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01 maggio 2024
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Argomenti

Alain Juppé, ovvero il momento di gloria dell’“usato sicuro”.

Michele Marchi - 21.10.2014

In Francia si è diffusa una vera e propria “Juppé-mania”. L’evento è doppiamente interessante. Se sulla competenza di Juppé non si è mai discusso, non hanno mai convinto il suo scarso carisma e la sua debole propensione ad essere in sintonia con il Paese, né è mai stata apprezzata la sua presenza negli angoli meno chiari, soprattutto da un punto di vista economico, della storia del movimento gollista. L’ondata di fiducia nei confronti del sindaco di Bordeaux è ancora più significativa se si pensa che non è stata scalfita nemmeno dal rientro in campo di Nicolas Sarkozy, impegnato oramai da un mese nella corsa per la presidenza dell’UMP. Come si spiega il consenso di Alain Juppé? Quali sono le reali possibilità di vederlo candidato all’Eliseo nel 2017? Per avanzare qualche ipotesi, è necessario ricordare chi è Juppé.

Da sempre uomo di fiducia di Jacques Chirac, Juppé viene eletto al Parlamento europeo nel 1984 sull’onda del trionfo della lista RPR-UDF guidata da Simone Veil. Ben presto lascia Strasburgo perché nel 1986 è ministro del Bilancio e portavoce del primo governo di coabitazione della Quinta Repubblica, non a caso guidato dallo stesso Chirac. Nel 1993 è poi nuovamente al governo, come ministro degli Esteri, nel secondo esecutivo di coabitazione, questa volta con Edouard Balladur a Matignon. L’elezione a presidente della Repubblica di Chirac nel 1995 lo conduce a sua volta a Matignon, dove resta due anni, sino alla scellerata scelta dello stesso presidente di sciogliere l’Assemblea nazionale. leggi tutto

L'anormale impopolarità del presidente normale

Riccardo Brizzi - 14.10.2014

Essere un presidente «normale». Questa era stata la promessa (e la scommessa) fatta da François Hollande in campagna elettorale. L'espressione era volta ad annunciare una forte discontinuità rispetto all'azione di Sarkozy principalmente su due fronti. Per quanto riguarda la vita privata Hollande si impegnava a restituire sacralità a una funzione presidenziale diminuita dall'eccessiva disinvoltura del presidente uscente, protagonista di una serie di gaffes memorabili, dalla cena da Fouquet’s la sera della vittoria elettorale agli insulti con i pescatori bretoni nel porto di Guilvenec, passando per la telenovela con Cécilia, il corteggiamento di Carla e la conferenza stampa in stato di ebbrezza in occasione del G8 di Heiligendamm. Il ritorno alla «normalità» avrebbe dovuto investire anche la sfera istituzionale, rispetto alla quale il candidato socialista si impegnava a ripristinare la «sacra» distinzione di ruoli, proclamata agli albori della V Repubblica, tra un presidente della Repubblica incaricato dell’«essenziale» e un primo ministro cui è affidata la gestione ordinaria del potere. Un confine costantemente scavalcato da Sarkozy nel corso di un mandato il cui tratto distintivo era stata la costante emarginazione del primo ministro e una concentrazione presidenziale, estremamente mediatizzata, del potere esecutivo. leggi tutto

