Ultimo Aggiornamento:
12 febbraio 2025
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Argomenti

Elezioni in Spagna: tutto cambia o tutto rimane come prima?

Andrea Betti * e Gabriel Echeverría ** - 15.12.2015

Solo un anno fa, le elezioni di domenica prossima venivano descritte come l’evento che avrebbe potuto cambiare in maniera radicale la democrazia spagnola. La sorprendente crescita di Podemos, partito nato nelle piazze indignate di Madrid e Barcelona, sembrava presagire non solo la fine del bipartitismo che aveva governato sin dalla transizione democratica, ma una vera e propria rivoluzione politica per il Paese. Sulla scia del successo di Syriza in Grecia, Pablo Iglesias puntava ad un risultato che gli permettesse di andare al governo e poter così sfidare l’austerità della Troika. Oggi, a pochi giorni dal voto, il quadro appare decisamente più incerto e chi si augurava cambi radicali potrebbe rimanere deluso.

 

Ma torniamo ad un anno fa. L’effetto combinato della crisi economica, dei tagli alla spesa pubblica e di una serie di scandali di corruzione determinarono una forte delegittimazione del Partido Popular (PP) e del Partido Socialista Obrero Español (PSOE) che si alternano al governo dal 1982. Nel momento più grave della crisi economica, con circa un quarto della popolazione attiva senza lavoro, la rabbia e il malcontento dell’elettorato ricaddero sui due partiti maggiori, ritenuti, a torto o ragione, i responsabili della disfatta spagnola.

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L'analisi del sabato. Appunti sul voto in Europa

Luca Tentoni - 12.12.2015

Nell'analisi politica c'è spesso il rischio di incappare in alcuni indizi che "spiegano troppo". Ci sono circostanze, sia pure molto rilevanti, che però sono concause di un determinato fenomeno e che non bastano, da sole, a spiegarne la vera natura. Taluni hanno affermato, subito dopo il voto regionale francese del 6 dicembre, che l'avanzata del Fronte nazionale di Marine Le Pen era frutto della paura per gli attentati terroristici di Parigi. Forse sarebbe stato sufficiente riprendere alcuni sondaggi precedenti al 13 novembre e persino dati elettorali recenti significativi, per rendersi conto che c'era anche dell'altro. L'istituto Ipof, poi, ha diffuso un interessantissimo studio sul voto regionale dal quale si evince che solo il 16% degli elettori del FN ha cambiato intenzione di voto a seguito degli attentati. In altre parole, nel 28,4% ottenuto dai lepenisti c'è un 4,5% conquistato in seguito ai fatti di Parigi: ciò dimostra che il restante 23,9% era già acquisito o acquisibile anche senza il verificarsi di eccezionali eventi esterni al dibattito politico corrente. Alle elezioni europee del 2014, peraltro, il FN aveva ottenuto il 24,86% dei voti (prima ancora persino dell'attentato a Charlie Hebdo dello scorso gennaio, quindi). Nella vittoria dell'estrema destra francese non c’è solo la contingenza del terrore e neppure soltanto la linea "securitaria" di Marine Le Pen. leggi tutto

L’Italia e la lotta internazionale all’Isis a un mese dalle stragi di Parigi.

Massimo Bucarelli * - 10.12.2015

All’indomani dei tragici avvenimenti di Parigi del 13 novembre scorso, la maggior parte dei commenti di politici ed editorialisti si è concentrata su due aspetti della lotta che l’Italia e gli altri partner internazionali dovrebbero portare allo Stato islamico e alla sua strategia del terrore: 1) la creazione di una grande coalizione, composta dai paesi della UE, dagli USA e dalla Russia, insieme alle principali potenze regionali, come Iran, Arabia Saudita e Turchia, in grado di sconfiggere l’Isis sul piano militare; 2) isolare economicamente il Califfato, prendendo le distanze da quei paesi che si suppone stiano appoggiando l’Isis, attraverso traffici e affari di ogni genere con i suoi dirigenti.

