La “Barcaccia” danneggiata dagli hooligans olandesi
Quanto è avvenuto nella Capitale italiana la scorsa settimana nei due giorni che hanno preceduto la partita di Europa League tra gli olandesi del Feyenoord e la Roma non si può liquidare dicendo semplicemente che nel calcio se ne sono viste di peggio – e chi dice così, di solito pensa ai 39 morti e ai circa 600 feriti nello stadio Heysel di Bruxelles, il 29 maggio 1985, provocati dalla guerriglia messa in atto dagli hooligans che seguirono il Liverpool, nella finale di Champions contro la Juventus; e il tifoso di buona memoria ne potrebbe aggiungere molti altri ancora, di tragici fatti generati dal tifo violento, dentro e fuori gli stadi.
Però quello avvenuto a Roma presenta una nota di particolare tristezza e preoccupazione. Da un lato fortunatamente non si lamentano morti, anche se si contano una quarantina di poliziotti feriti, ma i danni provocati intenzionalmente a una fontana unica al mondo, che fu realizzata nel 1629 dai fratelli Bernini e posta in piazza di Spagna, ai piedi della scalinata che sale a Trinità dei Monti –un monumento di rara bellezza e fantasia, che ha preso spunto da uno scafo, abbandonato dal Tevere in piena nel 1598.
Quanto è avvenuto a Roma in febbraio non può non provocare sconcerto e preoccupazione. È la triste conferma che la bellezza è priva di difese contro chi vuol esprimere disprezzo verso tutto e tutti, che mira a offendere chi sta ospitando e a ferirlo nell’animo. Perché? Quale nesso ha con una partita di calcio?
Certo, è un vandalismo ingiustificato, favorito dallo stato di ebbrezza cui spesso si abbandonano i tifosi del Feyenoord; in tal modo si preparano al combattimento contro altri tifosi. Essi stessi la chiamano “violenza alcoolica”.
Ma chi sono questi tifosi violenti? La pericolosità sociale dei supporter olandesi è nota da tempo, ed è stata oggetto di studi scientifici da parte di sociologi e psicologi sociali come W. Veugelers, H. van der Brug e J. Meijs, i quali fin dai primi anni ’80 avevano mostrato che essa è un modo, anche se distorto e pericoloso, di partecipare attivamente alla partita. Diversamente dallo spettatore tradizionale, che allo stadio si limita a seguire la partita seduto in tribuna o in curva, o anche dal salotto di casa tramite la tv a pagamento, i tifosi attivi si organizzano per “dare spettacolo” in prima persona, ad esempio intonando cori, agitando striscioni o sciarpe, accendendo e lanciando razzi, e talora venendo alle mani con i tifosi della squadra avversaria. In breve “La violenza tra i diversi gruppi giovanili è…parte integrante della loro partecipazione alla partita: con il loro comportamento essi credono di poter influenzare il risultato”, scriveva van der Brug nel 1981 (tr. it. in Calcio e violenza in Europa, a cura di A. Roversi, il Mulino, Bologna 1990: 123).
Ecco una prima chiave interpretativa dei danni provocati dagli olandesi violenti alla “Barcaccia”. Questo sfregio alla città è stato un modo per intimorire i calciatori della Roma e così spianare la strada a un risultato più favorevole sul campo –e in effetti il Feyenoord è uscito imbattuto dallo Stadio olimpico.
Ma cosa si può fare per ridurre o, meglio, eliminare la violenza dentro e fuori gli stadi? L’Olanda fin dal 1977 ha creato Commissioni di studio e messo alla prova misure di contenimento e di prevenzione, dalla erezione di cancellate negli stadi capaci di impedire che le opposte tifoserie entrino in contatto, a tornelli posti alle entrate in grado di “filtrare” i tifosi, a incontri fra dirigenti e tifosi per migliorare i rapporti e così facilitare il dialogo e pure l’assunzione di responsabilità. L’esperienza successiva ha però mostrato i limiti che ciascuno di questi rimedi ha; il principale è che le misure di contenimento hanno indotto i facinorosi a eleggere come luogo delle violenze non più lo stadio, ma la città ospitante. Come gli scontri fra tifosi della Roma e del Napoli avvenuti nella Capitale il 3 maggio scorso vicino a Ponte Milvio e in cui morì Ciro Esposito, purtroppo, hanno di recente dimostrato anche in Italia.