Renzi e l’europeismo: bino e forse trino

Michele Marchi - 11.10.2014

Dopo l’introduzione del Trattato di Lisbona e quella conseguente del presidente fisso del Consiglio europeo, la presidenza di turno dell’Ue ha perso parte della sua rilevanza. A questo dato strutturale si deve aggiungere che l’attuale semestre di presidenza italiano sta risentendo della complessa congiuntura successiva alle elezioni europee del maggio scorso. In particolare la nascita della nuova Commissione ha tempi tecnici piuttosto lunghi, così come intense sono le audizioni parlamentari alle quali si devono sottoporre i Commissari incaricati. In definitiva il margine di manovra “politico” del presidente di turno in circostanze così eccezionali è ulteriormente ridotto. Eppure in alcune recenti occasioni Matteo Renzi ha fornito una descrizione piuttosto chiara e anche, a suo modo, coerente del tipo di europeismo che la “sua” Italia vuole, o almeno vorrebbe, incarnare. Più che nel discorso di avvio del semestre, pronunciato di fronte al Parlamento europeo, quando Renzi si è limitato a un non originale richiamo all’anima europea da contrapporre alla fredda e grigia eurocrazia, l’europeismo di Renzi lo si è scorto nell’azione. L’ex sindaco di Firenze offre il meglio di sé quando riesce a dispiegare il suo volontarismo e il suo approccio pragmatico e a-ideologico. Nella “battaglia” per ottenere la poltrona di Alto Rappresentante per Mogherini e al recente vertice milanese sulla disoccupazione si è mostrato, in tutta la sua evidenza, il Renzi pensiero/azione a proposito del ruolo italiano nel processo di integrazione europea. La battaglia per ottenere la poltrona di Alto Rappresentante e quella conseguente per imporvi un candidato considerato non particolarmente “forte”, è stata prima di tutto una scommessa “personale” di Renzi. leggi tutto

Sénat 2014: se Marine si invita al Palais …

Michele Marchi - 04.10.2014

Nel settembre del 2011 la storica conquista della maggioranza al Senato da parte del PS era stata l’ultimo segnale di una costante progressione socialista nel Paese e nelle sue istituzioni, culminata con l’elezione di Hollande all’Eliseo del maggio successivo. Con l’arrivo di Jean-Pierre Bel allo scranno più alto del Palais du Luxembourg, i socialisti, per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, guidavano il Senato. Tre anni di tempo, il rinnovo della metà dei senatori e il centro-destra (UMP e UDI) torna in sella, con 34 senatori di distacco ed elegge l’UMP Gérard Larcher alla testa della Camera Alta. La rincorsa della destra repubblicana all’Eliseo è dunque cominciata? La strada è ancora lunga, ma questo voto di fine settembre racchiude una molteplicità di significati politici, che vanno al di là della sola riconquista UMP della maggioranza al Palais du Luxembourg.

Prima di tutto bisogna ricordare le caratteristiche peculiari del Senato francese, a partire dal fatto che i suoi membri sono eletti a suffragio universale indiretto. A scegliere ogni tre anni la metà dei componenti della Camera alta sono poco meno di novantamila grandi elettori, per la stragrande maggioranza delegati dei consigli municipali. Per questo motivo il Senato della Quinta Repubblica rimane, come amava definirlo Léon Gambetta, “il grande consiglio dei comuni di Francia”. Nel corso della III Repubblica il Senato è nato con l’obiettivo di depotenziare il carattere “rivoluzionario” ed “eversivo” della Camera bassa, eletta a suffragio universale diretto. Al Palais du Luxembourg dovevano trovare espressione le esigenze della Francia rurale, spesso monarchica, ma comunque nazional-conservatrice. leggi tutto

Addio al “Modello Germania”? Se lo dice “Der Spiegel”…

Giovanni Bernardini - 27.09.2014

C’era una volta … “un Re!”, diranno i lettori. Molto più modestamente, c’era una volta il “Modello Germania”. Espressione che per la verità ha assunto connotazioni differenti nel corso degli anni: nell’immediato dopoguerra l’etichetta comprendeva l’insieme di relazioni industriali innovative (la cosiddetta “Mibestimmung”, o coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali dell’azienda), una formazione professionale diversificata, e più in generale la stretta collaborazione tra industria, finanza e politica al fine di promuovere il benessere collettivo. In seguito, quando la Repubblica Federale sembrò attraversare pressoché indenne la crisi economica generale degli anni ’70, l’espressione “Modello Germania” indicava soprattutto la condotta moderata delle organizzazioni sindacali, che moderavano le loro richieste salariali fornendo così un aiuto significativo all’intero sistema economico nazionale. Infine, le politiche di riforma del welfare e del mercato del lavoro promosse dal governo rosso-verde al tornante del millennio furono presentate come un necessario e salutare aggiornamento del “Modello Germania” ai tempi nuovi della globalizzazione. Si trattava dell’ambiziosa “Agenda 2010” promossa dal Cancelliere Schroeder tra il 2003 e il 2005, periodo in cui le sinistre moderate erano al governo in più parti del continente leggi tutto

Un duello tra deboli?

