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24 aprile 2024
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Argomenti

L’Ue tra “piccole patrie” e nazionalismi: le nuove forze centripete e la posta in gioco

Massimo Piermattei * - 12.11.2015

Negli ultimi anni si sta assistendo a un costante intensificarsi di sogni indipendentisti che attraversano diverse regioni europee. Non si tratta certamente di una novità: un fenomeno analogo si registrò già nelle fasi immediatamente successive alla caduta del Muro di Berlino quando, insieme alla contrapposizione Est-Ovest, cadde anche uno dei principali motivi che aveva spinto gli Stati nella direzione di un marcato centralismo. La fine della guerra fredda liberò energie politiche nuove che portarono (anche) a una rinnovata attenzione ai territori e alle regioni, un fenomeno che in alcuni casi favorì le riforme in senso federale, come in Belgio, in altri arrivò a toccare punte drammatiche, con le dissoluzioni della federazione jugoslava e di quella sovietica.

È di pochi giorni fa la notizia dell’inasprimento della polemica con Madrid da parte del parlamento catalano, che ha approvato una mozione con l’obiettivo dichiarato di avviare unilateralmente il processo separatista – dando così seguito al voto dello scorso settembre che aveva premiato gli indipendentisti. Ma, appunto, lo strappo deciso dalla Catalogna non è un fatto isolato, bensì si inserisce in un processo più ampio che, a partire dal (fallito) referendum scozzese del settembre 2014, agita le cancellerie di diversi Stati europei – si pensi in particolare all’Italia che, proprio su questi temi, è attraversata sin dalla metà degli anni ‘90 da spinte regionaliste leggi tutto

La crisi dell’ONU a vent’anni dalla pace di Dayton

Massimo Bucarelli * - 10.11.2015

L’incapacità delle Nazioni Unite di intervenire nelle guerre interetniche, che hanno causato la dissoluzione della Jugoslavia, è stata definita dal diplomatico statunitense Richard Holbrooke, negoziatore degli accordi di pace in Bosnia, “il più grande fallimento della sicurezza collettiva occidentale dagli anni Trenta”. Altrettanto critico è stato lo stesso segretario dell'Organizzazione delle Nazioni Unite dell'epoca, il politico e diplomatico egiziano, Boutros Boutros-Ghali, secondo il quale l'intervento dei caschi blu nella ex Jugoslavia si è rivelato una vera e propria "missione frana", capace di condurre l'ONU "al disastro". In effetti, le numerose difficoltà del multilateralismo istituzionale nel gestire il conflitto armato esploso tra i popoli della ex Jugoslavia hanno fatto precipitare le Nazioni Unite in una crisi talmente profonda, da renderne l'Organizzazione, nata alla fine della seconda guerra mondiale per impedire il ripetersi delle tragedie che avevano devastato l’Europa per due volte nel giro di pochi decenni, del tutto marginale nella risoluzione delle principali crisi locali e internazionali degli ultimi vent’anni.

Il primo intervento dell'ONU nel caos jugoslavo è avvenuto nel settembre del 1991, con la decisione di decretare l'embargo generale sulle armi e sull'equipaggiamento militare contro l'intera Federazione Jugoslava. Si trattava di un'iniziativa presa nel pieno rispetto dell'imparzialità delle Nazioni Unite di fronte allo scontro in atto in Croazia, prima, e in Bosnia, poi, ma che di fatto favoriva l'esercito federale jugoslavo, leggi tutto

Garanzia europea sui depositi: una buona notizia dall’Europa

Gianpaolo Rossini - 07.11.2015

Abituati alle critiche quotidiane ad un’Europa che si muove a stento in un mondo in fibrillazione dobbiamo essere felici dell’impegno esplicito della BCE e del suo presidente Mario Draghi a dare vita a breve ad una delle colonne portanti della unione monetaria e della integrazione bancaria. Si tratta della assicurazione federale dei depositi bancari dei risparmiatori e delle imprese. Se una banca appartenente all’area euro fallirà chiudendo i battenti i depositi dei suoi clienti saranno salvaguardati e liquidati interamente ai depositanti fino ad una somma che dovrebbe essere attorno ai centomila euro. Questo dovrà avvenire in maniera omogenea in tutta eurolandia e in modo indipendente dagli stati. Oggi invece ciascun membro  euro è dotato di una sua propria parziale salvaguardia sui depositi. Si tratta di assicurazioni difformi tra loro e basate su agenzie che hanno un carattere nazionale e che soffrono delle vicende finanziarie di ciascun paese. E quindi non riscuotono interamente la fiducia degli operatori e dei risparmiatori. Nelle recenti crisi di fiducia dal 2011 in diversi paesi del sud Europa e in Irlanda, colpiti dalle tempeste dei debiti sovrani, si sono avute forti fughe di capitali e corse agli sportelli per ritirare contante. Erano dovute in larga parte al timore che il sistema bancario del paese in difficoltà venisse travolto e non fosse più in grado di risarcire i depositanti. leggi tutto

L’Europa in piazza contro il TTIP. Breve esegesi di un accordo che per alcuni promette e per altri minaccia di cambiare il (nostro) mondo.

