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22 marzo 2025
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Argomenti

Balcani e Turchia, arrivano le pagelle della Commissione europea

Davide Denti * - 21.11.2015

A metà novembre la Commissione europea ha presentato i suoi Progress Report annuali sulla situazione nei paesi coinvolti nella politica d'allargamento – Balcani occidentali e Turchia. Un esercizio rinnovato, nelle intenzioni della Commissione, per abbandonare il gergo burocratico e farne uno strumento trasparente di comparazione degli sviluppi nei diversi paesi, utile alle società civili per chiedere conto ai propri governi.

 

I rapporti escono con qualche settimana di ritardo rispetto al previsto. Un ritardo dovuto agli sviluppi della crisi dei profughi, secondo Bruxelles (l'ultimo vertice tra i capi di governo della regione e la Commissione si è tenuto solo lo scorso 8 ottobre) ma potrebbe anche avere a che fare con la nuova tornata elettorale del 1° novembre in Turchia. La Commissione avrebbe preferito aspettare, prima di dare le sue valutazioni sugli sviluppi politici in Turchia: un regalo ad Erdogan secondo alcuni, una mossa di autodifesa per evitare di essere risucchiati nelle polemiche politiche turche per gli altri.

 

E in effetti la relazione della Commissione sulla Turchia non è leggera, e non ha mancato di sollevare le proteste del nuovo governo AKP. Bruxelles da una parte rimarca “l'aiuto umanitario senza precedenti” offerto dalla Turchia leggi tutto

Quale integrazione sociale degli immigrati nella società francese? Lo Stade de France, primo obiettivo dei terroristi a Parigi

Stefano Martelli * - 21.11.2015

La crudele regia della mente criminale che ha pianificato i 6 attentati terroristici a Parigi ha scelto lo Stade de France come il suo primo obiettivo. Non era una partita qualsiasi, quella che venerdì 13 novembre era iniziata da pochi minuti: in campo si affrontavano, anche se solo per una amichevole, le Nazionali di calcio di Francia e Germania, ovvero dei due Stati che da anni sono, di fatto,  alla guida dell’Unione europea. In tribuna sedeva il Presidente Hollande e sugli spalti sedevano circa 80.000 spettatori. Il fatto che i controlli di sicurezza abbiano impedito ai due attentatori di entrare e che poi questi si siano fatti esplodere fuori, peraltro causando una sola vittima, non diminuisce la rilevanza simbolica dell’obiettivo ISIS. Quale modo migliore per seminare il terrore in città e, a raggio più ampio, in due nazioni europee e, al tempo stesso, per colpire al cuore il gioco del calcio  --un passatempo consumistico, indegno di veri uomini, quali reputano di essere i guerrieri dell’ISIS?

Lo Stade de France, poi, non è solo uno dei molti impianti sportivi che la Francia possiede e che sono ormai pronti per ospitare “Euro 2016”, il torneo internazionale di calcio, che all’inizio della prossima estate appassionerà centinaia di milioni di persone nell’intero continente europeo. leggi tutto

La politica in Italia dopo la strage di Parigi

Paolo Pombeni - 19.11.2015

I recenti attentati terroristici di Parigi che riflessi avranno sulla politica italiana? La domanda circola, ma la risposta è tutt’altro che facile. Innanzitutto perché non sappiamo ancora se quel che è accaduto è un episodio destinato a rimanere circoscritto o se sarà l’inizio di una “campagna” (per usare un vecchio termine politico-militare) che si estenderà nel tempo e che avrà una sua logica e una sua strategia di lungo periodo. Ovviamente l’uno o l’altro scenario cambierebbe non poco le coordinate dell’evoluzione della nostra politica.

Al momento abbiamo solo visto in Italia un sistema che ha reagito su un doppio binario: una certa capacità di dominio degli eventi da parte del governo, un populismo sciatto e provinciale nelle opposizioni. Queste ultime ovviamente hanno offerto tutto uno spettro di comportamenti: dalle intemerate da talk show di Salvini (ma ormai ci siamo abituati: oltre quello sembra non riesca ad andare), alle vaghezze dei Cinque Stelle (ritirare i soldati dall’Afghanistan è un non senso), alla sostanziale incapacità di presenza dell’arcipelago berlusconiano (il mantra del “coinvolgiamo la Russia” non è molto originale).

