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Di fronte alla crisi internazionale: parole e fatti
Come è normale, nei momenti di crisi acuta cresce la voglia di prendere posizione: è un modo per dimostrarsi partecipi e spesso per convincersi di poter incidere su una situazione che ci turba. Eppure nei momenti cruciali sarebbe utile vaccinarsi contro le parole che generano illusioni e fughe dalla realtà. Ci permettiamo di suggerire qualche esempio preso dagli ultimi fuochi del dibattito in corso sulla fase critica della guerra in Ucraina.
Due sono le leggende metropolitane che tengono banco, non solo presso un’opinione disorientata, ma anche in quote importanti delle nostre classi politiche, dalle quali sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di discernimento. La prima leggenda da sfatare è quella secondo cui l’Europa non avrebbe fatto quasi nulla per promuovere una soluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Sinceramente non ha fondamento. Innanzitutto nella fase iniziale dell’invasione russa alcuni leader europei hanno provato ad approcciare Putin: lo hanno fatto sia Macron che Scholz e qualcuno ricorderà il famoso viaggio in treno che vide insieme Draghi con il presidente francese e il cancelliere tedesco andare verso Kiev: certo per portare solidarietà a quel paese invaso, ma al tempo stesso per esplorare la possibilità di trovare soluzioni diplomatiche. Più o meno sotto traccia ci sono stati altri leggi tutto
La politica italiana tra Trump e la Germania
Potrebbero essere settimane calde per la politica italiana, ma non lo sono se non per quel che riguarda una quota limitata di fan-club dei partiti in campo. L’impressione a stare in mezzo alla gente normale è che tutto scivoli via come uno spettacolo le cui scene essendo ormai conosciute non suscitano particolare coinvolgimento.
Ovviamente quel che sta succedendo è importante, ma gran parte dell’opinione pubblica fa fatica a rendersene pienamente conto. Prendete la vera e propria esplosione della nuova linea politica di Trump: è così palesemente sopra le righe, paradossalmente teatrale che la gente fa fatica a ritenerla reale e capace di cambiare le cose. Si aspetta più o meno che la bolla scoppi. Naturalmente non andrà così, almeno per un periodo di tempo non breve, tuttavia la preminenza di un sentimento che da un lato si aspetta che succedano sconvolgimenti e che dall’altro li vuol tenere lontani da sé declassandoli fa sì che il coinvolgimento nelle tensioni della politica sia sostanzialmente modesto.
Ne è prova la scarsa presa che ha avuto il terzo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina. Avrebbe dovuto essere una occasione per riflettere seriamente sul cambiamento che abbiamo davanti e che richiederebbe una presa di coscienza sulla svolta che si presenta all’Europa: leggi tutto
Difficile prevalga la ragione…
Una qualche speranza che si stemperi almeno un poco il clima di lotta generalizzata (ma talora verrebbe voglia di parlare di zuffe) dominante nella politica la si è avuta col cambio al vertice della ANM: il nuovo presidente, che è espressione di una corrente moderata pur essendo anch’egli un PM, ha manifestato disponibilità ad un confronto con la presidente Meloni ed ha subito ricevuto una analoga disponibilità da Palazzo Chigi. Se si tratta di una questione di bon ton fra le istituzioni (sarebbe comunque già qualcosa) o di una reale consapevolezza da entrambe le parti che il dialogo non solo conviene, ma è doveroso, lo vedremo nel corso dei mesi.
Non a breve, perché smontare delle barricate non è un’operazione che si fa rapidamente. Il sindacato dei giudici non ha rinunciato allo sciopero e alle manifestazioni un po’ da sceneggiata come quella di indossare coccarde tricolori sulle toghe, ma si può capire: quando hai eccitato gli associati e c’è una presenza forte delle componenti corporativo-radicali, non è che ti puoi mettere di colpo contro di loro spaccando inevitabilmente il fronte. Neppure il governo e la maggioranza sono veramente pronti a trovare vie di dialogo: dopo avere scommesso sulla riforma della magistratura come simbolo di una leggi tutto
Un momento convulso
Il mondo politico non sembra percepire le preoccupazioni che percorrono molti ambienti delle classi dirigenti, si dice anche del Quirinale (ovviamente da quel palazzo filtra ben poco, ma alcuni segnali sono trapelati). Non è chiaro quanto l’opinione pubblica registri questo stato di cose: una certa ansia serpeggia (e i partiti da punti di vista diversi la cavalcano), ma anche una specie di estraneazione come davanti ad una fatalità che si vuole rimuovere.
