L’ombra lunga di Angela Merkel
Per molti osservatori, l’era Merkel è già storia. Con buone ragioni, anche in Italia molte case editrici hanno considerato la vigilia del voto tedesco un’occasione propizia per sfornare dei nuovi volumi sulla Kanzlerin. Tuttavia, per capire l’effettiva portata storica dell’esperienza politica di Angela Merkel bisognerà attendere ancora a lungo. Il solo appuntamento elettorale di domenica scorsa dovrebbe poter ambire a diventare l’oggetto di un capitolo aggiuntivo delle tante biografie politiche che sono uscite nelle settimane scorse. Il fattore Merkel ha infatti pesato non poco: sulla campagna elettorale, sulle strategie comunicative dei partiti e soprattutto sulle scelte di voto. Alla fine il socialdemocratico Olaf Scholz ha vinto la partita dei consensi contro gli sfidanti Laschet (CDU), Baerbock (Verdi) e Lindner (FDP), anche perché il vice-cancelliere e ministro delle finanze uscente è riuscito a sfruttare abilmente la carta della continuità con la Kanzlerin. In maniera un po’ paradossale, l’elevata popolarità di Angela Merkel ha finito per penalizzare il suo partito, al di là dei gravi scivoloni comunicativi in cui è incappato il nuovo leader della CDU. Una parziale ma significativa conferma della rilevanza del fattore Merkel sul voto la possiamo già ricavare dalle prime stime dei flussi elettorali. Rispetto alle elezioni precedenti, oltre un milione leggi tutto
70 anni fa nasceva la Repubblica federale
L’8 maggio 1949 i membri del Consiglio parlamentare di Bonn licenziavano il testo della Legge fondamentale, la carta costituzionale istitutiva della futura Repubblica federale tedesca (BRD). La scelta della data non era stata casuale. Quattro anni prima, l’8 maggio era stata firmata la resa senza condizioni della Germania nazista. Con l’adozione della Legge fondamentale venivano gettate le basi di un nuovo ordinamento democratico nella Germania occidentale, che tuttavia godeva di una limitata legittimazione popolare. Per quanto riguarda la scelta del termine, è significativo il fatto che i costituenti preferirono adottare una «Legge fondamentale» (Grundgesetz) e non una «Costituzione» (Verfassung), per evidenziarne la provvisorietà, data l’indisponibilità dei tedeschi ad accettare la divisione del paese come definitiva. La Repubblica federale, al pari della Repubblica democratica tedesca (DDR) istituita nella parte orientale del paese, rappresentava più il prodotto di una scelta di politica estera dei governi alleati che l’espressione della volontà del popolo tedesco. Tanto più che quest’ultimo non aveva avuto la possibilità di eleggere direttamente l’assemblea costituente, né quella di ratificare il testo finale della Carta di Bonn. Il Consiglio parlamentare si componeva dei rappresentanti delle assemblee delle undici regioni occidentali ed era stato investito del potere costituente direttamente dalle forze di occupazione alleate. leggi tutto
L’era Merkel al tramonto
L’era Merkel finisce così com’è iniziata: dopo un’elezione regionale. Per chi ha buona memoria, la sua ascesa al potere cominciò con una bruciante sconfitta elettorale subita dai socialdemocratici nel maggio 2005 in Nordreno-Westfalia, uno dei Länder più popolosi e ricchi della Germania. All’epoca, la SPD governava il Land da 39 anni e il suo leader nazionale, il cancelliere in carica Gerhard Schröder, decise di ricorrere al voto anticipato. Il pareggio strappato ai cristiano-democratici alle elezioni politiche del settembre successivo e la partecipazione al primo governo di grande coalizione guidato da Angela Merkel si sarebbero dimostrati di lì a poco una vittoria di Pirro. I socialdemocratici non riuscirono ad arrestare l’emorragia di consensi, mentre la cancelliera riuscì in poco tempo a consolidare la sua leadership, gettando le basi per diventare uno dei capi del governo più longevi nella storia della Germania del dopoguerra.
