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L’Europa e il rischio Orban per Polonia e Balcani
Settimana scorsa il Parlamento europeo ha discusso della situazione in Polonia dopo che il partito di destra Diritto e Giustizia (PiS) nelle prime settimane di governo ha riformato la Corte Costituzionale e messo sotto controllo la televisione pubblica. La premier polacca Beata Szydło si è premurata di tranquillizzare i parlamentari europei: “non è successo niente di male”, “non c'è stata alcuna violazione della Costituzione” e “non vedo ragione per cui perdere così tanto tempo sulle questioni [interne] polacche”, ha dichiarato. Ma le rassicurazioni non sono bastate agli eurodeputati né al vicepresidente della Commissione europea, il socialista olandese Frans Timmermans, secondo il quale “rischiamo di vedere l'emergere di una minaccia sistemica allo stato di diritto in Polonia”. Sempre settimana scorsa, la Commissione europea ha avviato un meccanismo di dialogo con il governo polacco per verificare se il governo di Varsavia non abbia infranto le leggi del proprio stesso paese. Una prima volta per un meccanismo adottato nel 2014 come passo intermedio prima di aprire una procedura in base all'articolo 7 del Trattato UE – quello in base al quale uno stato membro può arrivare a perdere i propri diritti di voto laddove sia verificata una “grave violazione” dei valori europei.
La situazione della Polonia è ancora fluida, leggi tutto
Prezzi del petrolio in discesa: opportunità e rischi
Un piccolo rimbalzo del prezzo del petrolio da 27 a 32 dollari tra venerdì 22 gennaio e inizio settimana non altera molto la condizione dei mercati dell’oro nero che hanno visto le quotazioni scendere dai quasi 110 dollari a barile toccati nel 2012-4 ai livelli del 1979. Come cambiano le prospettive dell’economia mondiale con un prezzo del petrolio tornato ai livelli di quasi 40 anni fa? Chi ci guadagna? Chi ci perde? E come saranno i prezzi nel futuro prossimo?
Iniziamo dall’ultima questione osservando che dal 2008 il consumo di petrolio nel mondo è cresciuto ad un misero tasso annuo dello 0.5%. Dal 2000 l’energia prodotta con le rinnovabili è cresciuta circa 15-16 volte e quella idroelettrica dal 2010 ha compensato con la sua salita la lenta discesa di quella nucleare. Le proiezioni dei consumi per i prossimi 15 anni, per quanto veritiere, ci danno tassi di crescita annuali del consumo di petrolio attorno allo 0.4%. A fronte di nuovi giacimenti scoperti soprattutto in Africa, produzione Usa di shale oil e ripresa estrazione in Iran le previsione di prezzi, a meno di conflitti di larghe proporzioni, sono piatte se non cedenti.
Per capire invece gli effetti del basso prezzo dell’energia, occorre muoversi per grandi aree. Nei paesi produttori del golfo persico le entrate fiscali provengono in gran parte dalle royalty su petrolio e gas esportati. Ad esempio, nel sultanato dell’Oman, petrolio e gas fanno il 72% del bilancio pubblico. leggi tutto
Cambiare i trattati UE? Sì, ma per unificare l'Europa, non per dividerla
Nella sua intervista dell'11 gennaio a Repubblica, il sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi annuncia che l'Italia si spenderà per la riapertura dei trattati europei a partire dal 2017, in concomitanza con il sessantennale del Trattato di Roma.
L'Unione europea del 2020 che Gozi preconizza, tuttavia, non è quella che ci si potrebbe aspettare. Anziché una democrazia compiuta che abbracci l'intero continente, il sottosegretario propone di spezzare l'Unione in due: da una parte i paesi di un nucleo duro, democratico ed integrato; dall'altra un'Europa più sbiadita, sostanzialmente ferma allo stato attuale dell'integrazione.
