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Parigi e la legge del terrorismo

Domenico Tosini * - 26.11.2015

Gli attentati di Parigi del 13 novembre seguono la medesima logica del massacro di Charlie Hebdo da parte dei fratelli Kouachi e degli omicidi commessi da Amedy Coulibaly (entrambi dello scorso gennaio). È la stessa logica degli attentati di Madrid 2004 e di Londra 2005 (e di una serie di tentativi di attentati in Europa e in Nord America cui abbiamo assistito negli ultimi anni). Nella complessa varietà delle cause di questi fatti, possiamo isolare la legge del terrorismo: colpire bersagli civili (dei Paesi nemici come la Francia) per compensare l’inferiorità militare che lo Stato Islamico (ISIS) si trova ad affrontare in Iraq e Siria. È in altre parole la legge infernale della guerra asimmetrica, nella quale sono da anni impantanati i Paesi occidentali in lotta contro al-Qaeda e i gruppi affiliati.

È il caso di Madrid 2004: un attacco con l’obiettivo (conseguito) di spingere la Spagna al ritiro del proprio esercito dall’Iraq. O il caso di Londra 2005: l’azione di quattro kamikaze con l’intento di contrastare l’intervento britannico anzitutto (ancora una volta) in Iraq. E lo stesso per Parigi nel gennaio scorso: almeno per l’attentato di Coulibaly, un video-testamento documenta la propria fedeltà all’ISIS e l’intenzione di reagire ai bombardamenti occidentali contro le sue milizie. E così anche per la strage del 13 novembre: varie rivendicazioni su Internet e alcune testimonianze leggi tutto

Il 13 novembre e le incognite sul “ritorno” della politica

Michele Marchi - 24.11.2015

Come accaduto dopo l’attacco dell’11 gennaio, François Hollande si sta mostrando in grado di gestire le emergenze. In condizioni ancora peggiori rispetto ad inizio anno il presidente ha, ancora una volta, trovato le parole giuste e l’approccio in grado di unire fermezza e compassione. Ha saputo sino ad oggi incarnare il ruolo di guida e di chef de guerre, ma allo stesso tempo ha mostrato compostezza ed empatia. Insomma, di fronte all’emergenza, ha archiviato l’idea, di inizio mandato, della “presidenza normale” (ben presto tramutatasi in “presidenza trasparente”) per trovare una posture indispensabile in un momento di drammaticità paragonabile soltanto a quelli vissuti da de Gaulle nei momenti più delicati della guerra d’Algeria.

Hollande, sin dalle prime ore, ha utilizzato la giusta tattica: fermezza (stato di urgenza, convocazione del Congresso e revisione della legge sullo stato d’assedio del 1955) e distacco dalle possibili polemiche a livello interno, lasciate da gestire al Primo ministro Valls. Ha poi proseguito con un richiamo, formale più che sostanziale, alle istituzioni internazionali (Onu ed Unione europea), garantendosi autonomia nel colpire l’Isis in Siraq, con l’obiettivo in realtà di coordinarsi principalmente con Usa e Russia. Sarà il tempo a dire se saprà trasformare questa tattica in una coerente strategia di medio termine e non poco conteranno anche i risultati a livello investigativo (in Francia e in Belgio) e militare (rispetto al Califfato). Quello che in questa fase ci interessa rilevare è che il presidente è tornato ad occupare completamente la scena a livello di politica interna e ciò implica che, se riuscisse a stabilizzare tale condizione, si garantirebbe la candidatura alla sua successione nel 2017. leggi tutto

Il tabù infranto

Reinhold Gärtner * e Günther Pallaver ** - 24.11.2015

Nel 2015 si è registrato in Austria un piccolo ma significativo test elettorale: in quattro delle nove regioni federali si è votato per il rinnovo dei relativi consigli e i risultati erano attesi con molto interesse. In due regioni – Stiria e Burgenland – tale elezione per la prima volta non ha seguito il principio proporzionale; esso prevede che tutti i partiti che raggiungono un determinato numero di voti vengano coinvolti nel governo regionale in proporzione alla loro consistenza elettorale. Oltre a questo motivo di interesse, nelle elezioni in Alta Austria e a Vienna è stato possibile registrare gli effetti sul voto della questione dei profughi, che domina ormai da diversi mesi il dibattito politico. Essa ha giocato in primo luogo a favore della FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs).  