Tredici anni dopo, le elezioni regionali in Baviera e in Assia sembrano delineare una nuova cesura storica. Il risultato parla chiaro: gli elettori hanno sanzionato duramente i cristiano-sociali della CSU in Baviera, i cristiano-democratici della CDU in Assia e i socialdemocratici della SPD in entrambe le regioni, mandando un messaggio difficilmente equivocabile a Berlino. Secondo un sondaggio dell’emittente leggi tutto
La via particolare della Germania verso le elezioni
Nella riflessione storico-politicasullaGermania emergono continuamente gli interrogativi su una sua presunta «via particolare». La campagna elettorale a cui stiamo assistendo, per esempio, presenta caratteristichemolto diverse da quelle che hanno contraddistinto gli ultimi appuntamenti elettorali in paesi come Olanda, Francia o Gran Bretagna. Quel che colpisce è l’intensità straordinariamente bassa del confronto politico. Molti osservatori l’hanno definita una campagna elettorale sonnolenta o addirittura soporifera. Sono varie le ragioni che possono aiutare a spiegare questo fenomeno e tutte rafforzano l’idea di un presunto «eccezionalismo» tedesco. Anzitutto, va considerata la questione della contendibilità del voto e, più precisamente, la prospettiva di un esito che a questo punto appare abbastanza prevedibile, almeno per quel che riguarda il nome di chi guiderà la Germania nei prossimi quattro anni. Da diverse settimane tutti i principali istituti demoscopici danno Angela Merkel in netto vantaggio sullo sfidante Martin Schulz. Lo scarto attualmente stimato tra i cristiano-democratici e i socialdemocratici oscilla tra i 17 e i 13 punti percentuali, con i primi che vengono dati attorno 37/38% e i secondi attorno al 21/22%. La cautela è d’obbligo quando si parla di sondaggi. Ricordiamoci dell’effimero «effetto Schulz» che durò lo spazio di alcune settimane. E da qui al 24 settembre non si possono leggi tutto
Un ritratto di Helmut Kohl
Il «più giovane e il più alto» dei cancellieri della Repubblica di Bonn. Così venne salutata dalla stampa tedesco-occidentalel’investitura a capo del governo di Helmut Kohl, cinquantaduenne leader cristiano-democratico, nell’ottobre 1982. Helmut Kohl era natoa Ludwigshafen, in Renania-Palatinato, il 3 aprile 1930.Apparteneva a una nuova generazione di politici tedeschi che non poteva più essere colpevolizzata per ciò era accaduto durante il regime nazista; lo ricordò con orgoglio lo stesso Kohl una volta salito al potere. Non ancora quarantenne, venne eletto ministro-presidente del suo Land, mentre nel giugno 1973 subentrò a Rainer Barzel come presidente della Cdu. Sfruttòil periodo all’opposizione per riorganizzareil partito, optando per una politica centrista e adoperandosi per ricomporre le fratture interne che si erano consumate nel dibattito sulla Ostpolitik. Considerato l’esponente di un gruppo più liberale e moderno, nel giugno 1975 Kohl venne designato candidato alla Cancelleria, in vista delle elezioni federali dell’anno successivo. «Volevo diventare cancelliere»,scrive Kohl nelle sue memorie. Tuttavia, per realizzare il suo obiettivo Kohl dovette aspettare ancora sei anni, quando nel 1982 riuscì a subentrare al cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt in seguito a un voto di sfiducia costruttiva promosso congiuntamente dai cristiano-democratici e dai liberali.
Non vi è dubbio che l’elevazione postuma di Kohl a statista di leggi tutto
Per chi votano i tedeschi
Solo alcuni mesi fa la vittoria dei cristiano-democratici in Nordreno-Vestfalia veniva data come altamente improbabile. La regione più popolosa e economicamente importante della Germania è considerata una roccaforte storica della SPD e, con il vento in poppa per il cosiddetto «effetto Schulz», sembrava che il ministro-presidente uscente, Hannelore Kraft, avesse la via spianata per la riconferma. Dopo il voto di marzo nello Saarland e nello Schleswig-Holstein, gli elettori tedeschi hanno invece premiato nuovamente il partito di Angela Merkel e segnato una sonora sconfitta per quello di Martin Schulz.
Vediamo il risultato più nel dettaglio e cerchiamo di capire meglio quali sono stati i fattori determinanti del comportamento di voto degli elettori. Rispetto alla precedente tornata elettorale nel Nordreno-Vestfalia, i cristiano-democratici (33,6%) ottengono più di 7 punti percentuali, mentre i socialdemocratici ne perdono quasi 8, conseguendo con il 31,2% dei consensi il peggior risultato di sempre. Anche per i liberali della FDP si tratta di un risultato storico, il migliore di sempre in questa regione. Con il 12,6% conquistano la terza posizione piazzandosi davanti alla giovane (ma già un po’ invecchiata) Alternative für Deutschland (7,6%) e agli altri due partiti minori tradizionali, i Verdi (6,4%) e la Linke (4,9%). Per quanto riguarda la partecipazione al voto si registra infine leggi tutto
La diversa velocità della Germania
Nelle ultime settimane gli istituti demoscopici hanno rilevato repentini e consistenti mutamenti nelle intenzioni di voto degli elettori tedeschi. Il mese scorso si è assistito al cosiddetto «effetto Schulz», cioè alla straordinaria rimonta nei sondaggi della socialdemocrazia tedesca (SPD) sull’Unione dei cristiano-democratici (CDU/CSU) guidata da Angela Merkel.Più di recente invece, alcuni sondaggi darebbero il partito euro-critico e anti-immigrati Alternative für Deutschland non più,come solo la settimana scorsa, stabilmente sopra il 10% dei consensi, bensì al di sotto della soglia a due cifre. Non è escluso che tra il presunto recupero della SPD e l’apparente appannamento di AfD vi sia una qualche relazione. Tuttavia, l’attendibilità degli ultimi sondaggi e la plausibilità di eventuali nessi causali tra le diverse variazioni registrate sono ancora tutte da verificare.