Certamente il quadro internazionale non è tranquillizzante. L’esordio della amministrazione Trump mostra un presidente scatenato che sembra illuso di essere il padrone regolatore del mondo, o che quanto meno ha scelto di recitare quella parte per imporsi sulla scena. Già l’opzione per una politica dei dazi che è più che aggressiva deve necessariamente preoccupare: se davvero proseguirà su quella strada oltre un qualche momento simbolico, l’equilibrio già in crisi dei mercati internazionali sarà gravemente compromesso con conseguenze che si rifletteranno sulle società. Ma si è già visto che ha fatto presto qualche marcia indietro. Ancor più sconvolgente la pretesa di essere il regolatore dei conflitti in corso ponendosi al di sopra delle parti e dettando soluzioni piuttosto cervellotiche. Così è per la crisi mediorientale con la proposta di spostare gli abitanti di Gaza leggi tutto
Torna il sogno della bacchetta magica elettorale?
Si discute adesso dell’uscita dell’on. Dario Franceschini che ritorna sul tema, non sappiamo se sempre verde o secco, ma immarcescibile, di una nuova legge elettorale come chiave per quella riforma del sistema politico italiano che non si è riusciti ad avviare.
Per la verità non è che non se ne sia mai discusso. Se si vuol risalire molto indietro si può ricordare il tentativo di introdurre nel 1953 una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza per la coalizione vincitrice. Presidente del Consiglio era Alcide De Gasperi, la riforma divenne legge dopo battaglie parlamentari furibonde, era valida per le elezioni di quell’anno, ma non poté avere effetto perché prevedeva che la coalizione vincitrice per aggiudicarsi il premio dovesse raccogliere il 50%+1 dei suffragi e nelle urne l’obiettivo fu mancato per piccolo numero di voti (la coalizione di centro guidata dalla DC si fermò al 49,8%). In quell’occasione la riforma fu denominata “legge truffa” per la banale constatazione che solo la coalizione di centro poteva in realtà raccogliere eventualmente il quorum necessario, mentre non era possibile una coalizione alternativa in grado di competere perché le opposizioni erano divise fra partiti di destra e partiti di sinistra chiaramente non coalizzabili fra loro.
Quella legge fu cancellata subito leggi tutto
Riforma giustizia: una china pericolosa
Temiamo che tutti stiano prendendo troppo alla leggera i problemi che sono connessi con la riforma del sistema giudiziario promossa dal ministro Nordio ed ora approvata alla Camera in prima lettura. Questa volta la questione non sta tanto nel contenuto della legge, quanto nello scontro istituzionale che finisce per innescare.
Diciamo subito che la previsione di due distinte carriere fra la magistratura giudicante e la magistratura inquirente non comporta di suo alcuno sconquasso. In altri sistemi democratici esiste questa distinzione in varie forme, così come nei sistemi autoritari invece tutto, inquirente e giudicante, è accentrato sotto il potere del governo. La riforma Nordio mantiene le guarentigie costituzionali per entrambe le categorie e se si ragiona, come propone l’ANM, temendo che i PM senza l’avvallo dei colleghi giudici possano finire nelle spire del governo di turno, si può obiettare che quello è un pericolo costante in tutte le relazioni di potere e non è eliminabile se non con la diffusione di una etica del ruolo che la categoria riesce ad imporre quando cessa di essere una corporazione con relativo sindacato.
Il problema vero riguarda il mantenimento o meno della magistratura non come potere neutro, così come dovrebbe essere per la tradizione del costituzionalismo, ma leggi tutto
Ancora il dilemma del centro
Mentre nei sondaggi cresce il gradimento di Giorgia Meloni, in una politica abbastanza stanca si torna a discutere del dilemma di una formazione centrista in grado di contrastare la corsa alla radicalizzazione, in Italia per la verità ora un poco ridimensionata (anche per il fenomeno dell’astensionismo), ma in altri paesi europei in espansione specie sulla destra (basterà citare i casi di Germania e Austria, ma anche in Francia il fenomeno tiene ancora banco e persino in Gran Bretagna si riaffaccia sulla scena).
