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22 marzo 2025
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Argomenti

Alcune mistificazioni sulla crisi greca

Massimo Bucarelli * - 14.07.2015

Nell’intervista al settimanale tedesco Die Zeit del 27 giugno scorso, l’economista francese Thomas Piketty ha aspramente criticato l’eccesso di rigore del governo tedesco nei confronti di quello greco impegnato nel difficile compito di trovare una soluzione al problema dell’enorme debito accumulato negli ultimi anni. Piketty ha sollecitato una maggiore flessibilità nel pretendere il risanamento del debito ellenico, ricordando che la Germania in passato non ha mai ripagato il proprio debito estero, né dopo la prima, né dopo la seconda guerra mondiale, per cui non è certo titolata a dare lezioni alle altre nazioni costrette ad affrontare ora le stesse difficoltà.

Il tema non è certamente nuovo. Subito dopo il suo insediamento, l’attuale governo greco, guidato da Alexis Tsipras, ha invocato tali precedenti storici, stabilendo possibili paralleli tra la situazione tedesca del primo dopoguerra e quella greca attuale o chiedendo il pagamento dei danni subiti dalla Grecia per l’occupazione nazista. Il tema, poi, è rimbalzato anche nel dibattito pubblico italiano, ad uso di quanti sostengono la necessità per tutti i paesi debitori in difficolta di derogare agli impegni presi o spingono addirittura per porre fine all’esperienza della moneta comune o sono semplicemente animati dalla volontà di polemizzare contro il governo italiano, colpevole di non sostenere la causa greca, essendosi appiattito sulle posizioni di Berlino. leggi tutto

L'analisi del sabato. Fra due referendum, verso la Terza Repubblica

Luca Tentoni * - 11.07.2015

In dieci mesi e fra due referendum la situazione politica, economica e internazionale potrebbe prendere direzioni del tutto impreviste e imprevedibili. Il voto di Atene del 5 luglio e quello italiano (nella tarda primavera del 2016) sulla revisione costituzionale sono altrettanti passaggi cruciali di due vicende ben diverse fra loro. Visti in un'ottica più ampia, tuttavia, sono due eventi che possono rappresentare le tappe di un processo che ci porterà comunque verso nuovi equilibri nazionali e internazionali. Comunque vada a finire la vicenda del debito greco, l'Europa non sarà più la stessa. Sarà più forte o più debole, a seconda delle risposte che gli attori politici nazionali e quelli sovranazionali comunitari sapranno dare. Così in Italia: al di là del dibattito sulla forma, i poteri, l'elezione dei componenti del nuovo Senato (e persino oltre la stessa approvazione o meno, al referendum confermativo, del testo che uscirà dal Parlamento) avremo in ogni caso un prima e un dopo. Come nel '93 (anno di altri importanti referendum) o, andando indietro, nel '74 (altro referendum, sul divorzio) o ancora nel '64 (il "rumore di sciabole") o nel '60 (il governo Tambroni) o nel '46-'48 (fra voto per la Costituente e successive prime elezioni per Camera e Senato segnate dalla vittoria della Dc), ci troveremo, alla fine dei prossimi dieci-undici mesi, al cospetto di un altro cambiamento irreversibile, di qualsiasi segno sia. leggi tutto

La disunione europea e lo smarrimento della sinistra

Riccardo Brizzi - 11.07.2015

L'exploit del Partito popolare danese alle elezioni legislative di fine giugno (21%) e l'esito del referendum greco promosso da Syriza hanno riacceso il dibattito sull'ascesa delle formazioni populiste nella Ue. All'indomani dell'ingresso in forza nel Parlamento di Strasburgo in occasione delle europee del 2014, dalla Spagna alla Finlandia forze protestatarie spesso unite soltanto da un fermo rifiuto delle istituzioni comunitarie hanno registrato notevoli successi elettorali o conquistato posizioni di governo. Questo trend ha preso forme diverse. Nel Nord Europa (Svezia, Danimarca, Finlandia) la critica della tecnocrazia e delle élite di Bruxelles è portata avanti anzitutto da un populismo di estrema destra che si propone di smontare o distruggere la casa comune, mentre nei paesi mediterranei a sollevare il vessillo dell'euroscetticismo è in primo luogo una sinistra radicale che - a immagine e somiglianza di Syriza e Podemos - non ambisce a demolire l'Ue ma anzitutto a trasformarla. La crisi ha promosso in Europa due reazioni distinte ma spesso convergenti: un voto «anti-solidarietà» che a Nord si nutre dell'insofferenza verso il lassismo e l'indisciplina dei paesi meridionali, e un voto «anti-rigore» che da Sud denuncia le insostenibili misure di austerità imposte dalla troika e dai diktat di Berlino.