Anche la sola parvenza di una maggiore fluidità del voto tedesco è però un dato di cui occorre tenere conto. Si tratta di un dato che si può tranquillamente aggiungere a quelli già sanciti dalle ultime tornate elettorali. Le ultime elezioni politiche nazionali nel 2013 e il più recente voto regionale nel 2016 hanno infatti evidenziato una crescente volatilità elettorale dei cittadini tedeschi, la repentina affermazione di forze politiche portatrici di sfide inedite e capaci di sottrarre consensi ai partiti tradizionali e una leggi tutto
Merkel e Alternative für Deutschland: un «dramma» politico dall’esito non scontato
«Poche cose s’intraprenderebbero, se si volesse sempre riguardarne l’esito. E poi, non sono io di già preparata anco al più fatale?» Con un pizzico d’immaginazione, queste parole – tratte da un’opera teatrale del 1755 del drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing – si potrebbero attribuire retrospettivamente ad Angela Merkel nel momento in cui, nell’agosto 2015, annunciò la sua politica di accoglienza dei profughi siriani. Un anno dopo sono molti gli osservatori che ritengono che con quella apertura ai migranti la Cancelliera abbia compiuto un grave errore politico, forse il più grave da quando è al potere, che potrebbe mettere seriamente a repentaglio la prospettiva di un suo quarto mandato consecutivo. In effetti, da quando il dibattito politico tedesco è dominato dall’emergenza profughi, la Kanzlerin e il suo partito stanno registrando nei sondaggi e nelle elezioni regionali un significativo calo di consensi, mentre Alternative für Deutschland (AfD), l’unico partito esplicitamente contrario alla politica migratoria della Cancelliera, continua a macinare voti. Dopo le brillanti performances in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt nel marzo scorso, il partito di destra radicale guidato da Frauke Petry è uscito come il principale vincitore anche dalle elezioni di domenica scorsa in Meclemburgo-Pomerania, il Land orientale dove Merkel ha il suo collegio elettorale. Con il 20,8% dei consensi AfD ha superato i cristiano-democratici (CDU), leggi tutto
La «Berlino Capitale» di Beda e Sergio Romano
Il volume di Beda e Sergio Romano (Berlino Capitale. Storia e luoghi di una città europea, Il Mulino 2016) è qualcosa di più di una radiografia politica e sociale, storica e artistica della città di Berlino. È un testo utile per comprendere la storia tedesca, anche quella più recente, che è meno studiata e nota al grande pubblico. È un saggio che, indirettamente, rivela l’infondatezza dei tanti luoghi comuni e i limiti delle numerose narrazioni stereotipate che circolano sulla Germania e suoi suoi abitanti. Infine, è un libro che aiuta a capire perché oggi l’unico scenario plausibile e sul quale ha, dunque, senso ragionare dal punto di vista storico, politico e culturale sia quello di una «Germania europea» e non quello di un’«Europa tedesca».
Attraverso uno sguardo intergenerazionale e uno stile impressionistico, il giornalista e l’ambasciatore illustrano le tensioni, le ambivalenze e le contraddizioni che hanno segnato la storia di Berlino, «condannandola», come scrisse lo scrittore Karl Scheffler, «a sempre divenire e a non essere mai». La metropoli al confine tra le due Europe, a metà strada tra Londra e Mosca, è stata il simbolo dello spirito militarista prussiano, ma anche luogo, sul finire del XIX secolo, di una straordinaria crescita finanziaria e industriale, politica e culturale. leggi tutto
Genscher. L’europeista tedesco che ridimensionò l’Italia
È morto Hans-Dietrich Genscher. Con lui se ne va un altro protagonista della vecchia Repubblica federale tedesca. Era nato il 21 marzo 1927 nei pressi di Halle, nel Sachsen-Anhalt, uno dei Länder orientali. Durante la guerra aveva militato, sia pure per pochi mesi, nella Wehrmacht, prima di cadere prigioniero degli alleati. Finita la guerra era ritornato a Halle, per poi abbandonare, nel 1952, la Germania Est e rifugiarsi nella Bundesrepublik. Qui salì tutti i gradini della carriera politica all’interno del partito liberale, l’FDP, fino ad assumerne nel 1974 la carica di presidente. Eletto al Bundestag nel 1965, Genscher fu uno dei promotori della prima svolta politico-programmatica della FDP che la portò a non rinnovare l’accordo di coalizione con i cristiano-democratici della CDU e, successivamente, dopo la Grande coalizione, ad orientare le sue scelte di coalizione al perseguimento di obiettivi di politica estera, e quindi all’alleanza con i socialdemocratici dell’SPD nel quadro dell’Ostpolitik.
Nel periodo 1969-1974 Genscher ricoprì l’incarico di ministro degli Interni nella coalizione social-liberale guidata da Willy Brandt. Tra i momenti più significativi che lo videro in primo piano si ricordano: il tragico sequestro degli atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco del 1972 e l’affaire Guillaume del 1974, che costò a Brandt le dimissioni da cancelliere. leggi tutto