Da noi la situazione è abbastanza diversa per quanto riguarda il destra-centro e per quanto riguarda il centro sinistra. Nel primo caso Forza Italia, con l’appendice di “Noi moderati” di Lupi, sta saldamente occupando quell’area, pur con presenze geograficamente a macchia di leopardo: abbastanza forte in alcune aree, molto debole in altre. Non si può dire che eserciti un peso decisivo nella coalizione di governo, ma certo è efficace nel contrastare il salvinismo consentendo alla Meloni anche di tenere a freno qualche nostalgia barricadiera dei suoi. Poi FI ottiene qualche poltrona nelle spartizioni (vedi quel che avviene per il rinnovo dei giudici della Consulta), ma non riesce ad imporre qualche sua battaglia significativa come quella sul cosiddetto “ius scholae” per leggi tutto
Meloni fra Usa e UE
Era inevitabile che si speculasse sul significato del viaggio lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago ospite di Trump. Vi contribuiscono la natura semi-segreta dell’iniziativa almeno nella sua prima parte, perché poi le si è data ampia pubblicità, ma altrettanto i molti aspetti impliciti nella costruzione di un rapporto particolare fra il nuovo presidente americano e la premier italiana.
Essendo tutto molto aggrovigliato, è comprensibile che ci sia ampia possibilità di scelta sugli aspetti che ciascuno può privilegiare nella propria lettura dell’evento. Uno che ha colpito molto, ma che a nostro avviso è interpretato superficialmente, è il carattere personale-solitario dell’incontro che almeno sul versante italiano non ha coinvolto le articolazioni istituzionali del governo, in primis il ministro degli Esteri. Al di là delle scontate riflessioni sul carattere sempre più leaderistico dei vertici politici, cosa che peraltro non è una novità (De Gasperi nel ’47 non andò negli USA col ministro degli Esteri; De Gaulle, Brandt, Kohl e tanti altri si sono mossi in maniera simile), c’è un dato formale da tenere presente: la legge americana e le consuetudini non consentono ad un presidente eletto, ma non ancora in carica, di avere interlocuzioni istituzionalizzate con i vertici di altri stati. Per questo era necessario salvare la finzione leggi tutto
Fra radical-populismo e voglia di centro
È abbastanza curioso notare come le cronache politiche si siano incentrate su due fenomeni agli antipodi fra loro: l’intemerata di Giorgia Meloni alla festa del suo partito che rilancia il radical-populismo (prontamente sostenuta dai suoi avversari che amano calvare le stesse onde) e il gran discutere dell’ipotetica rinascita o rifondazione di un “centro”, dibattito che al momento sembra interessare più i commentatori e qualche spezzone delle classi dirigenti che non l’elettorato.
La premier è apparsa una volta di più incapace di liberarsi dai panni del comiziante che deve imporsi in un mondo considerato ostile a prescindere e deciso ad emarginarla. Nonostante i riconoscimenti che riceve sul piano internazionale e non solo, anche da osservatori non legati alla sua parte politica, non riesce proprio a consolidare questa immagine ignorando le critiche che le piovono addosso assumendo la postura del leader che parla del suo programma e ignora le polemiche scontate dei suoi competitori. Brandire i numeri a suo favore come clave da battere sulle teste degli avversari non le giova, perché così facendo fa apparire cifre fondate come trovate da comizio, il che presso una parte del pubblico induce a pensare che abbia ragione chi le ritiene propaganda e non dati reali. leggi tutto
La politica italiana nel turbinio della politica internazionale
Con l’esito della replica delle votazioni della costituente Cinque Stelle come chiesto da Grillo si arriva ad una provvisoria conclusione di una querelle che secondo alcuni avrebbe potuto movimentare la politica italiana. Siamo davanti ad un modo un poco provinciale di guardare alle vicende di casa nostra, perché c’è da dubitare che con il turbinio di eventi in corso nella politica internazionale possa diventare determinante la diatriba che coinvolge Grillo e Conte.
Ciò non significa ignorare che una qualche ricaduta anche questa vicenda ce l’avrà. Il capo dei Pentastellati ha vinto (neppure in misura travolgente) la sua battaglia per il controllo del partito, ma i costi potrebbero non essere lievi. È bene non dimenticare che si tratta di un confronto all’interno dei soli militanti registrati del Movimento, che rappresentano una frazione minima degli elettori, per cui non è affatto detto che il duello ingaggiato dal comico fondatore non abbia poi successo nell’erodere il consenso di M5S nelle urne.
Non si dimentichi che, a meno di scioglimento della legislatura prima della scadenza (2027), al momento improbabile, i prossimi test elettorali saranno tutti a livello amministrativo (regionali e comunali), terreni su cui già di suo i pentastellati non vanno bene, ma su cui potrebbero incidere leggi tutto