Elezioni regionali 2015

 

SPÖ

ÖVP

FPÖ

Verdi

Neos

Burgenland  2015

41,9%

- 6,4%

29,2%

-5,5%

15,0%

+6,1%

6,4%

+2,3%

2,3%

non pres.

Stiria 2015

29,3%

-9,0%

28,5%

-8,8%

26,7%

+16,1%

6,7%

+1,1%

2,6%

non pres.

Alta Austria 2015

18,4%

-6,6%

36,4%

-10,4%

30,4%

+15,1%

10,3%

+1,1%

3,5%

non pres.

Vienna 2015

39,6%

- 4,7%

9,2%

- 4,8%

30,8%

+ 5,0%

11,8%

- 0,8%

6,2%

non pres.

 

I Verdi sono sostanzialmente rimasti sulle loro precedenti posizioni con una leggera perdita a Vienna e modesti avanzamenti nelle altre tre regioni. Per i popolari della ÖVP (Österreichische Volkspartei) e per i socialdemocratici dell’SPÖ (Sozialdemokratische Partei Österreichs) le elezioni hanno invece rappresentato una deprimente sconfitta, a fronte della clamorosa vittoria della FPÖ. La lista NEOS (Das Neue Österreich), un partito liberale fondato nel 2012, che aveva partecipato per la prima volta e con successo alle elezioni politiche del 2013, leggi tutto

Le parole e la politica, a una settimana dagli attentati di Parigi

Giovanni Bernardini - 21.11.2015

Una settimana ci separa dagli eventi parigini. Una settimana febbrile, che ha segnato tutto fuorché l’improbabile ritorno alla normalità evocato da più parti. Una settimana in cui le conseguenze della notte di sangue hanno monopolizzato l’informazione sotto forma di raid e di arresti, di ritorsioni belliche più rabbiose che mirate, di provvedimenti d’emergenza invocati e discussi. Di falsi allarmi, che più di ogni altra cosa danno la misura delle ripercussioni sulla vita quotidiana dei cittadini europei, dall’annullamento di incontri di calcio fino alla miriade di segnalazioni di pacchi, automobili, individui “sospetti” che sarebbero passati inosservati solo pochi giorni fa. Un panorama sfavorevole a valutazioni che non cedano alla pur comprensibile emozione, e il profluvio di commenti espressi da ogni parte sembra innanzitutto denunciare la mancanza del lessico adeguato a rappresentare la novità di quanto accaduto, e delle categorie mentali necessarie a organizzare un pensiero propositivo per il futuro. Difficile considerare altrimenti l’approssimazione acritica con cui concetti come “guerra” e “terrorismo” vengono reiterati nel discorso politico, portandosi dietro connotazioni evidentemente appartenenti al passato che non rispecchiano più la nostra quotidianità. Ma l’anacronismo in frangenti simili è un peccato di pigrizia e un lusso che non ci si può concedere, come dimostrano tre lustri di opinabili iniziative belliche che hanno seguito l’11 settembre statunitense e che in parte sono alla radice dei problemi attuali. leggi tutto

Balcani e Turchia, arrivano le pagelle della Commissione europea

Davide Denti * - 21.11.2015

A metà novembre la Commissione europea ha presentato i suoi Progress Report annuali sulla situazione nei paesi coinvolti nella politica d'allargamento – Balcani occidentali e Turchia. Un esercizio rinnovato, nelle intenzioni della Commissione, per abbandonare il gergo burocratico e farne uno strumento trasparente di comparazione degli sviluppi nei diversi paesi, utile alle società civili per chiedere conto ai propri governi.

 

I rapporti escono con qualche settimana di ritardo rispetto al previsto. Un ritardo dovuto agli sviluppi della crisi dei profughi, secondo Bruxelles (l'ultimo vertice tra i capi di governo della regione e la Commissione si è tenuto solo lo scorso 8 ottobre) ma potrebbe anche avere a che fare con la nuova tornata elettorale del 1° novembre in Turchia. La Commissione avrebbe preferito aspettare, prima di dare le sue valutazioni sugli sviluppi politici in Turchia: un regalo ad Erdogan secondo alcuni, una mossa di autodifesa per evitare di essere risucchiati nelle polemiche politiche turche per gli altri.