Bisogna invece riconoscere che Renzi è stato in questo caso particolarmente sobrio: ha evitato qualsiasi tono enfatico, ha sottolineato passaggi di buon senso (evitiamo di creare una Libia bis), ha dato l’impressione che si deve lavorare molto a livello di relazioni internazionali lasciando perdere gli annunci ad effetto. Va aggiunto che lo hanno sostenuto bene anche i principali ministri: serio e credibile Gentiloni, ma lo stesso Alfano, chiuso il pollaio polemico con Salvini (che poteva risparmiarsi), ha illustrato prese di posizioni equilibrate e realistiche. leggi tutto

Un salto di qualità

Michele Marchi - 17.11.2015

E’ difficile scrivere a meno di tre giorni da uno dei più terribili attacchi subiti da un Paese europeo dall’avvio della folle guerra lanciata dal fondamentalismo di matrice islamica nel triste giorno di fine estate del 2001.

È complicato provare a fare un minimo di chiarezza quando le indagini sono appena avviate, quando i servizi di vari Paesi parlano di altre minacce imminenti e quando non tutti i responsabili dell’immane carneficina di Parigi sono stati arrestati.

Eppure alcune considerazioni, seppur provvisorie, cominciano ad emergere e sembrano tutte legate a quel “salto di qualità” scelto come titolo.

Un “salto di qualità” lo hanno compiuto gli attentatori del 13 novembre. La modalità dell’attacco simultane, in luoghi differenti della città era stato, solo in parte, sperimentato a Londra nel 2005, ma non con questa intensità e questa capacità operativa dei gruppi di fuoco. I molteplici assalti di Parigi ricordano l’esempio extra-europeo degli attentati di Mumbai nel 2008, quando una decina di differenti gruppi di fuoco impegnò le forze di sicurezza indiane per 60 ore, provocando quasi duecento morti e circa 300 feriti. È più che legittimo, allora come oggi, parlare di guerra, prima di tutto perché di un’operazione di guerriglia in centro abitato si è trattato. Si può aggiungere poi un secondo, ancora più drammatico, “salto di qualità”: l’utilizzo di kamikaze. Da questo punto di vista le strade di Parigi si sono trasformate, si spera solo per una notte, in quelle che di solito ci appaiono così distanti, così altro da noi: Baghdad, Kabul o Tel Aviv. leggi tutto

Raqqa-Parigi-Raqqa

Le informazioni sulla dinamica degli attentati che hanno colpito Parigi ricostruiscono un’operazione tanto complessa nel suo coordinamento quanto semplice nella sua logica criminale: colpire tre spazi che contraddistinguono la socialità pubblica di Parigi, colpire tutte le persone che le frequentano, indipendentemente da religione, lingua o provenienza, perché “colpevoli” di partecipare ad una socialità che gli attentatori ritengono simbolizzi il nemico. Per l’organizzazione dello Stato islamico (Daesh, acronimo arabo) ora la Francia rappresenta un nemico, come altri Paesi europei.

Sebbene vi siano state delle incongruenze iniziali tra la rivendicazione di Daesh e altri sui canali “ufficiali” di comunicazione, non stupisce che sia l’organizzazione ad esserne il mandante. Dall’estate del 2015, infatti, Daesh è sotto pressione: quelle forze regionali ed internazionali che per anni hanno lasciato che l'organizzazione combattesse prima in Iraq e poi in Siria in funzione anti-iraniana non ne controllano più le azioni e le ambizioni; alcune decidono di "contenerla", e ne subiscono gli attacchi.

