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David Bowie: la vita come un’opera d’arte
Se la sua vita è stata un’opera d’arte, la sua morte non è stata da meno. Un’uscita di scena con tempismo teatrale perfetto, suggellata da uno splendido disco (“Blackstar”), con tanto di versi profetici: “Guardate lassù, sono in paradiso, ho cicatrici che non possono essere viste” (l’inquietante “Lazarus”). David Bowie, il Duca Bianco, l’uomo delle stelle si congeda dal mondo al culmine della (ritrovata) popolarità, mentre il suo testamento musicale è appena uscito nei negozi (l’8 gennaio, proprio nel giorno del suo 69° compleanno). Bowie lottava da 18 mesi una battaglia contro il cancro. Proprio mentre era alle prese con la malattia, ha registrato le canzoni – e i video, magnifici e disturbanti – di “Blackstar”. Un album il cui titolo non andrebbe scritto, ma solo illustrato grazie al disegno di quella stella nera, che ora ci appare come il sepolcro ideale di un artista che, fin dall’odissea dell’astronave di Major Tom (“Space Oddity”, 1969), ha inseguito un sogno spaziale ad occhi aperti.
Una morte accompagnata da un cordoglio pressoché unanime e che tuttavia ci appare impossibile. Forse perché, novello Dorian Gray, Bowie ha sempre lasciato che fosse il suo ritratto a invecchiare, mai il suo spirito. O forse perché il suo nome è ormai da tempo consegnato all’eternità. Paradossale, per chi è partito dal warholiano “quarto d’ora di celebrità”, immortalandosi poi “eroe per un giorno” (“Heroes”). leggi tutto