L'incremento del voto leggi tutto

Sul referendum greco

Duccio Basosi * - 09.07.2015

Nel referendum che si è tenuto lo scorso 5 luglio, una netta maggioranza dei cittadini greci si è pronunciata contro l'accettazione, da parte del proprio governo, delle ultime condizioni avanzate da UE e FMI nell'ambito del negoziato sul rinnovo delle linee di credito aperte da queste istituzioni nei confronti di Atene negli anni scorsi. La coalizione al governo ad Atene, imperniata sul partito di sinistra Syriza, era infatti salita al potere a gennaio con una piattaforma che prometteva di terminare le politiche di "austerità" negoziate negli anni scorsi tra la cosiddetta "Troika" (Commissione UE, BCE e FMI) e diversi precedenti governi greci di varia colorazione (centrosinistra, tecnici, centrodestra) e di mantenere, al contempo, il Paese all'interno della zona euro.

Sulla carta si trattava di una posizione assolutamente ragionevole, oltre che coerente con l'europeismo e la sensibilità di Syriza all'impoverimento di massa nel quale la Grecia è caduta negli ultimi anni. Del resto, persino gli economisti del FMI, a partire dal 2012, hanno messo nero su bianco che l'austerità non solo non serve a rilanciare la crescita economica di un paese indebitato, ma spesso incancrenisce la situazione in una spirale di debito e recessione. Se, finora, le linee di credito aperte sono servite a pagare gli interessi sui prestiti precedenti (mentre dalle virtù dell'austerità ci si attendeva un rilancio economico, poi mai materializzatosi), il nuovo governo greco si presentava al tavolo con una logica diversa: utilizzare i crediti per rilanciare l'economia e, solo in un secondo momento, utilizzare le risorse così generate per saldare i debiti. leggi tutto

200 anni fa la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna: nasceva l'Europa moderna

Giulia Guazzaloca - 07.07.2015

Tra Waterloo e Vienna – Grandiose le celebrazioni, in Belgio ma non solo, e inevitabili le polemiche per il bicentenario della sconfitta di Napoleone a Waterloo. Era infatti il 18 giugno 1815 quando l’imperatore, che aveva riconquistato il potere in Francia cento giorni prima, fu battuto dagli eserciti inglese e prussiano facenti parte della cosiddetta Settima Coalizione; esiliato definitivamente presso Sant’Elena, vi morì il 5 maggio di sei anni dopo. Nonostante siano passati due secoli, è una sconfitta che brucia ancora l’orgoglio patriottico dei francesi e resta, come ha scritto Le Figaro, «un tabù». Per questo si è rischiato l’incidente diplomatico quando il governo belga ha avanzato l’idea di coniare una moneta commemorativa da due euro in ricordo di Waterloo.  

E tanto, naturalmente, si è scritto e detto nelle scorse settimane a proposito delle ragioni dell’esito di quella grandiosa battaglia o di cosa sarebbe successo se a Waterloo avesse vinto Napoleone e nuovamente ci si è chiesti se la sua fu «vera gloria». In chiave storica, tuttavia, sarebbe forse meglio soffermarsi sul significato di medio e lungo periodo di quegli eventi, sul loro valore di cesura periodizzante. Perché se è vero che è sempre difficile, e in parte arbitrario, fissare delle date simbolo» entro cui collocare il passato, leggi tutto

L'analisi del sabato. “Grande Riforma” e “piccole intese” (con la Grecia sullo sfondo)

