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22 marzo 2025
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Argomenti

La guerra dei Le Pen

Riccardo Brizzi - 14.04.2015

Saremmo davvero troppo provinciali a ritenere la rottamazione politica un'eccellenza italiana. Basta mettere il naso al di là delle Alpi per accorgersi che la storia della V Repubblica francese è costellata di casi clamorosi: Pompidou che rompe con de Gaulle in occasione del maggio 1968; Jospin con Mitterrand all'inizio degli anni Novanta e Sarkozy con Chirac all'indomani del fallimento del referendum europeo del 2005.

La storia stessa del Front national fa scuola su questo terreno, con la prima scissione intervenuta già nel 1973, ad appena un anno dalla creazione del partito. Le tensioni attuali tra Marine Le Pen e il padre Jean-Marie seguono le consuete linee di frattura interne al movimento, che hanno tradizionalmente opposto  i sostenitori di una strategia di conquista del potere ai difensori dell'ortodossia frontista, ma assumono evidentemente un carattere inedito per la sovrapposizione tra dimensione familiare e politica. L'evocativa simbologia del parricidio non deve però oscurare la profonda divergenza politica.

Contrariamente al fondatore del partito - promotore della rinascita e del consolidamento dell'estrema destra in Francia - Marine vuole governare e per farlo all'indomani del congresso di Tours del 2011, che aveva sancito il passaggio di testimone con il padre, ha promosso una strategia di normalizzazione che ha portato il FN ai livelli elettorali più alti della sua storia e a consolidarsi progressivamente in tutte le elezioni intermedie degli ultimi due anni (municipali, europee, dipartimentali, in attesa delle imminenti regionali). leggi tutto

Il problema dell'Europa non è la Germania

Lorenzo Ferrari * - 09.04.2015

Sulla copertina di Der Spiegel della scorsa settimana Angela Merkel era affiancata ad alcuni ufficiali nazisti ritratti davanti al Partenone. Nell'articolo di apertura, lo Spiegel spiegava gran parte delle difficoltà che effettivamente tendono a incontrare l'immagine e la posizione tedesca in Europa ricorrendo a un classico paradosso. La Germania sarebbe un paese troppo grande per lasciare inalterati gli equilibri europei, ma allo stesso tempo sarebbe un paese troppo piccolo per governare davvero da solo l'Europa.

 

In tutt'Europa – e forse particolarmente in Italia – il repertorio di stereotipi e pregiudizi negativi contro i tedeschi è ricco, e risulta facile attribuire alla Germania molte colpe. La propensione dei tedeschi a riflettere su sé stessi è spesso ammirevole, ma in questo caso l'attenzione per la Germania finisce per trascurare altri aspetti centrali della crisi politica dell'Europa. I problemi relativi ai rapporti di forza in Europa sono molto seri, ma non dipendono solo dalla Germania. Unico grande paese europeo a essere passato più o meno indenne attraverso la crisi, la Germania e il suo governo fanno sostanzialmente il loro lavoro: difendono i loro interessi e promuovono la propria visione dell'integrazione europea. Grazie all'assenza di gravi problemi politici o economici interni, riescono a farlo con efficacia. leggi tutto

Cristianesimo al femminile, la distanza tra Canterbury e Roma

Claudio Ferlan - 02.04.2015

Il noto quotidiano online statunitense “The Huffington Post” ha proposto una pagina molto interessante per presentare il mese di marzo, dedicandolo alla storia delle donne. La sezione “Religion” del quotidiano ha salutato la ricorrenza scegliendo alcuni profili di donne capaci di “rompere le barriere” nel mondo delle religioni.  In un campo in cui c’è ancora molta strada da percorrere prima di arrivare alla condivisione delle responsabilità e al riconoscimento dell’importanza dell’azione femminile – si legge – vi sono stati nell’ultimo anno segnali di rinnovamento, simboleggiato dal alcune storie personali.