Nell’estate del 2015 Daesh ha conquistato Ramadi, il capoluogo della provincia irachena di al Anbar, fulcro e luogo originario dell’organizzazione; si volge poi ad ovest e conquista la città siriana di Tadmur, Palmira, fino a lambire la grande arteria che lega da nord a sud Damasco e Aleppo. In tutti questi casi, leggi tutto

Cinque questioni attorno al voto regionale francese del 6-13 dicembre 2015

Michele Marchi - 12.11.2015

Ad un mese circa dal primo turno del voto regionale francese è giunto il momento di sottolineare la grande importanza di questo appuntamento elettorale. Almeno per cinque ragioni si può parlare di un passaggio cruciale.

  1. Prima di tutto ci si trova di fronte all’ultimo scrutinio prima del voto presidenziale della primavera 2017. Dopo le europee e le municipali del 2014 e le dipartimentali del 2015, il quinquennato di Hollande non vedrà più elezioni prima della sfida del 2017. È dunque evidente che l’esito delle regionali avrà importanti ricadute sulla lunga campagna elettorale che, per certi versi, attende solo questo ultimo passaggio elettorale per decollare.
  2. La seconda questione cruciale riguarda proprio François Hollande e in seconda battuta il PS. Nell’estate 2012 il PS controllava tutte le principali cariche del Paese, dall’Eliseo appena conquistato all’Assemblea nazionale e al Senato, così come tutte le regioni (eccetto l’Alsazia) e la maggioranza dei comuni e dei consigli dipartimentali. Ogni elezione successiva al voto presidenziale del 2012 è stata una debacle per il potere socialista. I vari passaggi elettorali si sono caratterizzati in larga parte come voto sanzione proprio nei confronti dell’inquilino dell’Eliseo. Il suo livello di popolarità è in costante calo e una delle più recenti rilevazioni (Baromètre Le Figaro) parla del 15% dei cittadini che hanno totale fiducia del presidente, contro l’82% che nutre sfiducia nei suoi confronti.
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L’Ue tra “piccole patrie” e nazionalismi: le nuove forze centripete e la posta in gioco

Massimo Piermattei * - 12.11.2015

Negli ultimi anni si sta assistendo a un costante intensificarsi di sogni indipendentisti che attraversano diverse regioni europee. Non si tratta certamente di una novità: un fenomeno analogo si registrò già nelle fasi immediatamente successive alla caduta del Muro di Berlino quando, insieme alla contrapposizione Est-Ovest, cadde anche uno dei principali motivi che aveva spinto gli Stati nella direzione di un marcato centralismo. La fine della guerra fredda liberò energie politiche nuove che portarono (anche) a una rinnovata attenzione ai territori e alle regioni, un fenomeno che in alcuni casi favorì le riforme in senso federale, come in Belgio, in altri arrivò a toccare punte drammatiche, con le dissoluzioni della federazione jugoslava e di quella sovietica.

È di pochi giorni fa la notizia dell’inasprimento della polemica con Madrid da parte del parlamento catalano, che ha approvato una mozione con l’obiettivo dichiarato di avviare unilateralmente il processo separatista – dando così seguito al voto dello scorso settembre che aveva premiato gli indipendentisti. Ma, appunto, lo strappo deciso dalla Catalogna non è un fatto isolato, bensì si inserisce in un processo più ampio che, a partire dal (fallito) referendum scozzese del settembre 2014, agita le cancellerie di diversi Stati europei – si pensi in particolare all’Italia che, proprio su questi temi, è attraversata sin dalla metà degli anni ‘90 da spinte regionaliste leggi tutto