Luca Tentoni * - 04.07.2015

Mentre in Grecia si gioca - col referendum - una partita forse decisiva per il futuro dell'Europa, in Italia sta per essere messa duramente alla prova, per la prima volta dopo un anno e mezzo di governo Renzi, la tenuta di Esecutivo e maggioranza. In Senato, infatti, i numeri sono meno ampi e rassicuranti che alla Camera. In vista dell'arrivo del disegno di legge costituzionale che riforma - fra l'altro - il bicameralismo, la situazione sembra complicarsi. In teoria la coalizione per le riforme coincide con quella di governo (Forza Italia non ne fa più parte, anche se i senatori vicini a Verdini sembrano pronti a sostenere il ddl costituzionale) e supera di poche unità i 161 voti necessari perchè il progetto possa essere approvato, ma i senatori della minoranza Pd dubbiosi su alcuni aspetti importanti del testo (in primo luogo, sull'elezione indiretta dei componenti di Palazzo Madama) sono più che sufficienti per rendere incerto l'esito di questo (ormai imminente) passaggio politico-parlamentare. La via principale per rinsaldare la maggioranza è, per Renzi, concedere qualcosa ai due "amici-nemici" che possono rientrare in gioco: la sinistra del partito e Berlusconi. Sul bicameralismo, qualche espediente è possibile, ma forse potrebbe non bastare, perciò si potrebbe inserire in un accordo più ampio una leggina di parziale revisione dell'Italicum (la normativa elettorale approvata poche settimane fa dal Parlamento in via definitiva, ma che entrerà in vigore solo nel luglio del 2016). Le variazioni possibili riguardano le preferenze e l'attribuzione del premio alla coalizione più votata (al primo o al secondo turno) anzichè alla lista. leggi tutto

Perché abbiamo capito poco della crisi della Grecia

Lorenzo Ferrari * - 04.07.2015

Le ragioni per cui la crisi del debito greco si trascina da anni e s'è avviluppata sempre di più sono molteplici. Grosse responsabilità dei governi greci del passato e di quello attuale, grosse responsabilità dei creditori e in primo luogo del governo tedesco. E poi ci sono la debolezza dell'architettura istituzionale per la gestione dell'euro, i limiti del disegno di integrazione monetaria europea, il grave ritardo con cui procede l'integrazione politica. Tutti problemi molto seri e reali, che sono stati ampiamente discussi in questi anni.

 

Forse vale però la pena di riflettere su un paio di altri aspetti della questione che sono rimasti più nell'ombra, ma che pure hanno giocato un ruolo. Si tratta di aspetti che riguardano soprattutto il modo in cui la crisi della Grecia è stata raccontata dai mezzi di comunicazione dei Paesi creditori, e in particolare dell'Italia. Il modo in cui la crisi è stata inquadrata e narrata ha influenzato l'elaborazione – e la popolarità – delle risposte politiche ed economiche che le sono state date dai governi creditori e dalle istituzioni europee.

 

Il primo aspetto problematico è legato all'isolamento del sistema greco dell'informazione. Il greco moderno è una lingua molto diversa dalle altre lingue europee ed è pochissimo diffusa all'estero: in questi anni, la gran parte dei giornalisti e degli osservatori stranieri ha potuto fare scarsissimo affidamento sulle analisi e sulle storie legate alla crisi raccontate dalla stampa greca. Interviste e discorsi politici, editoriali, reportages: leggi tutto

La mossa del cavallo e lo scoglio del taglio del debito pubblico greco

Gianpaolo Rossini - 02.07.2015

Tsipras ha obbligato i suoi interlocutori ad interrompere il negoziato indicendo un referendum sulle proposte di UE-BCE-FMI. Una mossa avventata e molto rischiosa che rischia di fare molto male alla Grecia e a gran parte dell’Europa. E’ una mossa del cavallo che scompiglia il gioco dell’avversario ma che rischia di esporre in maniera irreversibile chi la mette in atto. Ma perché Tsipras ha sbattuto la porta alla troika? Le lunghe trattative tra le parti si fermano su diversi punti ma il vero scoglio è la ristrutturazione del debito pubblico greco. Tsipras la chiede da tempo. Ma appare una richiesta irricevibile per gran parte dei partners euro, specie quelli Est Europa che hanno sopportato sacrifici notevoli per entrare nell’euro e che hanno visto i sorci verdi quando Tsipras ha preso a cinguettare con Putin. . Il taglio del debito appare essenziale alla maggioranza dei greci. Un debito pubblico pari al 180% del Pil e con tassi nominali che mediamente sono intorno al 10% effettivamente non è sostenibile. Le ragioni per cui si è arrivati a tutto questo dipendono da gravi inadempienze del governo greco e da altrettanto pesanti errori delle autorità europee quando non si è intervenuti subito (nel 2010) sui titoli di stato dei paesi in difficoltà spinti nel 2008 ad aumentare la spesa pubblica anche se con finanze vacillanti. leggi tutto

