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24 aprile 2024
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Argomenti

Parigi, Berlino e la crisi greca

Michele Marchi - 18.07.2015

Leggendo i principali commenti alla chiusura del negoziato che ha dato il via libera al terzo piano di aiuti economici alla Grecia, su due punti i principali opinionisti sembravano convenire. Da un lato si è sottolineato l’attivismo del presidente francese Hollande e si è addirittura parlato di una sua vittoria. Dall’altro lato molti osservatori hanno posto l’accento sull’importanza di un operato congiunto di Berlino e Parigi e di conseguenza insistito, ancora una volta, sulla centralità dell’asse franco-tedesco nell’evoluzione del processo di integrazione europea.

Secondo chi scrive il successo di Hollande e il primato dell’asse franco-tedesco possono anche costituire due letture plausibili, a patto che ci si chiarisca sul significato di queste affermazioni.

Partendo da Hollande si deve innanzitutto ricordare quanto proprio l’Eliseo si sia speso per il salvataggio della Grecia, addirittura inviando funzionari di fiducia del presidente ad affiancare i colleghi greci nella stesura del piano da proporre a Bruxelles. Non si deve però dimenticare che Hollande si è mosso in questo modo prima di tutto per ragioni di politica interna. Evitare la Grexit era per lui una conditio sine qua non per il complicato tentativo di non perdere l’ala sinistra del suo partito e in generale tentare di mantenere il controllo della gauche in vista del 2017 e allo stesso modo per contrastare il populismo antieuropeo di Marine Le Pen. In secondo luogo l’inquilino dell’Eliseo si è tramutato nel più strenuo paladino del salvataggio di Atene con un occhio alla possibile evoluzione dell’Ue in caso di Grexit e Brexit. leggi tutto

Invece della Grexit avremo la Greropean Union?

Francesco Lefebvre D’Ovidio * - 18.07.2015

La vicenda, ancora in corso, della posizione della Grecia nell’area Euro e delle modalità e condizioni per il “salvataggio” finanziario dello Stato greco ha dato luogo a una produzione e propalazione di fantasiose ricostruzioni storiche ed economiche, formulate da politici, giornalisti e uomini della strada, tutti improvvisatisi esperti di storia e di macroeconomia.

La più parte degli interventi si è concentrata sul presunto ruolo “imperiale” della Germania, su immaginarie rievocazioni di una Germania che non avrebbe mai pagato i propri debiti e sull’accusa di acribia “contabile” rivolta ai tedeschi nel pretendere di imporre l’“austerità” al popolo greco.

Tema ricorrente e momento conclusivo di tali analisi, la negazione dell’Europa e del principio di solidarietà manifestata dalle istituzioni europee e la necessità di arrivare, finalmente, all’integrazione politica.

Mettiamo per il momento da parte i paragoni storici – completamente errati sul piano fattuale – circa il presunto comportamento della Germania nel passato.

Il punto centrale del dibattito sembra incentrato sull’idea che “fare l’Europa” si traduca essenzialmente nell’accettare il principio della solidarietà e, quindi, degli aiuti unilaterali e incondizionati a favore dei paesi in difficoltà.

Tali aiuti non dovrebbero, dunque, essere collegati all’attuazione delle riforme, se il popolo greco non le vuole, in nome del principio della sovranità del popolo greco medesimo; leggi tutto

L’Europa, la Grecia, l’Italia e la crisi della politica

Paolo Pombeni - 16.07.2015

Non siamo di quelli portati a farci coinvolgere negli improbabili paralleli storici a cui si abbandonano commentatori disinvolti: la situazione attuale non ha nulla a che fare né con la “pace cartaginese” verso la Germania del 1919 (l’espressione è di Keynes) né men che meno col trattamento della Germania dopo il 1945. Bisognerebbe ricordare che, per esempio, nell’ultimo caso la Germania ebbe condonati i debiti di guerra, ma a prezzo dell’occupazione, dello smembramento e della lunga perdita di sovranità internazionale, cose che ovviamente nessuno può pensare di applicare alla Grecia di oggi.