Dario Fazzi * - 31.10.2015

Poche settimane fa, mentre a Roma il dibattito pubblico si concentrava su ricevute fiscali sospette e rimborsi apparentemente inopportuni, generando in tal modo manifestazioni di piazza spontanee tese a rivendicare la buona fede del sindaco della città ovvero a chiederne dimissioni immediate, in molte altre capitali europee diverse migliaia di cittadini decidevano di occupare lo spazio pubblico per scopi e ragioni la cui portata e le cui implicazioni ridimensionano non di poco l’agone romano.

 

Oltre 250.000 persone a Berlino, diverse decine di migliaia ad Amsterdam e Bruxelles, assieme a svariate centinaia a Parigi, Helsinki, Varsavia, Praga, Madrid e Atene, sono state coinvolte in un’imponente manifestazione di protesta contro i negoziati che dovrebbero portare alla firma di un trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, noto ai più con l’acronimo inglese TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).

 

Per buona parte del pubblico europeo, il TTIP è assurto leggi tutto

Perché’ in Italia non c’è Podemos?

Andrea Betti * e Gabriel Echeverria ** - 29.10.2015

La crisi economica e politica degli ultimi anni ha fatto riesplodere nel seno della sinistra europea le antiche divisioni e contrapposizioni fra coloro che ambiscono a governare il sistema capitalista e globalizzato cercando di renderlo più giusto e coloro che invece propongono di sfidarlo cercandone un’alternativa. Dal Mediterraneo all’Inghilterra riemergono con forza i dibattiti intorno al significato stesso del “essere di sinistra” e sulla strategia che dovrebbero seguire i partiti progressisti per vincere le elezioni e governare.

Da una parte vi è chi propone di “andare verso il centro”, nel senso di ampliare la propria base elettorale per catturare segmenti di votanti non del tutto identificabili con la sinistra storica. Pare essere questo il caso di Manuel Valls in Francia e, come vedremo, di Matteo Renzi in Italia. Dall’altra parte, si giudicano gli esempi precedenti come deviazioni dalla missione storica della sinistra di combattere il capitalismo in favore di una maggiore uguaglianza economica e si mettono insieme movimenti e coalizioni politiche che si propongono di sfidare frontalmente la austerità di Bruxelles. Rispondono, o hanno risposto, a tale intento, il progetto iniziale di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis in Grecia, oggi ritornato nei ranghi della disciplina europea dopo il defenestramento del Ministro delle Finanze leggi tutto

Bosnia: i primi venti anni degli accordi di Dayton.

Christian Costamagna * - 27.10.2015

Il prossimo novembre si celebrerà il ventesimo anniversario degli Accordi di Dayton, ossia il trattato di pace facilitato dall’amministrazione americana di Bill Clinton che pose fino al conflitto in Bosnia ed Erzegovina (ed in Croazia). In molte sedi si sono tenuti e si terranno convegni, conferenze e seminari sul tema, ma come si presenta, oggi, la situazione in Bosnia ed Erzegovina?

Venti anni or sono, gli Accordi di Dayton vennero avallati e favoriti sia dalla Comunità internazionale, sia dagli attori locali e regionali. Gli Stati Uniti dimostrarono che l’Europa non era in grado, da sola, di gestire i conflitti in casa propria. Il mantenimento di uno stato bosniaco formalmente unitario, all’epoca venne interpretato come un chiaro monito, ossia che non era concesso mutare con la forza i confini internazionali (perché la Bosnia ed Erzegovina, dopo l’indipendenza, venne riconosciuta come membro dell’ONU), ed in secondo luogo non si voleva far passare l’idea che la Comunità internazionale favorisse la creazione di stati monoetnici, e si evitò, peraltro, la creazione di un piccolo stato musulmano in Europa (per quanto queste interpretazioni possano, ovviamente, essere opinabili). Tra i firmatari degli accordi di pace, il Presidente della Croazia Franjo Tudjman ed il Presidente della Serbia Slobodan Milosevic (oltre, ovviamente, ad Alija Izetbegovic), leggi tutto

I 70 anni dell’ONU

Miriam Rossi - 24.10.2015

70 anni e non sentirli? Non sembra il caso dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che quest’oggi raggiunge tale veneranda età incurvata dal peso di problemi insoluti e mille preoccupazioni. Da quel 24 ottobre 1945 quando i 51 Stati fondatori decretarono l’entrata in vigore del suo Statuto, il mondo intero sembra cambiato: la fine del colonialismo con l’accesso all’indipendenza di numerosi Stati afro-asiatici, la divisione del mondo nei blocchi contrapposti della guerra fredda e la ricomposizione dello stesso con il passaggio all’era della “globalizzazione”, l’avvento della rivoluzione informatica, la creazione di organizzazioni regionali e l’impressionante sviluppo di diverse aree del “sud” del pianeta. E se l’Organizzazione è stata solo in parte artefice di questi cambiamenti, sicuramente nel tempo ha assurto il ruolo di attenta osservatrice, continuando a fungere da arbitro delle controversie, da incubatore e promotore di piani di sviluppo globale, e da codificatrice del diritto internazionale. Una funzione insostituibile, anche nell’immaginario dei suoi detrattori, come forum di dialogo globale e punto di riferimento perenne per i governi nella promozione della pace, delle libertà e della giustizia.