Gli alberi e la foresta. Sul negoziato tra Grecia e UE/FMI

Duccio Basosi * - 02.07.2015

La vicenda del negoziato tra governo greco e UE/FMI, sul rinnovo delle linee di credito aperte da queste istituzioni negli anni scorsi verso Atene, si sta avvitando in una sequela di colpi di scena "dell'ultimo minuto" (rottura delle trattative, convocazione di referendum, nuove proposte in extremis). Si tratta di eventi che meritano di essere seguiti, visto che dai loro sviluppi dipenderà molta parte della politica e dell'economia europea dei prossimi mesi. Tuttavia, l'impressione è che, giorno dopo giorno, la discussione pubblica si concentra sempre più sulle foglie dell'albero, perdendo di vista la foresta nel suo insieme. Si discute appassionatamente, sulla stampa e sui social network, delle tattiche negoziali delle due parti e delle disposizioni della Costituzione greca in merito alla convocazione dei referendum. Si perde progressivamente di vista, invece, il quadro complessivo, che è dato dal fallimento spettacolare, in Grecia, di tutte le politiche di austerità raccomandate negli ultimi anni dai creditori internazionali agli stati indebitati. Per comprendere la posta in gioco in Grecia, forse è il caso che questo quadro venga ricostruito.

Anzitutto, il contesto del negoziato è quello della "condizionalità stretta", che il FMI (seguito poi dalla Banca Mondiale) iniziò a teorizzare nei primi anni Ottanta, quando si trattava di affrontare la "crisi del debito estero latinoamericano": da allora, l'istituzione internazionale che emette un prestito (o ne rinnova uno precedente) non negozia solo i termini della restituzione (rate, scadenze, interessi, ecc.), ma anche le politiche che il richiedente dovrà mettere in pratica per ripagare la somma ricevuta. leggi tutto

La sfida del populismo (greco) e l’Italia

Paolo Pombeni - 30.06.2015

La decisione del governo Tsipras di drammatizzare all’eccesso l’esito di un negoziato che per il suo paese era impossibile vincere risponde al momento difficile che i populismi di ogni colore hanno imposto all’Europa. Infatti, al di là di ogni considerazione sui tecnicismi della faccenda, ciò che ha condizionato a fondo questa partita è stato il fatto che ogni paese era prigioniero delle pulsioni populiste che dominano la propria opinione pubblica. L’Italia non fa eccezione, anche se da noi, come vedremo, la situazione ha peculiarità non riscontrabili altrove.

La rappresentazione del conflitto fra il governo greco e quelli europei è piuttosto semplice da riassumere: le opinioni pubbliche europee difficilmente avrebbero accettato che la Grecia ottenesse non solo una sanatoria su un passato di finanza allegra, ma una licenza a continuare ad elargire privilegi che negli altri paesi sono stati cancellati. Tsipras dal canto suo non poteva accettare di venire smentito nelle promesse elettorali che irresponsabilmente aveva elargito al suo popolo, cioè che si potesse cavarsela molto a buon mercato rispetto ai guai fatti in precedenza (senza parlare della forza che non ha per imporre un freno all’evasione e comunque ai privilegi  fiscali).

Si può mettersi a fare delle riflessioni articolate sulla perfetta aderenza alla realtà di questa rappresentazione, ma in politica le rappresentazioni contano nella loro capacità di semplificazione. Per tutti i leader europei era di fatto impossibile concedere a Tsipras quella vittoria che reclamava, perché avrebbe significato, oltre tutto, l’aprirsi di una domanda generalizzata di misure di assistenzialismo economico-fiscale che avrebbero fatto naufragare la stentata ripresa economica in atto. leggi tutto