Ultimo Aggiornamento:
22 marzo 2025
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I problemi aperti delle elezioni inglesi

Nicola Melloni * - 21.05.2015

Le elezioni svoltesi recentemente in Gran Bretagna sono state una sorpresa per molti. Io stesso su queste pagine avevo predetto, come un po’ tutti, un hung parliament, ed invece i Tories hanno conquistato la maggioranza dei seggi e potranno governare anche senza il supporto dei Liberal-Democratici.

L’indiscutibile successo di Cameron apre però un periodo di tensione e potenziale crisi in numerose aree. Partiamo dicendo che a livello numerico, le elezioni non sono state certo un voto di confidenza per il governo. La vecchia coalizione ha perso qualcosa come 14 punti – tutti dei Libdem, visto che i Tori sono saliti dell’1%. Il che vuol dire che se il vecchio governo – pur post-elettorale – era rappresentanza di quasi il 60% degli elettori inglesi, quello attuale è stato votato da poco più di un elettore su tre.

Ancor più del sistema elettorale, poté la situazione di grande confusione sulla scena politica britannica, con un Labour in crisi di identità, una sinistra frantumata, ed un crescente nazionalismo tanto in Inghilterra – dove lo UKIP ha comunque guadagnato il 13% dei voti – quanto in Scozia, con la strabiliante vittoria dello Scottish National Party.

In effetti, al netto di risultati inaspettati in termini di distribuzione dei seggi, i trend indicati prima delle elezioni si sono confermati: il bipartitismo, seppur abbia guadagnato qualche decimale, rimane in crisi, vuoi per il crescere dei conflitti regionali, vuoi per la scarsa rappresentatività dei laburisti, vuoi per le tensioni sociali che stanno mutando lo scenario politico; il sistema politico leggi tutto

La Gran Bretagna dei Conservatori

Giulia Guazzaloca - 21.05.2015

La nuova squadra di Cameron

 

Dopo le innumerevoli analisi sull’esito sorprendente delle elezioni dello scorso 7 maggio, i riflettori sulla politica inglese non si sono spenti. Forte della maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni, David Cameron ha formato la sua nuova squadra di governo, di soli tories, e c’è grande fermento per alcuni provvedimenti che l’esecutivo si accingerebbe a prendere: dalla revoca dello Human Rights Act a misure più stringenti per combattere il radicalismo islamico, dalla «guerra alla BBC»  – come l’hanno definita i media – all’opposizione ai piani europei di insediamento e redistribuzione dei migranti.

Nella composizione del nuovo governo è stata evidente la volontà del primo ministro di puntare alla stabilità e alla continuità: sono stati confermati, infatti, tutti i precedenti ministri nei dicasteri chiave delle Finanze (George Osborne), degli Esteri (Philip Hammond), della Difesa (Michael Fallon) e degli Interni (Theresa May). Conferme prevedibili, del resto, dopo i risultati elettorali che, secondo la maggior parte degli analisti, hanno premiato il partito conservatore proprio sui temi caldi dell’economia, dell’immigrazione e del rapporto con l’Europa; con la disoccupazione in calo al 5,6%, la sterlina forte sull’euro e la crescita attestata al 2,5%, Cameron non poteva che proseguire sulla linea dell’austerity promossa da Osborne; al tempo stesso Theresa May gli fornisce una sicura garanzia rispetto alle posizioni tradizionalmente euroscettiche e anti-immigrazione del suo elettorato. leggi tutto

L’Europa e la fine della storia

Andrea Frangioni * - 19.05.2015

E’ la relativa assuefazione dell’opinione pubblica il dato che più tormenta di fronte all’ultimo grande naufragio nel Canale di Sicilia (sembra confermato lo spaventoso bilancio di oltre 700 morti). E’ incredibile che non sia stato proclamato il lutto nazionale (come fu invece fatto per l’altro grande naufragio dell’ottobre 2013, con oltre 300 morti); è incredibile che non si siano svolte veglie di preghiera in tutte le Chiese e in tutti gli altri luoghi di culto delle nostre città; è incredibile che, salvo qualche accenno, il tema non sia stato al centro delle celebrazioni del 25 aprile, tanto più che le migrazioni in corso sono dovute anche alla peste che tormenta i nostri giorni, il fascismo jihadista.