 

Libby Lane e Alison White

 

Il primo nome della lista è quello di Libby Lane, che lo scorso 17 dicembre è stata nominata primo vescovo donna nella Chiesa d’Inghilterra e molti giornali hanno scelto di riportare la notizia come l’inizio di una nuova era.  Consacrata il 26 gennaio, Libby Lane ha pronunciato il primo sermone davanti ai fedeli della diocesi di Stockport (Contea Greater Manchester) domenica 8 marzo, una data dal forte valore simbolico.

La strada per l’ordinazione femminile era stata spalancata dalla decisione della maggioranza dei membri del sinodo generale della Chiesa leggi tutto

I verdetti delle dipartimentali e l’avvio della lunga corsa all’Eliseo

Michele Marchi - 31.03.2015

Questa volta i risultati sono effettivi e la vittoria della destra repubblicana (praticamente ovunque alleata al centro) è significativa. L’UMP guiderà 67 dei 101 dipartimenti, dopo averne strappati 28 alla sinistra, perdendone soltanto 1. Il ritorno è alla metà degli anni Novanta, prima che si avviasse il trend positivo del cosiddetto “socialismo municipale”. Proprio la gauche nel suo complesso e il PS in particolare escono malconci anche da questo scrutinio dipartimentale. Con 34 dipartimenti ancora diretti non siamo ai minimi storici del 1992 (allora erano 23), ma in termini di voti (sotto i sei milioni per la sinistra complessivamente, meno di tre per il PS) siamo vicino ai minimi storici della Quinta Repubblica. Infine il FN, in crescita prepotente rispetto a tutti i precedenti scrutini locali (anche se con circa un milione di voti in meno rispetto al I turno), non è riuscito nell’impresa, simbolicamente rilevante, di conquistare la guida di almeno un dipartimento. Dunque da un tripartitismo evidente dopo il primo turno, si può parlare oggi di una sorta di oligopolio dominato in termini effettivi dalla destra repubblicana, con il FN sottorappresentato ma anche auto-esclusosi con la sua campagna “anti UMPS” e la sinistra frammentata e destinata ad un ruolo politico marginale.

Se i risultati sono incontestabili, si può discutere a sinistra come a destra su come si è arrivati a questo quadro. A sinistra le ragioni della sconfitta sono imputabili in parti uguali a Presidente, Primo ministro e partito socialista. Oltre il 40% dei francesi che si è recato alle urne ha dichiarato di volerlo fare per sanzionare il potere in carica a livello nazionale. leggi tutto

La «foto di gruppo con signora» dello Spiegel. Un problema solo tedesco?

Gabriele D'Ottavio - 26.03.2015

Un’Angela Merkel sorridente, vestita con abiti dai colori pastello, circondata da sette gerarchi nazisti, con il Partenone sullo sfondo. È questa la foto della copertina dell’ultimo numero dello Spiegel, che ha pubblicato un reportage su come gli europei vedono la Germania dal titolo «Il Quarto Reich». La foto manipolata – quella originale fu scattata nel 1941 – è chiaramente provocatoria. Come ha affermato il caporedattore del settimanale tedesco, Klaus Brinkbäumer, rispondendo alle polemiche sollevate dal quotidiano Süddeutsche Zeitung e da altri quotidiani tedeschi, «non si può fraintendere, a meno che non lo si voglia fare». D’altra parte, l’articolo dello Spiegel avrebbe sicuramente guadagnato in qualità se gli autori, che pure si sono documentati, non si fossero limitati, per negligenza o opportunismo, a citare solo quelle fonti straniere che corroborano l’immagine di un’opinione pubblica europea incline ad accostare i tedeschi di oggi ai nazisti di ieri. È significativo, ad esempio, il fatto che per l’Italia venga citato Il Quarto Reich di Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano e non Cuore tedesco di Angelo Bolaffi o altri volumi usciti recentemente che cercano di restituire un’immagine meno faziosa e superficiale della Germania al tempo di Angela Merkel.