La proposta di Gozi ha varie fonti. Da una parte, essa riprende certe idee del movimento federalista europeo, volte a rafforzare l'eurozona, ma che possono andare a discapito dell'unitarietà dell'Unione intera. Dall'altra parte, essa riprende la visione di Sergio Fabbrini, più volte pubblicata sul Sole 24 Ore. Infine, essa appare coerente con una politica di appeasement delle velleità del governo conservatore britannico, nel caso in cui esso arrivi a vincere il referendum sulla brexit atteso per il 2016-2017 – non è un caso se solo poche settimane fa i ministri degli esteri Gentiloni e Hammond firmavano un editoriale a quattro mani. Ciononostante, si tratta di un modello fallace e pernicioso. Anziché procedere verso una maggiore integrazione e democratizzazione dell'UE, tali posizioni sull'integrazione a “due cerchi” ci riportano indietro di almeno dieci anni, al dibattito sull'Europa a due o più velocità dei primi anni 2000. leggi tutto
David Bowie: la vita come un’opera d’arte
Se la sua vita è stata un’opera d’arte, la sua morte non è stata da meno. Un’uscita di scena con tempismo teatrale perfetto, suggellata da uno splendido disco (“Blackstar”), con tanto di versi profetici: “Guardate lassù, sono in paradiso, ho cicatrici che non possono essere viste” (l’inquietante “Lazarus”). David Bowie, il Duca Bianco, l’uomo delle stelle si congeda dal mondo al culmine della (ritrovata) popolarità, mentre il suo testamento musicale è appena uscito nei negozi (l’8 gennaio, proprio nel giorno del suo 69° compleanno). Bowie lottava da 18 mesi una battaglia contro il cancro. Proprio mentre era alle prese con la malattia, ha registrato le canzoni – e i video, magnifici e disturbanti – di “Blackstar”. Un album il cui titolo non andrebbe scritto, ma solo illustrato grazie al disegno di quella stella nera, che ora ci appare come il sepolcro ideale di un artista che, fin dall’odissea dell’astronave di Major Tom (“Space Oddity”, 1969), ha inseguito un sogno spaziale ad occhi aperti.
Una morte accompagnata da un cordoglio pressoché unanime e che tuttavia ci appare impossibile. Forse perché, novello Dorian Gray, Bowie ha sempre lasciato che fosse il suo ritratto a invecchiare, mai il suo spirito. O forse perché il suo nome è ormai da tempo consegnato all’eternità. Paradossale, per chi è partito dal warholiano “quarto d’ora di celebrità”, immortalandosi poi “eroe per un giorno” (“Heroes”). leggi tutto
Francia un anno dopo
Circa due mesi fa ci si interrogava (http://www.mentepolitica.it/articolo/un-salto-di-qualit/693) sul necessario “salto di qualità” che la Francia nel suo complesso e l’Europa come comunità di Stati avrebbero dovuto fare per affrontare il dopo 13 novembre 2015, a dieci mesi dai già gravissimi fatti di Charlie Hebdo e dell’ipermercato kosher. È avvenuto questo “scatto”? La risposta dell’opinione pubblica francese e della sua classe politica sono state all’altezza della gravità della minaccia? I vicini europei e le istituzioni comunitarie hanno reagito nella direzione di una più concreta coesione e solidarietà e di un maggior coinvolgimento e coordinamento nel contrasto al terrorismo?
