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Riforma giustizia: una china pericolosa
Temiamo che tutti stiano prendendo troppo alla leggera i problemi che sono connessi con la riforma del sistema giudiziario promossa dal ministro Nordio ed ora approvata alla Camera in prima lettura. Questa volta la questione non sta tanto nel contenuto della legge, quanto nello scontro istituzionale che finisce per innescare.
Diciamo subito che la previsione di due distinte carriere fra la magistratura giudicante e la magistratura inquirente non comporta di suo alcuno sconquasso. In altri sistemi democratici esiste questa distinzione in varie forme, così come nei sistemi autoritari invece tutto, inquirente e giudicante, è accentrato sotto il potere del governo. La riforma Nordio mantiene le guarentigie costituzionali per entrambe le categorie e se si ragiona, come propone l’ANM, temendo che i PM senza l’avvallo dei colleghi giudici possano finire nelle spire del governo di turno, si può obiettare che quello è un pericolo costante in tutte le relazioni di potere e non è eliminabile se non con la diffusione di una etica del ruolo che la categoria riesce ad imporre quando cessa di essere una corporazione con relativo sindacato.
Il problema vero riguarda il mantenimento o meno della magistratura non come potere neutro, così come dovrebbe essere per la tradizione del costituzionalismo, ma leggi tutto
Ancora il dilemma del centro
Mentre nei sondaggi cresce il gradimento di Giorgia Meloni, in una politica abbastanza stanca si torna a discutere del dilemma di una formazione centrista in grado di contrastare la corsa alla radicalizzazione, in Italia per la verità ora un poco ridimensionata (anche per il fenomeno dell’astensionismo), ma in altri paesi europei in espansione specie sulla destra (basterà citare i casi di Germania e Austria, ma anche in Francia il fenomeno tiene ancora banco e persino in Gran Bretagna si riaffaccia sulla scena).
Da noi la situazione è abbastanza diversa per quanto riguarda il destra-centro e per quanto riguarda il centro sinistra. Nel primo caso Forza Italia, con l’appendice di “Noi moderati” di Lupi, sta saldamente occupando quell’area, pur con presenze geograficamente a macchia di leopardo: abbastanza forte in alcune aree, molto debole in altre. Non si può dire che eserciti un peso decisivo nella coalizione di governo, ma certo è efficace nel contrastare il salvinismo consentendo alla Meloni anche di tenere a freno qualche nostalgia barricadiera dei suoi. Poi FI ottiene qualche poltrona nelle spartizioni (vedi quel che avviene per il rinnovo dei giudici della Consulta), ma non riesce ad imporre qualche sua battaglia significativa come quella sul cosiddetto “ius scholae” per leggi tutto
Meloni fra Usa e UE
Era inevitabile che si speculasse sul significato del viaggio lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago ospite di Trump. Vi contribuiscono la natura semi-segreta dell’iniziativa almeno nella sua prima parte, perché poi le si è data ampia pubblicità, ma altrettanto i molti aspetti impliciti nella costruzione di un rapporto particolare fra il nuovo presidente americano e la premier italiana.
Essendo tutto molto aggrovigliato, è comprensibile che ci sia ampia possibilità di scelta sugli aspetti che ciascuno può privilegiare nella propria lettura dell’evento. Uno che ha colpito molto, ma che a nostro avviso è interpretato superficialmente, è il carattere personale-solitario dell’incontro che almeno sul versante italiano non ha coinvolto le articolazioni istituzionali del governo, in primis il ministro degli Esteri. Al di là delle scontate riflessioni sul carattere sempre più leaderistico dei vertici politici, cosa che peraltro non è una novità (De Gasperi nel ’47 non andò negli USA col ministro degli Esteri; De Gaulle, Brandt, Kohl e tanti altri si sono mossi in maniera simile), c’è un dato formale da tenere presente: la legge americana e le consuetudini non consentono ad un presidente eletto, ma non ancora in carica, di avere interlocuzioni istituzionalizzate con i vertici di altri stati. Per questo era necessario salvare la finzione leggi tutto
Fra radical-populismo e voglia di centro
È abbastanza curioso notare come le cronache politiche si siano incentrate su due fenomeni agli antipodi fra loro: l’intemerata di Giorgia Meloni alla festa del suo partito che rilancia il radical-populismo (prontamente sostenuta dai suoi avversari che amano calvare le stesse onde) e il gran discutere dell’ipotetica rinascita o rifondazione di un “centro”, dibattito che al momento sembra interessare più i commentatori e qualche spezzone delle classi dirigenti che non l’elettorato.