Michele Marchi - 23.09.2014

Tra il 18 e il 21 settembre la politica francese ha effettuato la sua vera rentrée. Prima la quarta conferenza stampa del quinquennato di Hollande, importante perché successiva al rimpasto di governo di fine agosto e alla pubblicazione del velenoso volume dell’ex compagna Valérie Trierweiler. A stretto giro, tra il 19 e il 21, l’ufficializzazione del ritorno sulla scena politica dell’ex presidente Sarkozy. Per molti osservatori è ufficialmente partita la campagna per le presidenziali del 2017. In realtà è presto per dire se Hollande e Sarkozy saranno davvero tra i candidati del 2017 e, ancora più azzardato, pronosticare un ballottaggio tra i due. Al momento si può rilevare che, ripresentandosi uno di fronte all’altro come nella passata campagna elettorale, i due non hanno nascosto le loro debolezze.

 

Hollande, il “non presidente”


Per quanto riguarda Hollande la sua conferenza stampa non è stata, in assoluto, negativa. In fondo non bisogna dimenticare che ci si trovava di fronte al presidente meno gradito della storia della Quinta Repubblica, alla guida di un Paese in difficoltà economico-finanziarie e socialmente e moralmente allo strenuo delle forze. Hollande ha “tenuto” e ha ribadito la sua intenzione di essere presidente sino alla fine (sottointeso del mandato). Non ha però potuto nascondere le sue quattro grandi mancanze. leggi tutto

Il Regno Unito è salvo: il NO degli scozzesi all'indipendenza

Giulia Guazzaloca - 20.09.2014

Il Regno Unito è salvo

 

«Il popolo della Scozia ha scelto l’unità», ha commentato soddisfatto Alistair Darling, presidente del comitato «Better Toghether»; e in molti, non solo in Gran Bretagna, possono tirare un sospiro di sollievo. Con un’affluenza altissima, oltre l’85% degli aventi diritto, il risultato del referendum è stato netto: il 55% degli scozzesi ha optato per il mantenimento dell’unione, per non interrompere una storia iniziata oltre tre secoli fa.

Si prevedeva un duello all’ultimo voto, dopo la rimonta sorprendente degli indipendentisti dello Scottish National Party guidati da Alex Salmond, ma alla fine la vittoria del «no» si è imposta con un distacco di dieci punti percentuali. Fra le grandi città solo Glasgow, l’area metropolitana più popolosa, si è schierata a favore l’indipendenza con il 53,5% di «sì». In attesa che i dati elettorali vengano scorporati e analizzati, si può ritenere che la vittoria degli unionisti sia dipesa tanto dai timori degli scozzesi per il «salto nel buio» che avrebbe comportato l’indipendenza, quanto dall’agguerrita, a tratti minacciosa, campagna del potente schieramento anti-secessione. Quest’ultimo, sostenuto anche dalle grandi istituzioni internazionali e dai leader dei paesi europei, raccoglieva infatti i tre maggiori partiti, banche, colossi industriali, magnati della stampa; persino la regina leggi tutto

Cosa resterà di queste nomine europee

Lorenzo Ferrari * - 20.09.2014

Nella storia dell'Unione europea non era mai successo che un capo di governo in carica di uno dei principali paesi europei si dimettesse per andare a ricoprire un incarico a Bruxelles. Jacques Santer e José Manuel Barroso si dimisero da capi di governo per andare a presiedere la Commissione europea – ma c'è una grossa differenza tra il rinunciare al governo del Lussemburgo e il rinunciare al governo della Polonia, soprattutto in una fase così delicata per l'Europa centro-orientale come quella attuale. In passato, era più frequente assistere a fenomeni opposti, come quando commissari europei di peso lasciavano Bruxelles per andare ad assumere incarichi a livello nazionale, come fece Franco Frattini nel 2008 (o ancora più clamorosamente Franco Maria Malfatti nel 1972).