Tale rilievo nulla toglie al fatto che la questione sollevata dallo Spiegel pone un problema politico e culturale ineludibile. Un problema sicuramente rilevante per la Germania, che è l’unico paese ad avere le credenziali per assumere la leadership in Europa, ma a cui manca ancora l’ingrediente più importante per esercitarla: una piena legittimazione internazionale. leggi tutto

Dipartimentali francesi: alcuni spunti a metà del percorso

Michele Marchi - 26.03.2015

Presentando il voto dipartimentale su queste colonne si era concluso ribadendo il valore “nazionale” di questa importante consultazione “locale” (http://www.mentepolitica.it/articolo/le-elezioni-dipartimentali-francesi/422 ). Da questo punto di vista il primo turno di domenica 22 marzo non ha tradito le attese. Se la stampa europea, e quella italiana in particolare, si è lanciata in improbabili commenti, tutti tesi a sottolineare un supposto (quanto inesatto) arretramento del FN, il primo punto da sottolineare è che vincitori e vinti potranno essere proclamati solo e soltanto dopo il secondo turno di domenica 29 marzo.

Sempre nel già citato contributo si era sottolineato come l’appuntamento elettorale di fine marzo, il penultimo prima delle presidenziali del 2017, racchiudeva un’importanza particolare per le tre principali formazioni politiche del Paese e in più costituiva un banco di prova da non trascurare per l’evoluzione del sistema politico transalpino nel suo complesso. Vediamo schematicamente le interessanti indicazioni emerse dal primo turno.

 

Un Ps comunque, ancora una volta, perdente

 

Nonostante il Primo ministro Valls si sia affannato a spostare l’attenzione sul fatto che il Front National non sia risultato primo in termini di voti e tutti i principali dirigenti del partito abbiano evidenziato un arretramento inferiore rispetto a quello prospettato dai sondaggi, il PS ha ottenuto leggi tutto

Le elezioni dipartimentali francesi: ovvero l’importanza del “locale”

Michele Marchi - 21.03.2015

Elezioni importanti le dipartimentali francesi di domenica 22 e domenica 29 marzo. Il voto costituisce un banco di prova da una molteplicità di punti di vista.

Si può partire da quello forse più scontato. L’intero elettorato francese (esclusi i parigini e gli abitanti di Lione che hanno già rinnovato in occasione delle elezioni municipali) è chiamato ad esprimersi a poco meno di tre mesi dai drammatici fatti di inizio gennaio. Senza trascurare il carattere locale dello scrutinio, sarà importante valutare il livello di partecipazione, così come i risultati del FN, che i sondaggi accreditano al 30%.

In secondo luogo siamo alla penultima consultazione elettorale prima del voto presidenziale del 2017. L’ultima chiamata si avrà con le regionali di fine anno. Dunque il 2015 costituisce l’ultimo anno elettorale prima del voto della tarda primavera del 2017. Hollande e il suo fino ad oggi stentato quinquennato si trovano sotto la lente dell’elettorato francese. Il Ps onnipotente del 2012 (Eliseo, Assemblée nationale, Senato, tutte le regioni tranne l’Alsazia, la maggioranza di comuni e dipartimenti), dopo il Senato e molti comuni, si prepara a nuove sconfitte anche sul fronte dei dipartimenti. Oggi la gauche guida 56 dipartimenti su 95 (in 49 il PS è solo alla guida). Averne persi venti dopo il 29 marzo significherebbe aver limitato i danni. leggi tutto

Gli inglesi ricordano il loro leader più grande

Giulia Guazzaloca - 19.03.2015

Gli anniversari di Winston Churchill              

 

Sono passati 50 anni dalla morte di Winston Churchill, 75 dalla sua nomina a primo ministro mentre infuriava in Europa la guerra scatenata da Hitler, 70 dalla fine di quel tragico conflitto quando Churchill, eroe della «battaglia d’Inghilterra» e vincitore del nazifascismo, era probabilmente la persona più famosa al mondo. In occasione di questi anniversari sono iniziate lo scorso gennaio in Gran Bretagna una serie di celebrazioni e manifestazioni, «Churchill 2015», in ricordo dello statista che l’anno scorso la BBC ha proclamato il più grande britannico di tutti i tempi.