La premier è apparsa una volta di più incapace di liberarsi dai panni del comiziante che deve imporsi in un mondo considerato ostile a prescindere e deciso ad emarginarla. Nonostante i riconoscimenti che riceve sul piano internazionale e non solo, anche da osservatori non legati alla sua parte politica, non riesce proprio a consolidare questa immagine ignorando le critiche che le piovono addosso assumendo la postura del leader che parla del suo programma e ignora le polemiche scontate dei suoi competitori. Brandire i numeri a suo favore come clave da battere sulle teste degli avversari non le giova, perché così facendo fa apparire cifre fondate come trovate da comizio, il che presso una parte del pubblico induce a pensare che abbia ragione chi le ritiene propaganda e non dati reali. leggi tutto
La politica italiana nel turbinio della politica internazionale
Con l’esito della replica delle votazioni della costituente Cinque Stelle come chiesto da Grillo si arriva ad una provvisoria conclusione di una querelle che secondo alcuni avrebbe potuto movimentare la politica italiana. Siamo davanti ad un modo un poco provinciale di guardare alle vicende di casa nostra, perché c’è da dubitare che con il turbinio di eventi in corso nella politica internazionale possa diventare determinante la diatriba che coinvolge Grillo e Conte.
Ciò non significa ignorare che una qualche ricaduta anche questa vicenda ce l’avrà. Il capo dei Pentastellati ha vinto (neppure in misura travolgente) la sua battaglia per il controllo del partito, ma i costi potrebbero non essere lievi. È bene non dimenticare che si tratta di un confronto all’interno dei soli militanti registrati del Movimento, che rappresentano una frazione minima degli elettori, per cui non è affatto detto che il duello ingaggiato dal comico fondatore non abbia poi successo nell’erodere il consenso di M5S nelle urne.
Non si dimentichi che, a meno di scioglimento della legislatura prima della scadenza (2027), al momento improbabile, i prossimi test elettorali saranno tutti a livello amministrativo (regionali e comunali), terreni su cui già di suo i pentastellati non vanno bene, ma su cui potrebbero incidere leggi tutto
Coalizioni in difficoltà
Le coalizioni in politica sono strumenti complicati da maneggiare. Se si fanno intorno ad un partito largamente preminente gli altri hanno sempre l’incubo di essere fagocitati da questo. Se raccolgono componenti più o meno alla pari è difficile che evitino comunque la tentazione di scavalcarsi reciprocamente.
Questa banale realtà la stiamo constatando tanto nella coalizione governativa quanto in quella delle opposizioni (in tutte e due prevale il primo modello). È abbastanza curioso che in entrambi i campi si invochi una coesione ideologica che dovrebbe favorire le intese: suona come un lontano retaggio di tempi in cui i partiti si coalizzavano, almeno in parte, per l’adesione ad una comune interpretazione delle prospettive politiche da proporre e ad una qualche ideologia generale. Peraltro, se si volesse dire le cose come stavano, quel tipo di coalizioni era entrato in crisi già a fine anni Settanta del secolo scorso con il fallimento della formula legata alla cosiddetta solidarietà nazionale. Dopo di allora le coalizioni erano state molto poco coese, proprio per il tramonto delle culture ideologiche: basta ricordare le tensioni in quelle fra DC, PSI e altri partiti, o la difficoltà del PCI di mettere in piedi un raggruppamento alternativo.
Nella realtà di oggi immaginarsi coalizioni leggi tutto
Un nuovo partito personale
La costituente convocata da Giuseppe Conte per validare la svolta da lui impressa al Movimento Cinque Stelle si è conclusa come c’era da aspettarsi: con la certificazione della nascita di un ulteriore partito di professionisti politici che fa perno attorno ad un leader che ne è signore e padrone. L’ironia stizzita di Grillo che ha stigmatizzato il passaggio come transito “da francescani a gesuiti” coglie nel segno: non quello della storia, perché tanto i francescani quanto i gesuiti sono formazioni ben diverse dagli stereotipi della vulgata corrente a cui fa riferimento il garante disarcionato, ma quello di una certa immagine populista delle due formazioni religiose.
