’assenza di un’alternativa realmente percorribile, oppure come “chiodo nella roccia” al quale delegare - come dichiarò il ministro Carli - quelle riforme che, per le vie normali del Parlamento, il Paese non riusciva a portare a termine, il partito di Bossi sosteneva con forza quel trattato sia come elemento modernizzatore capace di colmare le tare italiane, rilanciando una diversa organizzazione federale dell’Italia, sia come trampolino di lancio per le economie delle Regioni settentrionali.

Infatti, l’esigenza di entrare nella moneta unica fu uno dei motivi principali, se non il principale, che portò Bossi alle decisioni sia di togliere la fiducia al governo Berlusconi, sia di avviare la controversa stagione secessionista, iniziata a fine 1995 ed esauritasi nella primavera del 1998, nel momento in cui leggi tutto

Accordi estivi?

Dario Fazzi * - 21.07.2015

Il mese di luglio, per una di quelle strane coincidenze che di tanto in tanto puntellano la storia contemporanea, sembra essere un mese particolarmente propizio per la conclusione di accordi in ambito nucleare. Nel luglio del 1963 le superpotenze della guerra fredda siglavano il loro primo storico accordo, impegnandosi reciprocamente a bandire i test atomici in atmosfera. Il primo di luglio del 1968 si raggiungeva la firma del trattato di non-proliferazione, il cui merito principale, oltre a quello di aver oggettivamente rallentato la diffusione degli arsenali atomici, è oggi quello di trattenere lo stesso Iran al tavolo negoziale. Mentre fu alla fine di un altro luglio, quello del 1991, che l’allora presidente statunitense Bush e il premier sovietico Michail Gorbaciov decisero di dare il via agli accordi START e mettere così in moto un processo di progressiva riduzione degli armamenti strategici ancora oggi in continua evoluzione.

Eppure, la stessa storia contemporanea dimostra come spesso i buoni propositi estivi si siano dissolti con l’approssimarsi di lunghi autunni, forieri di nuvole cariche di sospetti e sfiducia. Del resto, la persistenza stessa sullo scenario globale di oltre 15.000 testate nucleari, la costante minaccia che gruppi transazionali fuori controllo possano acquisire il materiale necessario a costruire ordigni atomici rudimentali e numerose incertezze legate a scelte di politica prevalentemente interna delle varie parti riunite a Vienna pongono se non altro dei seri dubbi sulla reale portata storica e sulla effettiva tenuta dell’accordo siglato con l’Iran. leggi tutto