Tutto questo sembra confermare che, almeno in Europa, viviamo davvero nella fine della storia. In Europa la storia è finita perché, usciti dall’età delle ideologie, viviamo in un eterno presente, incapaci di dare un significato alle nostre esistenze che vada al di là delle contingenze materiali. Siamo divenuti incapaci di collegare le nostre vite alle generazioni che ci hanno proceduto e di concepire le nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future. E questo nonostante i molti esempi “privati” di dedizione al prossimo (il volontariato) di cui siamo ancora capaci.

Una delle più chiare manifestazioni di questa fine della storia è la crisi del progetto europeo, di cui ha già scritto su questo giornale Paolo Pombeni. leggi tutto

Nicolas Sarkozy e “Les Républicains”: tra provocazione e strategia

Michele Marchi - 14.05.2015

Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 2007 Sarkozy aveva, in numerosi dei suoi interventi, “saccheggiato” il Pantheon della sinistra. Si ricordano i suoi riferimenti a Jean Jaurès e a Georges Clemenceau, così come quelli all’eredità della Resistenza e a figure altamente evocative come Georges Mandel e Jean Moulin. Sta accadendo qualcosa di simile con la sua decisione di ribattezzare l’Union pour un mouvement populaire, nel più diretto e semplice, ma anche piuttosto “provocatorio”, “Les Républicains”?

Quando ci si accosta alla figura di Sarkozy si rischia troppo spesso di semplificare un personaggio politico al contrario sfaccettato e complesso più di quanto il suo stile diretto e provocatorio possa far sembrare. Per analizzare la scelta dell’ex presidente della Repubblica bisogna prima di tutto ricordare che il suo ritorno sulla scena politica non è avvenuto né nei tempi, né secondo le modalità che egli aveva immaginato. I suoi guai giudiziari da un lato e quelli interni all’UMP dall’altro, con lo scontro Copé-Fillon e le inchieste legate all’affaire Bygmalion, hanno imposto un calendario più accelerato. Soprattutto hanno obbligato Sarkozy a ripartire dal partito, imponendogli così una lunga “traversata del deserto” come leader dell’opposizione e di conseguenza eliminando l’ipotesi del rientro nell’agone a pochi mesi dal voto del 2017, come risorsa di ultima istanza per un Paese bloccato e sfinito da cinque anni di inconsistente presidenza Hollande. Da non trascurare infine i timori per la crescita esponenziale del “nuovo FN” di Marine Le Pen e quelli altrettanto reali, per lo spazio politico progressivamente occupato a destra da Alain Juppé. leggi tutto

UE: un bilancio delle Commissioni Barroso (2004-2014)

Guia Migani * - 14.05.2015

Presiedere la Commissione europea rappresenta probabilmente una delle responsabilità politiche più complesse che esistano attualmente. Tale complessità deriva dalla natura dell’istituzione e dal contesto nel quale essa agisce. La Commissione comprende oggi 28 membri, possiede alcune caratteristiche di un governo senza tuttavia averne tutti i poteri. Il suo rapporto con il Parlamento europeo assomiglia a quello che esiste negli ambiti nazionali, tuttavia è la relazione con il Consiglio europeo (e quindi con i rappresentanti dei governi) che struttura l’ambito della sua azione. Malgrado infatti l’ampia autonomia e la capacità di azione della Commissione, questi ultimi hanno l’ultima parola sulle decisioni adottate.

Barroso diventa Presidente della Commissione nel novembre 2004 e termina il suo mandato nell’ottobre 2014. In tale periodo l’Europa attraversa una serie di crisi che rimettono in questioni gli equilibri stabiliti. La prima Commissione Barroso (2004-2009) integra per la prima volta i rappresentanti dei nuovi stati membri che passano da 15 a 25. Una delle priorità della nuova Commissione è quindi di integrare un insieme di realtà politiche, economiche e nazionali molto più diversificate che in passato. Ma il tempo di procedere a tale integrazione è limitato perché la Commissione è immediatamente confrontata alla prima delle crisi che caratterizzeranno tutto il decennio. Nel 2005 la Francia e l’Olanda, paesi fondatori dell’UE, rifiutano, per referendum, la proposta di costituzione europea. Per la prima volta un progetto politico che comporta più d’integrazione è respinto a netta maggioranza. Un compromesso, il trattato di Lisbona, meno ambizioso del progetto di costituzione, è adottato due anni più tardi ed entrerà in vigore nel dicembre 2009. leggi tutto