Sul secondo punto il bilancio è deficitario. L’Ue sta reagendo con la solita lentezza e soprattutto sui dossier chiave del registro dei passeggeri aerei e della gestione dei flussi migratori, nonostante alcuni passi avanti, lo shock del 13 novembre non sembra aver fornito la sufficiente scossa. Allo stesso modo la “risposta europea” sul fronte della lotta allo Stato islamico da un punto di vista militare non sta brillando per coordinamento. Dopo la formale (e strumentale) richiesta di Hollande, al momento di annunciare l’intenzione francese di estendere i propri bombardamenti all’indomani degli attacchi di Parigi, l’Ue ha per la prima volta attivato l’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona (difesa reciproca). leggi tutto
Il fantasma della Brexit
L’«anno orribile» dell’Unione Europea
Un bilancio sullo stato dell’Unione Europea nel 2015 rimanda l’immagine di una realtà che pare lontanissima da quella in cui, solo tre anni fa, le venne assegnato il premio Nobel per la pace. Se la crisi economica le ha fatto progettare, per la prima volta nella sua storia, l’espulsione di uno dei suoi paesi membri, la Grecia, la massiccia ondata migratoria e la sfida del terrorismo islamico ne hanno pesantemente compromesso i valori fondanti. Non solo, infatti, sono in crescita un po’ ovunque i partiti anti-europeisti e xenofobi, ma la reintroduzione dei controlli alle frontiere da parte di Svezia e Danimarca sta mettendo a rischio gli storici accordi di Schengen e, più in generale, quei principi di libertà e libera circolazione delle persone che costituiscono l’architrave del progetto comunitario. Sono subito corsi ai ripari il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e il commissario europeo agli Affari Interni e all'Immigrazione: il primo dicendo che salvare Schengen è un «dovere collettivo », il secondo convocando un tavolo coi rappresentanti dei governi svedese, danese e tedesco per rispondere in modo coordinato all’emergenza migratoria.
In questa complessa situazione, nella quale si sommano il prosperare dei populismi nazionalistici, il moltiplicarsi delle sfide interne ed esterne, la crisi della leadership tedesca, un ulteriore pericoloso fantasma aleggia sul futuro della UE. leggi tutto
La crisi dell’Unione Europea
Da cosa dipende la crisi dell’Unione Europea? La domanda dovrebbe essere di quelle che inquietano, mentre invece l’impressione è che in fondo il tema, almeno a livello di opinione pubblica generale, non susciti particolare interesse. Del resto è da mesi che si registrano insoddisfazioni circa l’incapacità della Ue di affrontare in maniera decisa problemi sia di politica internazionale che di politica interna.
Lo sfarinarsi del tanto proclamato e lodato (ai bei tempi) “spirito comunitario” è sotto gli occhi di tutti. L’apertura ad Est che era stata avviata con grandi speranze e conseguenti proclamazioni di svolte epocali si sta rivelando una fonte di erosione di quella che si riteneva fosse la grande tradizione comune dell’europeismo. Diritti fondamentali, libertà storiche come quella di stampa, rigore nell’amministrazione pubblica sono dimensioni che non hanno trovato terreno molto fertile nei paesi un tempo satelliti dell’URSS. Era comprensibile che il passaggio da un regime assolutistico di partito unico ad una democrazia evoluta non sarebbe stato una passeggiata, ma le difficoltà sono state sottovalutate, convinti che bastassero l’egemonia dell’Europa occidentale e l’offerta di una partecipazione al nuovo benessere per convertire società che evidentemente avevano problemi interni nello sviluppo di un certo contesto politico.
Così non è stato, anche perché ben presto l’Europa occidentale non ha avuto più molto da offrire a causa di una crisi economica di dimensioni non previste. leggi tutto
Perseguitati per la fede. Un dramma senza esclusive
La libertà religiosa è garantita in ambito internazionale dall’articolo diciotto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed è assicurata in molte leggi fondamentali: bastino qui gli esempi del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America o l’articolo diciannove della Costituzione italiana. Ciononostante, a una percentuale molto alta di donne e uomini non è consentito vivere e professare apertamente il proprio credo. Lo affermava il Pew Research Center nel bilancio presentato il 28 febbraio scorso, dove si suonava anche l’allarme per una situazione in sensibile peggioramento. Previsioni fosche che i primi resoconti del nuovo anno confermano a pieno.