Tuttavia soffermarsi su queste tematiche è perdere tempo, perché la questione è piuttosto diversa ed è meglio cercare di delinearne i tratti, uscendo da un modo di guardare alla politica internazionale come se si trattasse di una società di opere caritatevoli e umanitarie. Ciò che impressiona nel leggere quanto scrivono anche personaggi autorevoli è la debolezza delle analisi politiche: sembra che nessuno abbia più seguito qualche lezione di politica internazionale o anche solo di storia internazionale.

Tanto per dire, abbiamo letto su “Foreign Policy” un’analisi sul comportamento tedesco scritta da Philippe Legrain, che è stato consigliere economico di Barroso, in cui si attacca la Merkel con argomenti forse plausibili da un punto di vista strettamente economico (la Grecia non è in grado di sostenere la “cura” che le si impone), ma insostenibili se appena si prende in considerazione il contesto politico in cui sono maturate le decisioni dei vertici europei. leggi tutto

La crisi greca e le tante narrazioni pretenziose

Gabriele D'Ottavio - 14.07.2015

Nelle ultime settimane, le narrazioni sulla crisi della Grecia si sono accumulate a ritmo serrato. Qualcuno interpreta la situazione attuale come un classico conflitto di potenza tra Paesi creditori e debitori, qualcun altro come uno scontro ideologico, o addirittura come uno scontro di civiltà tra Europa settentrionale e meridionale. Qualcuno enfatizza il primato della politica sull’economia o viceversa quello dell’economia sulla politica. Qualcun altro crede di sapere con certezza chi è il responsabile o, meglio, il colpevole, qualcun altro, più accorto, tende invece a distribuire le responsabilità su tutti gli attori coinvolti. Qualcun altro sostiene di avere capito chi sono i falchi e chi le colombe. Qualcuno ricorre alla teoria del complotto, qualcuno si affida al vecchio luogo comune, qualcun altro ancora evoca scenari e categorie che appartengono a un passato che non c’è più. Insomma, quasi nessuno sembra avere più la pazienza di attendere la conclusione di questo interminabile negoziato europeo. Quasi nessuno sembra ritenere che l’esito finale, qualunque esso sia, possa conferire un significato diverso e più profondo a quel che è avvenuto prima, a quel che sta avvenendo in questi concitati giorni e a quel che potrebbe avvenire dopo. Invece tanti ritengono di poter dire la loro, incuranti del fatto se possono vantare o meno competenze specifiche sull’argomento o almeno un’autorità non autoproclamata. leggi tutto

Alcune mistificazioni sulla crisi greca

Massimo Bucarelli * - 14.07.2015

Nell’intervista al settimanale tedesco Die Zeit del 27 giugno scorso, l’economista francese Thomas Piketty ha aspramente criticato l’eccesso di rigore del governo tedesco nei confronti di quello greco impegnato nel difficile compito di trovare una soluzione al problema dell’enorme debito accumulato negli ultimi anni. Piketty ha sollecitato una maggiore flessibilità nel pretendere il risanamento del debito ellenico, ricordando che la Germania in passato non ha mai ripagato il proprio debito estero, né dopo la prima, né dopo la seconda guerra mondiale, per cui non è certo titolata a dare lezioni alle altre nazioni costrette ad affrontare ora le stesse difficoltà.

Il tema non è certamente nuovo. Subito dopo il suo insediamento, l’attuale governo greco, guidato da Alexis Tsipras, ha invocato tali precedenti storici, stabilendo possibili paralleli tra la situazione tedesca del primo dopoguerra e quella greca attuale o chiedendo il pagamento dei danni subiti dalla Grecia per l’occupazione nazista. Il tema, poi, è rimbalzato anche nel dibattito pubblico italiano, ad uso di quanti sostengono la necessità per tutti i paesi debitori in difficolta di derogare agli impegni presi o spingono addirittura per porre fine all’esperienza della moneta comune o sono semplicemente animati dalla volontà di polemizzare contro il governo italiano, colpevole di non sostenere la causa greca, essendosi appiattito sulle posizioni di Berlino. leggi tutto