La violenza dei tifosi è un fenomeno sociale complesso; per contrastarlo efficacemente occorre fare attenzione agli effetti imprevisti o perversi, che si potrebbero generare da iniziative prese a tavolino. Ad esempio, giornali e tv, specie italiani, hanno dato ampio risalto alla notizia del danneggiamento della “Barcaccia”: ma se qualcuno pensa che lo sdegno di una nazione – non solo l’Italia, ma anche l’Olanda, che tramite i responsabili sia del Feyenoord sia del Governo hanno condannato senza attenuanti l’avvenuto, pur rinviando per il pagamento dei danni alla responsabilità individuale – sarà un modo per far vergognare di sé i colpevoli, dovrà ricredersi. Gli studi sociologici sui mass media e i tifosi violenti hanno dimostrato che questi si gloriano di apparire in tv mentre commettono violenze contro altri o mentre danneggiano beni pubblici; anzi, ne traggono un tornaconto personale, ad esempio aumenta la loro reputazione nella banda di tifosi violenti e vengono riconosciuti come capi, ricevendo omaggi e altri benefits, simbolici e/o materiali.
Certo, l’ubriacarsi per attenuare l’auto-controllo e la mancanza di vergogna per le violenze compiute denota una perdita di senso morale, e tutto ciò può essere spiegato tramite indagini sulle lacune nella crescita dei tifosi violenti stessi, ad esempio l’assenza di un effettivo controllo sociale da parte di genitori e parenti, o anche l’esito negativo degli studi compiuti, dal mancato conseguimento di un titolo superiore all’abbandono scolastico precoce, che porta a non trovare lavoro o a trovare solo mansioni poco qualificate; esito che porta taluni a delinquere.
Sarebbe però troppo facile spiegare il tifo violento come uno degli esiti della disintegrazione sociale odierna, o anche della semplice diversificazione culturale. In realtà è cambiato il calcio, che da “gioco” è diventato “spettacolo”, ovvero un divertimento-intrattenimento che attrae milioni e milioni di persone in Italia, e miliardi nel mondo. Ciò ha comportato, da un lato, la crescita di rilevanza sociale e l’arrivo di molto denaro ai club; dall’altro ha portato a sostituire il divertimento e il fair play con un’etica utilitaristica, in cui conta solo la vittoria.
Rinus Michels, l’allenatore della nazionale olandese che negli anni ’70 inventò il “calcio totale”, una volta disse che “il calcio è guerra”. È, questo, un modo un po’ crudo, ma di certo chiaro ed efficace, per esprimere il quadro dei nuovi valori emersi nel calcio di oggi – in realtà sono i valori di barbari! Anche se costoro sono ricchi proprietari di club e vestono alla moda, quando minacciano di licenziare allenatori se non vincono sempre le partite, si comportano come capi guerrieri di un’orda vandalica. Lo stesso fanno gli allenatori, quando ordinano alla propria squadra di non badare al bel gioco, ma solo al risultato. Pure i calciatori si adeguano ai valori barbarici, quando ricorrono a falli o mettono a rischio la salute, propria e altrui, per fermare l’attaccante avversario che si sta avvicinando pericolosamente alla propria porta.
Nel quadro di questa trasformazione negativa dei valori nel calcio e nella società postmoderna, il morso dato alla spalla di Giorgio Chiellini da Luis Suarez, nel corso della partita Uruguay-Italia disputata ai recenti Mondiali in Brasile, è un fatto spiacevole ma coerente: è la reazione violenta di un attaccante al controllo efficace del difensore che gli impedisce, peraltro correttamente, di segnare. È anche l’espressione del profondo disagio che prova lo stesso Suarez, obbligato a segnare e a vincere, altrimenti potrebbe perdere i contratti firmati con le multinazionali del calcio –con Adidas e con altri sponsor personali, che gli hanno offerto contratti milionari.
Decisamente, solo l’analisi del “triangolo SMS”, ovvero delle relazioni sociali che negli ultimi anni si sono rafforzate tra sport mass media e aziende sponsor, potrebbe spiegare molte cose, che a prima vista paiono incomprensibili, frutto di ubriachezza o di violenze casuali – in realtà sono azioni di guerriglia pianificata. A cominciare dagli sfregi alla “Barcaccia”, questo splendido monumento della bella piazza di Spagna, testimone della civiltà romana e cattolica, cioè universale.
* Ordinario di Sociologia dei processi culturali – Univ. Di Bologna; Responsabile dello SportComLab dell'Alma Mater
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