La crisi dell’ONU a vent’anni dalla pace di Dayton

Massimo Bucarelli * - 10.11.2015

L’incapacità delle Nazioni Unite di intervenire nelle guerre interetniche, che hanno causato la dissoluzione della Jugoslavia, è stata definita dal diplomatico statunitense Richard Holbrooke, negoziatore degli accordi di pace in Bosnia, “il più grande fallimento della sicurezza collettiva occidentale dagli anni Trenta”. Altrettanto critico è stato lo stesso segretario dell'Organizzazione delle Nazioni Unite dell'epoca, il politico e diplomatico egiziano, Boutros Boutros-Ghali, secondo il quale l'intervento dei caschi blu nella ex Jugoslavia si è rivelato una vera e propria "missione frana", capace di condurre l'ONU "al disastro". In effetti, le numerose difficoltà del multilateralismo istituzionale nel gestire il conflitto armato esploso tra i popoli della ex Jugoslavia hanno fatto precipitare le Nazioni Unite in una crisi talmente profonda, da renderne l'Organizzazione, nata alla fine della seconda guerra mondiale per impedire il ripetersi delle tragedie che avevano devastato l’Europa per due volte nel giro di pochi decenni, del tutto marginale nella risoluzione delle principali crisi locali e internazionali degli ultimi vent’anni.

Il primo intervento dell'ONU nel caos jugoslavo è avvenuto nel settembre del 1991, con la decisione di decretare l'embargo generale sulle armi e sull'equipaggiamento militare contro l'intera Federazione Jugoslava. Si trattava di un'iniziativa presa nel pieno rispetto dell'imparzialità delle Nazioni Unite di fronte allo scontro in atto in Croazia, prima, e in Bosnia, poi, ma che di fatto favoriva l'esercito federale jugoslavo, leggi tutto

Garanzia europea sui depositi: una buona notizia dall’Europa

Gianpaolo Rossini - 07.11.2015

Abituati alle critiche quotidiane ad un’Europa che si muove a stento in un mondo in fibrillazione dobbiamo essere felici dell’impegno esplicito della BCE e del suo presidente Mario Draghi a dare vita a breve ad una delle colonne portanti della unione monetaria e della integrazione bancaria. Si tratta della assicurazione federale dei depositi bancari dei risparmiatori e delle imprese. Se una banca appartenente all’area euro fallirà chiudendo i battenti i depositi dei suoi clienti saranno salvaguardati e liquidati interamente ai depositanti fino ad una somma che dovrebbe essere attorno ai centomila euro. Questo dovrà avvenire in maniera omogenea in tutta eurolandia e in modo indipendente dagli stati. Oggi invece ciascun membro  euro è dotato di una sua propria parziale salvaguardia sui depositi. Si tratta di assicurazioni difformi tra loro e basate su agenzie che hanno un carattere nazionale e che soffrono delle vicende finanziarie di ciascun paese. E quindi non riscuotono interamente la fiducia degli operatori e dei risparmiatori. Nelle recenti crisi di fiducia dal 2011 in diversi paesi del sud Europa e in Irlanda, colpiti dalle tempeste dei debiti sovrani, si sono avute forti fughe di capitali e corse agli sportelli per ritirare contante. Erano dovute in larga parte al timore che il sistema bancario del paese in difficoltà venisse travolto e non fosse più in grado di risarcire i depositanti. leggi tutto

L’Europa in piazza contro il TTIP. Breve esegesi di un accordo che per alcuni promette e per altri minaccia di cambiare il (nostro) mondo.

Dario Fazzi * - 31.10.2015

Poche settimane fa, mentre a Roma il dibattito pubblico si concentrava su ricevute fiscali sospette e rimborsi apparentemente inopportuni, generando in tal modo manifestazioni di piazza spontanee tese a rivendicare la buona fede del sindaco della città ovvero a chiederne dimissioni immediate, in molte altre capitali europee diverse migliaia di cittadini decidevano di occupare lo spazio pubblico per scopi e ragioni la cui portata e le cui implicazioni ridimensionano non di poco l’agone romano.

 

Oltre 250.000 persone a Berlino, diverse decine di migliaia ad Amsterdam e Bruxelles, assieme a svariate centinaia a Parigi, Helsinki, Varsavia, Praga, Madrid e Atene, sono state coinvolte in un’imponente manifestazione di protesta contro i negoziati che dovrebbero portare alla firma di un trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, noto ai più con l’acronimo inglese TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).

 

Per buona parte del pubblico europeo, il TTIP è assurto leggi tutto