Tutti abbiamo ben presenti movimenti terroristici come Boko Haram o Isis, abbiamo notizia delle violenze religiose in Kenya o in Somalia, ma in molti casi l’intolleranza è tutt’altro che fuori dalla legge. Guardiamo alla lista pubblicata dalla Organizzazione Non Governativa Human Rights Without Frontiers (HRWF), che segnala venti Paesi nelle cui carceri vi sono persone detenute per motivi religiosi: i cosiddetti FoRB (Freedom of Religion or Belief & Blasphemy Prisoners). L’elenco è lungo ma non esaustivo: Arabia Saudita, Azerbaigian, Bhutan, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Egitto, Eritrea, Indonesia, Iran, Kazakistan, Laos, Pakistan, Russia, Singapore, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Non esaustivo perché leggi tutto
Merkel bizzosa, Europa senza rotta
Un passo avanti e due indietro. E’ questo il ritmo dell’incerto incedere della nostra Europa. Qualche mese fa mi ero rallegrato su queste colonne per la decisione presa dal consiglio europeo di erigere l’ultimo fondamentale pilastro della unificazione del sistema monetario dei paesi euro. Si trattava di mettere in piedi un meccanismo fotocopia di quello che esiste da quasi un secolo negli Stati Uniti che doveva prevedere una garanzia federale (FDIC-Federal Deposit Insurance Corporation) sui depositi bancari fino ad una soglia di 100.000 euro. Negli Usa la FDIC nasce nel 1933 sotto la coraggiosa presidenza Roosvelt a seguito delle ripetute crisi bancarie che si verificano negli anni 20 e nei primi anni 30 del XX secolo. Consente di alleviare la paurosa crisi del sistema bancario durante la grande crisi assicurando i depositi (oggi fino a 250.000 dollari) in caso di fallimento della banca. La FDIC interviene in seguito con artiglieria pesante negli anni 80 e 90 quando gli Usa soffrono di una protratta serie di chiusure delle piccole banche e impedisce alla crisi del sistema bancario di infettare l’intera economia. E’ attiva ovviamente negli anni recenti dal 2008 e costituisce un vero baluardo del sistema creditizio americano. La sua disciplina è cambiata nel 2010 con la riforma dei mercati finanziari (Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act) che l’ha resa più efficiente e ne ha espanso la copertura assicurativa non solo portandola a 250000 dollari ma ancorandola anche a requisiti di bilancio delle banche. leggi tutto
Londra e Roma “mano nella mano” al Consiglio europeo. Cui prodest?
In prossimità del Consiglio europeo del 17-18 dicembre, un appuntamento che si preannunciava quanto mai rilevante – sul tavolo, tra l’altro, le problematiche legate ai flussi migratori, alle crisi internazionali, alla “Brexit” – «la Repubblica» e il «Telegraph» hanno pubblicato un articolo di fondo (Lavoriamo insieme per un’Europa migliore/Britain and Italy stand together on EU reform”) firmato congiuntamente dal ministro degli esteri italiano Gentiloni e dal suo omologo inglese Hammond. Il ragionamento proposto si sviluppa soprattutto intorno a due punti chiave: la necessità di “semplificare” l’Ue e renderla più flessibile (parola che diventa quasi un mantra, tante sono le volte che ricorre nel testo); il diritto per gli stati che vogliono progredire sulla via della maggiore integrazione, specie se parte dell’Eurogruppo, di andare avanti.
Tuttavia, entrambi i concetti sono formulati in termini così vaghi che, volendo, è possibile dare al documento interpretazioni completamente divergenti. Ad esempio, sulla necessità (innegabile) di riformare l’Ue, di semplificarne il quadro istituzionale, si può innestare facilmente il tentativo di ridimensionare il ruolo delle istituzioni comuni – soprattutto del Parlamento europeo, di ammorbidire il “vincolo europeo” in alcuni campi e di abbassare la portata di diverse politiche: tutti concetti che potrebbero essere sottoscritti da partiti, leggi tutto