Tuttavia sono evidenti i limiti dell’ONU. Limiti determinati, piuttosto che da inefficienze gestionali, dalla scarsa propensione degli Stati membri, ad oggi 193, a cedere porzioni della propria sovranità all’Organizzazione multilaterale. leggi tutto

Cosa succede tra Roma e Bruxelles?

Paolo Pombeni - 22.10.2015

Lo scambio aspro di opinioni (chiamiamole così) fra Roma e Bruxelles merita qualche considerazione perché a nostro avviso è una ulteriore spia della crisi che attraversa l’Unione Europea come istituzione. Non andiamo lontani dal vero se lo inquadriamo nell’eterna questione dello scontro fra “sovranisti” e “comunitaristi”, cioè fra coloro rifiutano di considerare Bruxelles come il potere para-federale a cui le nazioni sovrane devono far riferimento e coloro che invece quel potere vorrebbero vedere riconosciuto e se possibile rafforzato.

Naturalmente non ci sfugge che questo rizzar di code nelle euroburocrazie arrivi perché si sta parlando di Italia. Nulla di simile si era visto contro interventi ben più significativi che si rifacevano alla sovranità nazionale da parte della Gran Bretagna o della Corte Costituzionale tedesca. Ad essere maligni verrebbe da pensare che dipenda dal peso che le rappresentanze di quei paesi hanno nella alta burocrazia europea dove invece gli italiani sono sottorappresentati (e secondo alcuni molto timidi nel reclamare le loro radici nazionali). Noi non vogliamo far peccato e col rischio di sbagliarci respingiamo questa ipotesi e più banalmente osserviamo che quei paesi hanno un peso politico maggiore del nostro.

Ci interessa di più promuovere una riflessione su una ragione profonda di questo scontro fra i burocrati di Bruxelles e i politici di Roma. Si sarà notato l’imbarazzo dei vertici della commissione che sono di estrazione politica, i quali si sono esibiti nel funambolico gioco di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte. leggi tutto

Sciences Po, specchio della Francia?

Michele Marchi - 20.10.2015

Il FN conquista Sciences Po? Espresso in questo modo il concetto è mal posto e può essere derubricato a livello di boutade mediatica. Se si decide di affrontare la questione con attenzione e fuori dal gioco degli slogan, allora si fa interessante.

Prima di tutto i fatti, di per sé non eclatanti. FN Sciences Po ha rapidamente raccolto le 120 adesioni necessarie per diventare una delle numerose associazioni (politiche, culturali, sportive) accreditate in uno dei più famosi e prestigiosi istituti di formazione universitaria e post-universitaria a livello mondiale, almeno per quello che concerne le scienze umane, la politologia e la storia politica. Dunque come ha prontamente dichiarato il suo direttore, Frédéric Mion, siamo di fronte alla conferma della vocazione aperta e pluralista di questa grande istituzione, erede dell’Ecole Libre de Sciences Po, poi rifondata nel post ’45 dalla coppia De Gaulle-Debré, dando origine all’Institut d’études politiques e alla Fondation Nationale des Sciences Politiques.

È ugualmente vero che non si è di fronte ad una “prima assoluta”. Nei tardi anni Settanta, il Groupe d’Union Défense (molto attivo nelle facoltà parigine di diritto) aveva avuto al 27, rue Saint-Guillaume una sua rappresentanza e lo stesso si può dire del Cercle National, leggi tutto

La politica che cambia

Nicola Melloni * - 13.10.2015

La recente vittoria di Corbyn alle “primarie” del Labour inglese ha colto di sorpresa quasi tutti i commentatori. Corbyn era considerato una candidatura di bandiera, senza alcuna speranza di vittoria. Ora, gli stessi che lo davano per sconfitto certo, prevedono un futuro nebuloso per il Labour, troppo a sinistra per essere un avversario credibile per Cameron. Sembra però che sia i media che i politologi facciano ancora fatica a comprendere ed a tenere il passo con un cambiamento radicale che sta trasformando il panorama politico.

Il crollo economico e finanziario, l’austerity, la paralisi politica e la crisi di legittimità dei regimi democratici hanno contribuito a creare fenomeni nuovi, troppo spesso bollati semplicemente come anti-sistema: i movimenti secessionisti, dalla Scozia alla Catalogna; i partiti nuovi che rigettano la vecchia distinzione destra e sinistra e cercano di trovare elettori tra i delusi della politica tradizionale, come il Movimento Cinque Stelle e Podemos; la crescita di formazioni di destra e sinistra già esistenti ma non compromessi con i passati regimi, da Syriza al Front National; e la radicalizzazione di partiti tradizionali, come il Labour a guida Corbyn, ma anche il Partito Repubblicano americano influenzato dai Tea Party, per esempio. 

Tutte queste evoluzioni stanno mettendo in crisi il sistema bi-polare e ci costringono a ripensare alla maniera a cui eravamo abituati a guardare alla politica. leggi tutto