Ultimo Aggiornamento:
14 dicembre 2024
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Argomenti

I Significati di una coppa “europea”

Fulvio Cammarano * - 17.07.2021

La vittoria dell’Italia sull’Inghilterra nel campionato europeo contiene molti aspetti che vanno ben al di là dell’incontro calcistico in sé, come è inevitabile per ogni manifestazione sportiva di grande impatto mediatico. Non manca chi si lamenta dell’eccessivo significato attribuito ad una partita di calcio, ma è evidente che una simile estensione dipende dalla natura umana, cioè dalla inevitabile tendenza ad attribuire alle grandi vicende della vita materiale significati che vanno oltre il fatto. Una partita di quel livello, ad esempio, non sarà mai solo un confronto pedatorio, ma verrà sempre letta attraverso una lente generatrice di simboli a partire, ad esempio, da quello della forza o debolezza dell’intero Paese. In un mondo organizzato in nazioni, queste competizioni non fanno altro che ribadire l’esistenza di appartenenze e confini che dalle grandi rivoluzioni settecentesche sino alla fine della Seconda guerra mondiale (e anche oltre) sono sempre state confermate attraverso le guerre. Come è noto, infatti, le competizioni sportive non sono altro che la forma depotenziata e civilizzata dello spirito bellico, causa ed effetto di quel bisogno di identificazione e appartenenza che incanala e organizza la vita di miliardi di persone nel mondo. Non è d’altronde un caso che il premier britannico Boris Johnson, leggi tutto

Il calcio mondiale: uno spettacolo politico

Matteo Anastasi * - 11.07.2018

Con il mondiale in Russia, apertosi lo scorso 14 giugno, giunge a proposito il volume di Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti, Storia della coppa del mondo di calcio (1930-2018), Firenze, Le Monnier, 2018. Proprio questo evento che si conclude ora sta mostrando, ancora una volta nel corso della storia contemporanea, come esso possa rivelarsi termometro e cartina di tornasole delle relazioni internazionali. Si pensi al gesto quasi consolatorio di Vladimir Putin nei confronti del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, costretto ad assistere alla disfatta dei “figli del deserto” contro la selezione russa: un momento di distensione fra i due i maggiori esportatori di petrolio, divisi sulla questione siriana, dato il noto sostegno di Mosca ad Assad, invece in conflitto con i gruppi sunniti finanziati da Riad. Altrettanto “forte”, a livello di simbologia politica, l’esultanza dei calciatori svizzeri di origine albanese Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri che, contro la Serbia, hanno mimato con le mani, in mondovisione, l’aquila bicipite simbolo di Tirana, riportando alla mente le mai sopite tensioni fra i due Paesi balcanici. L’importanza del calcio, quale elemento centrale della vita associativa di un popolo, ha inoltre conosciuto un record statistico in termini di ascolto, che ben ne testimonia il valore sociale leggi tutto

La partita coreana

Nicola Melloni * - 14.02.2018

Solo fino a poche settimane fa, i Giochi Olimpici di Peyong Chang erano un caso internazionale: con i venti di guerra che spiravano dal Nord, l’evento era considerato ad alto rischio, temendosi addirittura un attacco di Pyongyang proprio durante i Giochi. Ed invece, con sorpresa di molti, l’offensiva nord-coreana si sta giocando tutta sul soft power. La sfilata insieme agli atleti del Sud, le cheerleaders, la visita di KimYo Jong hanno di fatto mandato l’immagine – artefatta quanto vogliamo, ma tant’è – di un paese che, attraverso lo sport, tenta di aprire un canale diplomatico e che non nutre alcuna ostilità verso la Corea del Sud. Mandando su tutte le furie gli Stati Uniti. 