L'analisi del sabato. Fra due referendum, verso la Terza Repubblica

Luca Tentoni * - 11.07.2015

In dieci mesi e fra due referendum la situazione politica, economica e internazionale potrebbe prendere direzioni del tutto impreviste e imprevedibili. Il voto di Atene del 5 luglio e quello italiano (nella tarda primavera del 2016) sulla revisione costituzionale sono altrettanti passaggi cruciali di due vicende ben diverse fra loro. Visti in un'ottica più ampia, tuttavia, sono due eventi che possono rappresentare le tappe di un processo che ci porterà comunque verso nuovi equilibri nazionali e internazionali. Comunque vada a finire la vicenda del debito greco, l'Europa non sarà più la stessa. Sarà più forte o più debole, a seconda delle risposte che gli attori politici nazionali e quelli sovranazionali comunitari sapranno dare. Così in Italia: al di là del dibattito sulla forma, i poteri, l'elezione dei componenti del nuovo Senato (e persino oltre la stessa approvazione o meno, al referendum confermativo, del testo che uscirà dal Parlamento) avremo in ogni caso un prima e un dopo. Come nel '93 (anno di altri importanti referendum) o, andando indietro, nel '74 (altro referendum, sul divorzio) o ancora nel '64 (il "rumore di sciabole") o nel '60 (il governo Tambroni) o nel '46-'48 (fra voto per la Costituente e successive prime elezioni per Camera e Senato segnate dalla vittoria della Dc), ci troveremo, alla fine dei prossimi dieci-undici mesi, al cospetto di un altro cambiamento irreversibile, di qualsiasi segno sia. leggi tutto

La disunione europea e lo smarrimento della sinistra

Riccardo Brizzi - 11.07.2015

L'exploit del Partito popolare danese alle elezioni legislative di fine giugno (21%) e l'esito del referendum greco promosso da Syriza hanno riacceso il dibattito sull'ascesa delle formazioni populiste nella Ue. All'indomani dell'ingresso in forza nel Parlamento di Strasburgo in occasione delle europee del 2014, dalla Spagna alla Finlandia forze protestatarie spesso unite soltanto da un fermo rifiuto delle istituzioni comunitarie hanno registrato notevoli successi elettorali o conquistato posizioni di governo. Questo trend ha preso forme diverse. Nel Nord Europa (Svezia, Danimarca, Finlandia) la critica della tecnocrazia e delle élite di Bruxelles è portata avanti anzitutto da un populismo di estrema destra che si propone di smontare o distruggere la casa comune, mentre nei paesi mediterranei a sollevare il vessillo dell'euroscetticismo è in primo luogo una sinistra radicale che - a immagine e somiglianza di Syriza e Podemos - non ambisce a demolire l'Ue ma anzitutto a trasformarla. La crisi ha promosso in Europa due reazioni distinte ma spesso convergenti: un voto «anti-solidarietà» che a Nord si nutre dell'insofferenza verso il lassismo e l'indisciplina dei paesi meridionali, e un voto «anti-rigore» che da Sud denuncia le insostenibili misure di austerità imposte dalla troika e dai diktat di Berlino.

L'incremento del voto leggi tutto

Sul referendum greco

Duccio Basosi * - 09.07.2015

Nel referendum che si è tenuto lo scorso 5 luglio, una netta maggioranza dei cittadini greci si è pronunciata contro l'accettazione, da parte del proprio governo, delle ultime condizioni avanzate da UE e FMI nell'ambito del negoziato sul rinnovo delle linee di credito aperte da queste istituzioni nei confronti di Atene negli anni scorsi. La coalizione al governo ad Atene, imperniata sul partito di sinistra Syriza, era infatti salita al potere a gennaio con una piattaforma che prometteva di terminare le politiche di "austerità" negoziate negli anni scorsi tra la cosiddetta "Troika" (Commissione UE, BCE e FMI) e diversi precedenti governi greci di varia colorazione (centrosinistra, tecnici, centrodestra) e di mantenere, al contempo, il Paese all'interno della zona euro.