Non sono mancate, come spesso accade, le polemiche: il noto conduttore e giornalista Jeremy Paxman lo ha definito «un completo egocentrico, un opportunista e talvolta un ciarlatano» e c’è da aspettarsi che le commemorazioni diventino (anche) una sorta di «processo» alla sua intera carriera politica. È sempre utile che non si interrompano gli studi e le ricerche sui grandi eventi e personaggi del passato e l’interesse sempre vivo per la figura e le opere di Churchill è ben testimoniato dai tanti libri a lui dedicati negli ultimi anni. Ma non c’è dubbio che nell’immaginario collettivo degli inglesi egli occupi un posto diverso dagli altri, pur grandi, statisti di tutti i tempi: fa parte ormai dell’olimpo degli eroi e dei miti della nazione, assieme a Elisabetta I, Horatio Nelson, la regina Vittoria. leggi tutto

Il TTIP e il futuro del “Mondo Atlantico”: una proposta di lettura

Giovanni Bernardini - 17.03.2015

Chi frequenta con regolarità Mente Politica, sa quanto spazio abbiano dedicato le sue pagine alla politica estera italiana e alle relazioni esterne dell’Unione Europea, confluite nel recente semestre di presidenza e nella nomina di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante. Pure all’interno di una salutare diversità di opinioni, tali riflessioni nascono dalla convinzione condivisa che la superficialità e il disinteresse riservati alla politica estera dall’opinione pubblica costituiscano sintomi preoccupanti di provincialismo e impoverimento di una cittadinanza attiva e consapevole. Si ha talvolta l’impressione che alla lunga parabola della Guerra Fredda, con la sua evidente osmosi tra il gioco delle forze politiche interne e l’andamento delle questioni internazionali, sia seguita una fase di sterili contrapposizioni attorno alla presunta ineluttabilità della “globalizzazione” e dell’integrazione continentale. Ineluttabilità destituita di ogni fondamento: il fatto che si sia trattato e si tratti di processi apparentemente sovraordinati non significa che non rimanga spazio per l’azione collettiva e per il tentativo politicamente organizzato di plasmare i rapporti internazionali. Così come non aveva senso accordarsi al flusso degli euroentusiasti o dei pro-globalizzazione, convinti di aver finalmente rinvenuto in quei processi la “cifra della storia”, ancora meno sopportabile è l’atteggiamento arrendevole di chi continua ad accogliere il presunto declino dell’Europa come un castigo di origine ultraterrena o una catastrofe naturale inevitabile. leggi tutto

Disunione Europea

Nicola Melloni * - 03.03.2015

“Quella cui ci troviamo davanti è una crisi della capacità delle istituzioni politiche dell’Unione Europea di agire. Una debolezza che mette a rischio il futuro dell’Europa più dell’eccessivo indebitamente dei singoli membri”. (Helmut Schmidt, 2011)

Le parole dell’ex cancelliere tedesco, a quattro anni di distanza, sono ancora più attuali. La crisi dell’UE si è aggravata: l’incapacità di agire è figlia della mancanza di volontà politica comune. La realtà è che non esiste una Unione, e dunque un bene collettivo superiore. Quello che esiste è un insieme di stati in concorrenza tra loro che inseguono il proprio self-interest a discapito di quello degli altri.

Ed in una situazione di questo genere è addirittura normale che siano i paesi più forti a trarre maggiore vantaggio. Guardiamo ad alcuni fatti macroeconomici che vengono spesso ignorati nel dibattitto politico: 1) buona parte delle riforme tedesche sono state fatte sulle spalle dei cittadini europei, con una politica classicamente “beggar thy neigbour” in cui i salari stagnati tedeschi hanno rilanciato le esportazioni grazie ad una inflazione sopra il 2% in altri paesi (senza dimenticare lo sforamento del deficit consentito alla Germania in quegli anni) e, 2), i susseguenti squilibri della bilancia commerciale, che ben più del debito pubblico, sono alla base della crisi europea, leggi tutto