La rivoluzione dei Ciudadanos: il nuovo partito che fa concorrenza a Podemos in Spagna

Luca Costantini * - 12.05.2015

Dopo la vittoria elettorale di Syriza, nella piazza principale di Madrid, la stessa che aveva ospitato la protesta degli indignados del 2011, si celebrò una manifestazione di Podemos per invocare una svolta politica in Spagna. Molti quotidiani videro in quella marcia la prova di forza di una formazione considerata oramai matura per vincere le elezioni, proprio com’era accaduto in Grecia con Tsipras. «Tic, tac, tic, tac», urlava dal palco nella piazza Pablo Iglesias, il leader di Podemos, evocando il definitivo conto alla rovescia per l’attuale ordinamento politico spagnolo, definito in modo sprezzante come «regime del ‘78».

Podemos nasce come reazione agli scandali della corruzione e alla crisi. Lo fa ridiscutendo i termini fondativi del patto tra spagnoli che nel 1978 diede vita alla costituzione democratica. A gennaio il quotidiano britannico «The Guardian» pubblicò un reportage intitolato The Podemos revolution: how a small group of radical academics changed European politics, dove furono descritti i riferimenti ideologici della formazione di Iglesias. Tra Gramsci, Laclau e Mouffe, quelli di Podemos starebbero dando vita, secondo il periodico, a una mescolanza di socialismo e populismo, che privilegerebbe la lotta alla «casta» sulla lotta di classe (Laclau e Mouffe  leggi tutto

Elezioni storiche

Nicola Melloni * - 05.05.2015

Sono elezioni importanti quelle che si terranno tra pochi giorni nel Regno Unito, per molti versi storiche. Sono, ovviamente, un test sulle politiche anti-crisi del Governo di Coalizione e sull’austerity, il cui risultato è, nella migliore delle ipotesi, piuttosto discutibile: la crescita è ripartita molto prima che nell’area euro, e la disoccupazione è notevolmente calata. Allo stesso tempo, però, i salari rimangono ben sotto i livelli di prima della crisi, gli investimenti continuano a mancare, la produttività è drammaticamente bassa. I tagli al welfare hanno peggiorato la vita delle fasce più deboli e, al contempo, non sono riusciti a ridurre il deficit come inizialmente promesso dal governo. L’insoddisfazione politica verso il governo non sembra però favorire l’Opposizione di Sua Maestà, in questo caso il Labour, e si riversa invece su fenomeni relativamente nuovi come gli anti-europei dello UKIP e gli indipendentisti scozzesi. Il risultato, elettoralmente, potrebbe essere sconcertante: i Tories rischiano di perdere importanti collegi marginali a favore del Labour soprattutto per la crescita dello UKIP; i Libdem perderanno molti voti, pagando il tradimento del manifesto elettorale delle scorse elezioni. Ma il Labour potrebbe non trarne beneficio, a causa dei tanti seggi che saranno persi nella tradizionale roccaforte scozzese, dove, secondo alcune previsioni, lo SNP potrebbe vincere in tutti i collegi. Il risultato sarà che leggi tutto

“Questione tedesca” 2.0?

Giovanni Bernardini - 28.04.2015

Gli stereotipi sui caratteri nazionali, si sa, sono duri a morire. Secondo un vecchio adagio, se si chiedesse a persone di diversa nazionalità di scrivere un libro sugli elefanti, si otterrebbe da un francese il trattato “Mille modi di cucinare l’elefante”, mentre un inglese racconterebbe “La volta che ho sparato a quell’enorme elefante”; la versione statunitense spiegherebbe “Come fare elefanti migliori e più grandi”, e quella giapponese “Come costruire elefanti piccoli ed economici”. Quanto a un tedesco, egli non si metterebbe all’opera per meno di “L’elefante e la “questione tedesca” in VI volumi”. È pur vero che di questione tedesca si ragiona sia fuori che dentro i confini nazionali almeno dal 1871, quando l’unificazione della Germania trasformò profondamente l’Europa e i suoi equilibri di potenza. Le conseguenze di allora non hanno cessato di proiettare un’ombra lunga e tragica sui decenni a venire. Se sia il caso di ragionare ancora oggi in termini di “questione tedesca” è l’interrogativo che Hans Kundnani pone al centro del suo libro “The Paradox of German Power”. Il volume, sintetico e di facile lettura, costituisce tanto un rapido excursus storiografico quanto uno stimolo al dibattito sulla crisi attuale dell’Europa e sul ruolo giocato da Berlino. Dopo che la Guerra Fredda aveva risolto il problema in modo brutale con la divisione della Germania in due stati, dopo che l’indomani della riunificazione aveva fatto parlare di una definitiva “europeizzazione della Germania” in virtù del Trattato di Maastricht, ha ragione chi oggi grida leggi tutto

