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Il pensiero mite
Un tempo i genitori consigliavano ai propri figli di ascoltare le parole dei loro insegnanti: era l’epoca in cui si andava a scuola per imparare, accompagnati dall’umiltà che derivava dal rispetto verso l’istituzione e le persone che dovevano occuparsi dei nostri apprendimenti ma soprattutto della nostra buona educazione.
C’era una condivisione di fondo sul compito da realizzare e quel suggerimento sembrava soprattutto una conseguenza ovvia rispetto all’ordine delle cose: c’era chi insegnava e c’era chi imparava.
Poi – sembra facile e riduttivo semplificare in modo sbrigativo quel pò di sconquasso etico e sociale che c’è stato in questi lunghi anni di rovesciamento e confusione di ruoli – tutto a poco a poco è diventato difficile, complesso, ingarbugliato.
Curando e dettagliando i particolari, sfumando le identità e ribaltando i ruoli si è perso di vista lo sfondo, si è problematizzata la realtà, si sono cercati alibi e attenuanti, tutele e diritti, qualcuno è sembrato un po’ troppo in alto e qualcun altro un po’ troppo in basso: bisognava correggere, equilibrare, compensare, sostenere, proteggere.
Adesso è più facile che un padre e una madre raccomandino al proprio figlio: “Fatti valere!”, “Non farti mettere i piedi addosso da nessuno”, “Se qualcuno ti dice qualcosa, rispondi!” e via dicendo.
Tanto vale leggi tutto
Donna, vita, libertà ed esilio per Hamas
“Lo storico ha il diritto di domandarsi se uno dei motivi – siamo lontani dal dire il motivo principale – che convinse l’aristocrazia militare tedesca, nel luglio 1914, a correre il rischio di una guerra europea, non sia stato il crescente disagio verso il partito socialdemocratico e la convinzione che bisognasse tenergli testa, affermandosi ancora una volta come il partito della guerra e della vittoria”. Così si espresse Élie Halévy nelle Rhodes lectures del 1929 dedicate a The World Crisis 1914-1918. An interpretation.
È un ragionamento che mi è tornato in mente di fronte alla tragedia seguita al pogrom di Hamas in Israele del 7 ottobre. Hamas non avrebbe la forza che ha senza il sostegno, finanziario e militare, dell’Iran nonostante il primo sia un movimento sunnita e il secondo una potenza sciita. Ed è secondo me probabile che qualcuno a Teheran stia facendo lo stesso ragionamento dei generali tedeschi descritto da Halévy: recuperare con un’iniziativa bellica la coesione interna minacciata dall’imponente movimento di protesta contro il regime che va avanti da oltre un anno. Gli “esperti” dicono che si tratta di uno scenario ancora lontano e che per ora i vertici iraniani sarebbero piuttosto spaventati da una deflagrazione complessiva. Ma per quanto durerà?
Da ciò derivano leggi tutto