Se Donald Tusk ha rinunciato alla guida del suo paese, è probabile che non lo abbia fatto per andare a svolgere funzioni ornamentali a Bruxelles, né solo per beneficiare del migliore trattamento economico previsto dal suo nuovo incarico. Piuttosto è lecito attendersi che Tusk intenda invece sfruttare pienamente l'incarico europeo, affermandone i poteri, l'influenza e la visibilità molto più di quanto non abbia voluto o potuto fare Herman Van Rompuy nei cinque anni scorsi. Di conseguenza, è possibile immaginare un sostanziale rafforzamento della figura del presidente del Consiglio europeo nei prossimi anni. leggi tutto

L’Alternativa per la Germania: l’opposizione tedesca alla Merkel di cui è meglio non parlare

Gabriele D'Ottavio - 18.09.2014

La principale novità emersa dagli ultimi appuntamenti elettorali in Germania è il rilevante ingresso sulla scena politica di un nuovo partito. Si tratta di Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland-AfD), sorta nel febbraio 2013 su iniziativa di un gruppo di economisti guidato da un professore di Amburgo, Bernd Lucke. Alle politiche del 22 settembre 2013, l’AfD ha ottenuto il 4,7% dei consensi, quasi due milioni di voti. Alle successive elezioni europee del 24 e 25 maggio 2014 ha registrato il 7% delle preferenze, più del doppio dei voti conseguiti dallo storico Partito liberaldemocratico tedesco (Fdp). Infine, alle recenti elezioni regionali nei tre Länder orientali – in Sassonia (31 agosto) e in Turingia e Brandeburgo (14 settembre) – l’AfD ha ottenuto, rispettivamente, il 9,7%, il 10,6% e il 12,2% dei consensi.

 

L’antimerkelismo tedesco ignorato

 

Siamo dunque in presenza di un fenomeno politico tutt’altro che effimero. Eppure di questo partito, che di fatto ha già intaccato la tradizionale stabilità del sistema partitico tedesco, in Italia si è parlato finora molto poco. leggi tutto

Una Commissione “politica”

Michele Marchi - 16.09.2014

La lunga tessitura di Jean-Claude Juncker è giunta ad un primo traguardo. Ora che l’organigramma della sua Commissione è noto, è possibile provare ad ipotizzare verso quale direzione cercherà di puntare l’Unione europea nei prossimi cinque anni. Naturalmente non deve essere trascurato il complicato passaggio dei singoli commissari di fronte alle “bellicose” commissioni del Parlamento europeo. Ma già oggi, una riflessione sulla dimensione “politica” della nuova compagine è possibile farla.

Alcune novità … obbligate

I primi passi di Juncker sono stati condotti all’insegna di alcune novità. La sempre più profonda distanza tra cittadini e istituzioni europee, testimoniata dai continui successi dei partiti politici anti-europei o comunque euroscettici (dalla Francia alla Svezia, passando per la Germania), ha creato una sorta di clima da ultima spiaggia. Servivano messaggi forti e non a caso il neo presidente della Commissione ha parlato di “ultima possibilità per l’Europa”, aprendo la conferenza stampa di presentazione della sua equipe. I dieci anni di Barroso e soprattutto l’assenza della Commissione nella gestione della crisi economica-finanziaria, tutta demandata al Consiglio europeo e al vertice della BCE, imponevano una scossa. Juncker ha deciso di incarnarla prima di tutto con una svolta organizzativa, basata su due pilastri principali. leggi tutto