L’Europa in crisi

Paolo Pombeni - 25.04.2015

La crisi europea non consiste tanto nella sua difficoltà di affrontare il problema delle migrazioni di massa verso i suoi territori. Quello è un problema enorme e si può ben capire che generi sgomento, perché arginare un fenomeno di quella portata, governarlo in tempi di crisi economica, è una sfida gigantesca. Quel che dovrebbe preoccupare, perché non è invece una fatalità storica, è la contrazione fortissima che si registra un po’ dovunque dello spirito europeistico.

Al fatto che nell’affrontare temi impegnativi prevalga l’Europa dei governi nazionali rispetto alle sue strutture comunitarie si era preparati da molto. Senza risalire ai tempi divenuti quasi mitici di Delors, è da dopo la presidenza Prodi che i vertici comunitari di Bruxelles non provano neppure a tenere il timone della rotta dell’Unione. Tutto è stato affidato alla leadership degli stati di maggiori dimensioni (e di maggior peso economico) e poiché non c’è più il vecchio asse franco-tedesco, anche in quel campo si è assistito ad un pluralismo che fatica a trovare momenti di sintesi.

La tanto sbandierata riforma con la creazione del presidente stabile e dell’incaricato in pompa magna della politica estera comune, riforma che doveva portare l’Europa ad avere il famoso numero di telefono a cui Kissinger chiedeva fosse reperibile, non è servita a produrre leadership. Né van Rompuy né Tusk, non parliamo della Ashton e della Mogherini, sono riusciti ad elevarsi ad un minimo livello di leadership. Un apparato diplomatico faraonico costruito quasi dal nulla a nulla serve. leggi tutto

Un’unica Unione per un’unica democrazia. Rilanciare l’unitarietà dell’UE per garantirne l'accountability

Davide Denti * - 21.04.2015

Sul Sole 24 Ore del 12 aprile, Sergio Fabbrini propone la sua visione per l’Unione Europea del dopo-eurocrisi. E’, la sua, un’UE a due velocità: un nucleo federale incentrato sull’eurozona, con un governo comune stabilito da un nuovo Trattato, opposto ad una periferia più lenta la cui integrazione è limitata al mercato unico. La visione di Fabbrini ha il privilegio della semplicità, ma sorvola su alcuni fattori che la rendono poco realistica.

Primo, la complessità legale di una Unione multilivello basata su diversi Trattati costitutivi (i due trattati UE e l’eventuale Trattato dell’eurozona). A chi apparterrebbero, in tale scenario, le istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento, Consiglio)? Uno sdoppiamento istituzionale sognificherebbe un passo indietro a prima del Trattato di fusione degli esecutivi del 1967 – qualcosa di difficilmente augurabile.

Secondo, la problematicità di abbandonare le periferie dell’Unione ad uno status intermedio. Se è vero che una versione light dell’integrazione (accesso al mercato comune, ma senza moneta unica e libera circolazione delle persone) potrebbe fare comodo al Regno Unito e permettere una più agevole adesione della Turchia, tutti gli altri paesi che ancora non hanno adottato l’euro ma che sono legalmente obbligati a farlo, a partire dai paesi d’Europa centrale, non avrebbero nessun interesse a vedersi relegati ai margini.

Terzo, l’impossibilità di separare nettamente livello europeo e nazionale, come proposto da Fabbrini. La compenetrazione tra i due è tra le caratteristiche fondamentali dell'Unione contemporanea, che si basa sulla collaborazione dei governi nazionali per adottare leggi tutto