 

E in effetti la relazione della Commissione sulla Turchia non è leggera, e non ha mancato di sollevare le proteste del nuovo governo AKP. Bruxelles da una parte rimarca “l'aiuto umanitario senza precedenti” offerto dalla Turchia leggi tutto

Quale integrazione sociale degli immigrati nella società francese? Lo Stade de France, primo obiettivo dei terroristi a Parigi

Stefano Martelli * - 21.11.2015

La crudele regia della mente criminale che ha pianificato i 6 attentati terroristici a Parigi ha scelto lo Stade de France come il suo primo obiettivo. Non era una partita qualsiasi, quella che venerdì 13 novembre era iniziata da pochi minuti: in campo si affrontavano, anche se solo per una amichevole, le Nazionali di calcio di Francia e Germania, ovvero dei due Stati che da anni sono, di fatto,  alla guida dell’Unione europea. In tribuna sedeva il Presidente Hollande e sugli spalti sedevano circa 80.000 spettatori. Il fatto che i controlli di sicurezza abbiano impedito ai due attentatori di entrare e che poi questi si siano fatti esplodere fuori, peraltro causando una sola vittima, non diminuisce la rilevanza simbolica dell’obiettivo ISIS. Quale modo migliore per seminare il terrore in città e, a raggio più ampio, in due nazioni europee e, al tempo stesso, per colpire al cuore il gioco del calcio  --un passatempo consumistico, indegno di veri uomini, quali reputano di essere i guerrieri dell’ISIS?

Lo Stade de France, poi, non è solo uno dei molti impianti sportivi che la Francia possiede e che sono ormai pronti per ospitare “Euro 2016”, il torneo internazionale di calcio, che all’inizio della prossima estate appassionerà centinaia di milioni di persone nell’intero continente europeo. leggi tutto

La politica in Italia dopo la strage di Parigi

Paolo Pombeni - 19.11.2015

I recenti attentati terroristici di Parigi che riflessi avranno sulla politica italiana? La domanda circola, ma la risposta è tutt’altro che facile. Innanzitutto perché non sappiamo ancora se quel che è accaduto è un episodio destinato a rimanere circoscritto o se sarà l’inizio di una “campagna” (per usare un vecchio termine politico-militare) che si estenderà nel tempo e che avrà una sua logica e una sua strategia di lungo periodo. Ovviamente l’uno o l’altro scenario cambierebbe non poco le coordinate dell’evoluzione della nostra politica.

Al momento abbiamo solo visto in Italia un sistema che ha reagito su un doppio binario: una certa capacità di dominio degli eventi da parte del governo, un populismo sciatto e provinciale nelle opposizioni. Queste ultime ovviamente hanno offerto tutto uno spettro di comportamenti: dalle intemerate da talk show di Salvini (ma ormai ci siamo abituati: oltre quello sembra non riesca ad andare), alle vaghezze dei Cinque Stelle (ritirare i soldati dall’Afghanistan è un non senso), alla sostanziale incapacità di presenza dell’arcipelago berlusconiano (il mantra del “coinvolgiamo la Russia” non è molto originale).

Bisogna invece riconoscere che Renzi è stato in questo caso particolarmente sobrio: ha evitato qualsiasi tono enfatico, ha sottolineato passaggi di buon senso (evitiamo di creare una Libia bis), ha dato l’impressione che si deve lavorare molto a livello di relazioni internazionali lasciando perdere gli annunci ad effetto. Va aggiunto che lo hanno sostenuto bene anche i principali ministri: serio e credibile Gentiloni, ma lo stesso Alfano, chiuso il pollaio polemico con Salvini (che poteva risparmiarsi), ha illustrato prese di posizioni equilibrate e realistiche. leggi tutto

Un salto di qualità

Michele Marchi - 17.11.2015

E’ difficile scrivere a meno di tre giorni da uno dei più terribili attacchi subiti da un Paese europeo dall’avvio della folle guerra lanciata dal fondamentalismo di matrice islamica nel triste giorno di fine estate del 2001.

È complicato provare a fare un minimo di chiarezza quando le indagini sono appena avviate, quando i servizi di vari Paesi parlano di altre minacce imminenti e quando non tutti i responsabili dell’immane carneficina di Parigi sono stati arrestati.