Da oltre un anno, la Casa Bianca e i media – americani, ma non solo –insistono in maniera quasi ossessiva sul rischio di un Olocausto nucleare. L’isteria ha raggiunto livelli tali che circa un mese fa nella Hawaii è scattato l’allarme atomico, con la popolazione invitata a cercare rifugio in vista dell’arrivo dei missili del dittatore coreano. L’assunto di base è che Kim sia un pazzo furioso pronto a scatenare una guerra nucleare – che vedrebbe l’annientamento suo e del suo paese – per …? Non si sa: nessuno si è mai premunito di fornirci leggi tutto

In ginocchio. Il football americano e Donald Trump davanti alla questione razziale

Claudio Ferlan - 04.10.2017

Tra le voci di protesta contro la politica di Donald Trump negli Stati Uniti degli ultimi giorni si sta levando molto forte quella degli sportivi professionisti, in particolare dei giocatori di football. 

 

Una risposta unanime

Durante un comizio in Alabama, venerdì 22 settembre il presidente, con la diplomazia che gli è propria, si è rivolto ai proprietari delle squadre NFL (National Football League) invitandoli a licenziare quei “sons of a bitch” che si inginocchiano durante l’esecuzione dell’inno nazionale e mancano di rispetto al Paese. Il riferimento è al gesto di protesta, meglio sarebbe dire di sensibilizzazione, inaugurato nel 2016 da Colin Kaepernick, al tempo quarterback dei San Francisco 49ers. Figlio di una coppia mista, adottato da genitori bianchi e benestanti,Kaepernick mise il ginocchio a terra durante l’inno per denunciare l’eccessiva brutalità usata troppo di frequente dalla polizia contro gli afro-americani. Diversi suoi colleghi ne hanno imitato il gesto, accendendo così l’ira di Trump al momento della ripartenza della stagione agonistica. Le parole del presidente sembrano non aver suscitato l’effetto (da lui) sperato: giocatori, proprietari e gran parte dei tifosi si sono uniti nella risposta, leggi tutto

La guerra dello sport

Nicola Melloni * - 10.09.2016

Dire che lo sport sia un campo di battaglia tra nazioni rivali e interessi spesso divergenti è una considerazione quasi banale. Due sono gli aspetti prettamente politici – e dunque, contesi – legati al mondo sportivo. Da una parte, dal punto di vista organizzativo, abbiamo a che fare con centri di potere in grado di muovere quantità di denaro notevoli ed avere un peso assai  rilevante nel delineare la geografia politica e l’organizzazione sociale ed economica – basti pensare allo sfarzo e ai soldi spesi per le Olimpiadi di Pechino e Sochi. Dall’altra, per quanto riguarda la competizione sportiva vera e propria, questa è, dalla notte dei tempi, una proxy, non violenta per fortuna, della guerra – i meno giovani ricordano sicuramente le sfide all’ultimo sangue tra USA ed URSS, compresi i boicottaggi incrociati. Stiamo dunque parlando di soft power, prestigio internazionale e domestico, controllo su un ramo sempre più importante della global governance.

Questo prologo è indispensabile per capir meglio ciò che sta accadendo ultimamente nel panorama sportivo internazionale – dall’inchiesta sulla corruzione che ha scosso la FIFA allo scandalo doping che ha decimato la spedizione russa a Rio.

Il primo istinto ci porterebbe a derubricare tutto ad ordinaria amministrazione: chi potrebbe mai dubitare della corruzione dei vertici della FIFA? O del ricorso sistematico al doping in varie discipline dello sport russo? Eppure la politica fa inevitabilmente capolino leggi tutto

Brindiamo agli Europei, visti da Parigi

Claudio Ferlan - 25.06.2016

La prima fase dei Campionati Europei di calcio si è conclusa. Sportivamente si è trattato di una danza tutto sommato insignificante: trentasei partite per eliminare otto squadre su ventiquattro, una formula che ha prodotto molti incontri senza pathos e molti altri senza qualità. Aspettiamo dunque il futuro prossimo, ma intanto proviamo a ragionare sulla rilevanza sociale di quanto è successo in Francia, di certo ben più marcata di quella sportiva.