Francescano M5S non lo è mai stato, se non per un po’ di scenografia di comodo. Se si deve prestar fede alla leggenda nera che vuole i gesuiti intriganti faccendieri che ispirano il potere e se lo accaparrano quale che sia, invece qualche similitudine con le strategie dell’ex avvocato del popolo si trova facilmente.
La prima cosa da notare è che, a rigore, la convention pentastellata romana non ha deciso niente: si tratta solo di indicazioni di “linee” e di “indirizzi” che poi vengono affidate al leader, tacitamente riconfermato, e al suo gruppo dirigente per vedere quando e come, leggi tutto
Un voto da meditare
Il grande scontro destra vs. sinistra si è concluso col risultato di 1 a 2: Liguria al centrodestra, mentre il centrosinistra scommetteva sulla sua vittoria; Emilia Romagna al centrosinistra, risultato scontato; Umbria al centrosinistra, dove il centrodestra governava e pensava di resistere. Alla banalità di chiedersi che ricadute avrà tutto questo sul governo nazionale sembra si stia resistendo, perché non pare che in questo caso ci sia nulla capace di mettere in crisi l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Poiché anche in politica vale l’assioma della goccia che scava la roccia, qualche riflessione la si può fare e riguarda alcuni dati che si ricavano dai risultati. Scontato il rammarico per l’alto tasso di astensionismo: ormai è un dato quasi strutturale, la metà degli elettori diserta le urne. Le ragioni sono varie, ma senz’altro c’entra la convinzione diffusa che chiunque governi le sue possibilità di intervento, almeno per ciò che riguarda la gente comune, sono più o meno le stesse. Non è esattamente così, ma sarebbe miope non riconoscere che in questo modo di sentire c’è anche del vero. Per recuperare la partecipazione sarà necessario ricostruire le reti di coinvolgimento sociale, che sono nel migliore dei casi appassite, anzi per lo più si sono disseccate. leggi tutto
Le fascinazioni superficiali per gli esempi stranieri
Siamo da sempre un paese che ama rispecchiarsi in quel che avviene nei grandi paesi. È dal Risorgimento che va avanti così: la Francia, l’Inghilterra, poi la Germania, poi gli USA, qualche volta la Spagna, la Cina, con continue entrate e uscite, a volte anche di paesi un po’ strane (ricordate le fascinazioni per Cuba e per il Vietnam?). Ovviamente non è che si prendano in considerazione proprio le complessità di quel che accade altrove, in genere ci si accontenta di assolutizzare alcune impressioni che possono portare acqua al mulino di questa o quella forza politica.
L’ultimo caso è la vittoria di Trump nelle elezioni per la presidenza americana, che hanno infiammato le letture del futuro da parte delle destre e condizionato quelle di molte altre componenti. Non moltissimo tempo fa c’è stata l’esaltazione della vittoria elettorale del “Nuovo Fronte Popolare” in Francia che aveva galvanizzato le sinistre nostrane e i commentatori che le supportano. In quel caso stiamo vedendo che non è che stia andando a finire benissimo, almeno per ora, ma noi non facciamo parte di nessun fan-club per cui sappiamo che i tempi della politica sono più lenti di quel che si pensa.
Tornando a Trump, adesso si scommette a destra leggi tutto
Il rebus del centro
La discussione su cosa sia e che ruolo abbia “il centro” in una democrazia costituzionale basata sulla competizione elettorale è una storica questione nelle riflessioni politiche. Ci sono due versioni. Quando il sistema è tendenzialmente bipolare o addirittura bipartitico, allora si dice che vince chi riesce ad aggiungere ai voti della propria parte (destra o sinistra) i voti del centro, che come tale è dato per oscillante fra le due. In questo caso, almeno tendenzialmente il centro non si formalizzerebbe a costruire uno o più partiti ma si sposterebbe sull’uno e/o sull’altro campo. Quando invece si ha un sistema strutturalmente pluripartitico, il centro avrebbe una o più formazioni strutturate che competono con le altre in quanto rappresentanti di specifici segmenti sociali. In questi casi può anche succedere che una di queste forze assuma la leadership nel determinare la formazione di coalizioni vincenti, condizionando gli alleati, di destra o di sinistra a seconda dei casi, a moderarsi nelle loro pretese specifiche.
Questa è la rappresentazione idealizzata dei possibili quadri della vita politica, perché nella realtà in genere è tutto più sfumato o più confuso. Una avvertenza da richiamare è che c’è differenza fra un sistema in cui i partiti (molti) sono fortemente strutturati e radicati nella società leggi tutto