Eppure alcune considerazioni, seppur provvisorie, cominciano ad emergere e sembrano tutte legate a quel “salto di qualità” scelto come titolo.

Un “salto di qualità” lo hanno compiuto gli attentatori del 13 novembre. La modalità dell’attacco simultane, in luoghi differenti della città era stato, solo in parte, sperimentato a Londra nel 2005, ma non con questa intensità e questa capacità operativa dei gruppi di fuoco. I molteplici assalti di Parigi ricordano l’esempio extra-europeo degli attentati di Mumbai nel 2008, quando una decina di differenti gruppi di fuoco impegnò le forze di sicurezza indiane per 60 ore, provocando quasi duecento morti e circa 300 feriti. È più che legittimo, allora come oggi, parlare di guerra, prima di tutto perché di un’operazione di guerriglia in centro abitato si è trattato. Si può aggiungere poi un secondo, ancora più drammatico, “salto di qualità”: l’utilizzo di kamikaze. Da questo punto di vista le strade di Parigi si sono trasformate, si spera solo per una notte, in quelle che di solito ci appaiono così distanti, così altro da noi: Baghdad, Kabul o Tel Aviv. leggi tutto

Raqqa-Parigi-Raqqa

Le informazioni sulla dinamica degli attentati che hanno colpito Parigi ricostruiscono un’operazione tanto complessa nel suo coordinamento quanto semplice nella sua logica criminale: colpire tre spazi che contraddistinguono la socialità pubblica di Parigi, colpire tutte le persone che le frequentano, indipendentemente da religione, lingua o provenienza, perché “colpevoli” di partecipare ad una socialità che gli attentatori ritengono simbolizzi il nemico. Per l’organizzazione dello Stato islamico (Daesh, acronimo arabo) ora la Francia rappresenta un nemico, come altri Paesi europei.

Sebbene vi siano state delle incongruenze iniziali tra la rivendicazione di Daesh e altri sui canali “ufficiali” di comunicazione, non stupisce che sia l’organizzazione ad esserne il mandante. Dall’estate del 2015, infatti, Daesh è sotto pressione: quelle forze regionali ed internazionali che per anni hanno lasciato che l'organizzazione combattesse prima in Iraq e poi in Siria in funzione anti-iraniana non ne controllano più le azioni e le ambizioni; alcune decidono di "contenerla", e ne subiscono gli attacchi.

Nell’estate del 2015 Daesh ha conquistato Ramadi, il capoluogo della provincia irachena di al Anbar, fulcro e luogo originario dell’organizzazione; si volge poi ad ovest e conquista la città siriana di Tadmur, Palmira, fino a lambire la grande arteria che lega da nord a sud Damasco e Aleppo. In tutti questi casi, leggi tutto

Cinque questioni attorno al voto regionale francese del 6-13 dicembre 2015

Michele Marchi - 12.11.2015

Ad un mese circa dal primo turno del voto regionale francese è giunto il momento di sottolineare la grande importanza di questo appuntamento elettorale. Almeno per cinque ragioni si può parlare di un passaggio cruciale.

  1. Prima di tutto ci si trova di fronte all’ultimo scrutinio prima del voto presidenziale della primavera 2017. Dopo le europee e le municipali del 2014 e le dipartimentali del 2015, il quinquennato di Hollande non vedrà più elezioni prima della sfida del 2017. È dunque evidente che l’esito delle regionali avrà importanti ricadute sulla lunga campagna elettorale che, per certi versi, attende solo questo ultimo passaggio elettorale per decollare.
  2. La seconda questione cruciale riguarda proprio François Hollande e in seconda battuta il PS. Nell’estate 2012 il PS controllava tutte le principali cariche del Paese, dall’Eliseo appena conquistato all’Assemblea nazionale e al Senato, così come tutte le regioni (eccetto l’Alsazia) e la maggioranza dei comuni e dei consigli dipartimentali. Ogni elezione successiva al voto presidenziale del 2012 è stata una debacle per il potere socialista. I vari passaggi elettorali si sono caratterizzati in larga parte come voto sanzione proprio nei confronti dell’inquilino dell’Eliseo. Il suo livello di popolarità è in costante calo e una delle più recenti rilevazioni (Baromètre Le Figaro) parla del 15% dei cittadini che hanno totale fiducia del presidente, contro l’82% che nutre sfiducia nei suoi confronti.
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