Sulla carta si trattava di una posizione assolutamente ragionevole, oltre che coerente con l'europeismo e la sensibilità di Syriza all'impoverimento di massa nel quale la Grecia è caduta negli ultimi anni. Del resto, persino gli economisti del FMI, a partire dal 2012, hanno messo nero su bianco che l'austerità non solo non serve a rilanciare la crescita economica di un paese indebitato, ma spesso incancrenisce la situazione in una spirale di debito e recessione. Se, finora, le linee di credito aperte sono servite a pagare gli interessi sui prestiti precedenti (mentre dalle virtù dell'austerità ci si attendeva un rilancio economico, poi mai materializzatosi), il nuovo governo greco si presentava al tavolo con una logica diversa: utilizzare i crediti per rilanciare l'economia e, solo in un secondo momento, utilizzare le risorse così generate per saldare i debiti. leggi tutto

200 anni fa la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna: nasceva l'Europa moderna

Giulia Guazzaloca - 07.07.2015

Tra Waterloo e Vienna – Grandiose le celebrazioni, in Belgio ma non solo, e inevitabili le polemiche per il bicentenario della sconfitta di Napoleone a Waterloo. Era infatti il 18 giugno 1815 quando l’imperatore, che aveva riconquistato il potere in Francia cento giorni prima, fu battuto dagli eserciti inglese e prussiano facenti parte della cosiddetta Settima Coalizione; esiliato definitivamente presso Sant’Elena, vi morì il 5 maggio di sei anni dopo. Nonostante siano passati due secoli, è una sconfitta che brucia ancora l’orgoglio patriottico dei francesi e resta, come ha scritto Le Figaro, «un tabù». Per questo si è rischiato l’incidente diplomatico quando il governo belga ha avanzato l’idea di coniare una moneta commemorativa da due euro in ricordo di Waterloo.  

E tanto, naturalmente, si è scritto e detto nelle scorse settimane a proposito delle ragioni dell’esito di quella grandiosa battaglia o di cosa sarebbe successo se a Waterloo avesse vinto Napoleone e nuovamente ci si è chiesti se la sua fu «vera gloria». In chiave storica, tuttavia, sarebbe forse meglio soffermarsi sul significato di medio e lungo periodo di quegli eventi, sul loro valore di cesura periodizzante. Perché se è vero che è sempre difficile, e in parte arbitrario, fissare delle date simbolo» entro cui collocare il passato, leggi tutto

L'analisi del sabato. “Grande Riforma” e “piccole intese” (con la Grecia sullo sfondo)

Luca Tentoni * - 04.07.2015

Mentre in Grecia si gioca - col referendum - una partita forse decisiva per il futuro dell'Europa, in Italia sta per essere messa duramente alla prova, per la prima volta dopo un anno e mezzo di governo Renzi, la tenuta di Esecutivo e maggioranza. In Senato, infatti, i numeri sono meno ampi e rassicuranti che alla Camera. In vista dell'arrivo del disegno di legge costituzionale che riforma - fra l'altro - il bicameralismo, la situazione sembra complicarsi. In teoria la coalizione per le riforme coincide con quella di governo (Forza Italia non ne fa più parte, anche se i senatori vicini a Verdini sembrano pronti a sostenere il ddl costituzionale) e supera di poche unità i 161 voti necessari perchè il progetto possa essere approvato, ma i senatori della minoranza Pd dubbiosi su alcuni aspetti importanti del testo (in primo luogo, sull'elezione indiretta dei componenti di Palazzo Madama) sono più che sufficienti per rendere incerto l'esito di questo (ormai imminente) passaggio politico-parlamentare. La via principale per rinsaldare la maggioranza è, per Renzi, concedere qualcosa ai due "amici-nemici" che possono rientrare in gioco: la sinistra del partito e Berlusconi. Sul bicameralismo, qualche espediente è possibile, ma forse potrebbe non bastare, perciò si potrebbe inserire in un accordo più ampio una leggina di parziale revisione dell'Italicum (la normativa elettorale approvata poche settimane fa dal Parlamento in via definitiva, ma che entrerà in vigore solo nel luglio del 2016). Le variazioni possibili riguardano le preferenze e l'attribuzione del premio alla coalizione più votata (al primo o al secondo turno) anzichè alla lista. leggi tutto