 

Ubriachezza molesta

 

Gli scontri più gravi sono stati quelli di Marsiglia, caratterizzati da un terribile eccesso di violenza che ha messo di fronte inglesi e russi, accompagnati da gruppi di estremisti francesi bramosi di battaglia, senza un vero perché. C'è ancora chi lotta per sopravvivere. La polizia è provata, lo si legge nei volti di chi presiede la "fan zone" allestita a Parigi a Champ de Mars, sotto la Tour Eiffel. Sono in tanti, sono armati, sono tesi ma sono anche gentili e prodighi di indicazioni e consigli per chi, anziché guerreggiare, vorrebbe guardare del buon football.

Si è scritto che la battaglia di Marsiglia è stata alimentata dall'alcool. Tutti ubriachi, o alterati da sostanze capaci di mandare fuori di senno. Probabilmente non completamente in sé lo era anche il giovane croato che per introdurre un fumogeno allo stadio ha sacrificato l'intimità del proprio corpo, facendone nascondiglio inviolabile. leggi tutto

La cultura sportiva in Italia. Tra vittorie, scommesse e complottismo.

Claudio Ferlan - 17.09.2015

Negli ultimi giorni l’onnipotente calcio ha parzialmente lasciato spazio ad altri sport sulle pagine dei quotidiani e nei titoli dei notiziari.

Sabato 12 settembre hanno guadagnato le nove colonne la duplice vittoria di Roberta Vinci e Flavia Pennetta nelle semifinali degli US Open di tennis prima e poi il trionfo di Fabio Aru al Giro ciclistico di Spagna (la Vuelta), arrivato all’ultimo respiro quando ormai erano in pochi a crederlo possibile.

 

Scommettiamo?

 

La finale tutta italiana di New York, prima nella storia nel tennis di certi livelli, ha scomodato anche Matteo Renzi, arrivato negli States tra mille polemiche. Con la verve dialettica che nessuno gli può negare, il premier ha evidenziato come di fronte a una partita di calcio il suo gesto non avrebbe creato tanto rumore. Probabile che abbia ragione. Roberta Vinci, poi sconfitta in finale, ha centrato l’impresa della vita superando in semifinale Serena Williams, fino a quel momentopraticamente imbattibile nel corso dell’intero anno. Quali fossero le aspettative dell’incontro lo dimostrano le quote di certi bookmaker statunitensi, che davano la vittoria di Roberta Vinci 300 contro uno. Cioè a dire, punto un dollaro su di lei e ne vinco 300. E si sa che gli allibratori se ne intendono, dato che con le scommesse si guadagnano da vivere. Ma sfogliamo le pagine dei giornali italiani, specie quelli online aperti ai commenti del popolo degli appassionati. leggi tutto

65 anni e non sentirli! La Formula Uno compie gli anni ma cerca un’anima per tornare giovane

Antonio Boselli * - 30.05.2015

La Formula Uno ha appena compiuto 65 anni di vita, dal primo Gran Premio a Silverstone il 13 maggio 1950. Dalla sua nascita questa categoria è al vertice del motorsport e, nel corso dei decenni, è diventato uno show mondiale capace di attrarre un’audience televisiva inferiore solo ai mondiali di calcio. Artefice di questo successo Bernie Ecclestone che da 40 anni decide su tutto e su tutti. Un visionario che capì con grande anticipo le potenzialità trasformando uno sport amatoriale in un’industria con un giro di affari da quasi 2 miliardi di euro. Proprio i successi, i soldi e forse il mancato rinnovamento generazionale della sua leadership hanno portato questo sport a vivere ora una crisi d’identità. In questo scenario è nata la Formula E, un campionato che ha debuttato quest’anno. Le monoposto che corrono in questa categoria sono alimentate elettricamente. Niente benzina, niente motore a scoppio, solo energia elettrica. Chi ha ideato questa categoria non ha mai avuto la velleità di «rubare» la scena alla Formula 1 perché è impensabile competere con la sua storia, i suoi budget e la sua esposizione mediatica. Pensato come un esperimento la Formula E in realtà si sta rivelando molto più che una semplice operazione di marketing. L’idea non è di competere con la Formula Uno ma di andare a occuparne gli spazi lasciati liberi. Dalla svolta completamente green, dal calendario il più possibile complementare con la F1, ai circuiti allestiti nel centro delle grandi capitali mondiali, al format delle gare, all’uso dei social network. leggi tutto