Molti commentatori, inoltre, hanno censurato l’eccesso di prudenza del governo italiano, in particolare del presidente del Consiglio. Il premier Renzi, infatti, pur ribadendo con chiarezza la volontà di partecipare alla lotta contro il terrorismo islamista, ha allo stesso tempo invitato governi amici e alleati a inserire ogni eventuale intervento militare in un disegno strategico complessivo, volto a stabilizzare la regione e non semplicemente a eliminare un gruppo di potere per creare l’ennesimo vuoto politico, fonte di nuova anarchia e nuova conflittualità: in breve, non interventi affrettati, attuati soprattutto per dare una risposta all’opinione pubblica, giustamente spaventata e disorientata, leggi tutto

Ancora e sempre FN? Il primo turno delle regionali francesi

Michele Marchi - 08.12.2015

Per una volta i sondaggi sembrano aver interpretato correttamente la realtà. Anzi lo score del FN sembra aver superato le più rosee aspettative degli stessi dirigenti frontisti. Oltre il 28% a livello nazionale significa un ulteriore avanzamento rispetto al 24,9% delle europee e al 25,5% delle dipartimentali dello scorso marzo. L’affermazione del partito guidato dal 2011 da Marine Le Pen appare incontestabile: oggi il FN è il primo partito di Francia. Si può naturalmente obiettare che si è votato per elezioni regionali e che circa un francese su due si è astenuto (la partecipazione è comunque salita rispetto alle regionali del 2010 di circa tre punti percentuali e dai primi rilevamenti pare che, questa crescita, sia in larga parte avvenuta nelle aree di maggiore avanzamento frontista); ma è proprio la dimensione regionale del voto che, se osservata con attenzione, delinea un risultato ancora più sorprendente per il Front.

Le possibilità di vittoria finale di Marine Le Pen nella regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie sono più che reali. Con oltre il 40%, stacca di quasi sedici punti il candidato LR (l’ex ministro del governo Fillon Xavier Bertrand) e anche in caso di ritiro della lista socialista, giunta terza con appena il 18%, dovrebbe riuscire nella storica impresa di conquistare la regione. La situazione è simile per la nipote di Marine, Marion Maréchal-Le Pen, nella regione mediterranea PACA. Anche in questo leggi tutto

6-13 dicembre 2015: il “laboratorio francese” e le sue molte incognite

Michele Marchi - 05.12.2015

Se diffondersi in previsioni prima di un test elettorale è un’arte alla quale sempre più si sottraggono anche sondaggisti e politologi, a maggior ragione non pronosticabile appare l’esito del voto regionale francese del 6-13 dicembre prossimi.

Ben prima dei tragici eventi del 13 novembre scorso, l’annunciata dirompente vittoria della destra repubblicana guidata da Les Républicains di Sarkozy, era stata almeno in parte messa in dubbio sia dalla continua risalita del FN nei sondaggi, sia dai segnali di parziale ripresa della gauche almeno in alcuni contesti regionali del centro e dell’ovest del Paese. La rinnovata carta regionale, con il passaggio da 22 a 13 macro-regioni, è un elemento di novità che costituisce, senza dubbio, un fattore di ulteriore complicazione nella lettura del voto. I drammatici fatti di metà novembre hanno definitivamente sconvolto il quadro. Hanno messo intanto, per una decina di giorni, in secondo piano la campagna elettorale e contemporaneamente fatto risalire il livello di fiducia nel Presidente della Repubblica, impegnato nella lotta al terrorismo ed emblema di un diffuso spirito di union sacrée. Allo stesso tempo hanno reso ancora più centrali parole d’ordine quali sicurezza, lotta all’islamismo radicale, identità nazionale e contrasto all’immigrazione, tipiche della narrazione frontista e di conseguenza hanno così posto i partiti di governo (PS, LR e centristi) in una situazione ancora più complicata. leggi tutto

«Bastardi Islamici», il titolo di Libero e il limiti del giornalismo

Omar Bellicini * - 03.12.2015

«Bastardi Islamici». Non una chiacchiera da bar, e neppure la manifestazione di una ripulsa individuale, ma il titolo di apertura di un quotidiano nazionale con oltre 104mila copie di tiratura: Libero. La risposta, all’apparenza impulsiva, di certo smodata, all’orrore parigino del 13 Novembre. Forse non è opportuno indugiare su una scelta editoriale che è stata oggetto di una serie di denunce, nonché di una controversa proposta di radiazione dall’albo dei giornalisti professionisti per il direttore del giornale, Maurizio Belpietro. Ma occorre partire da questo episodio, per nulla isolato, ma indubbiamente eclatante, se si vuole affrontare una riflessione sulle libertà e sui limiti del giornalismo: tema delicato, poiché qui si intersecano (e come in questo caso si scontrano) la necessità di assicurare un ampio regime di autonomia all’informazione e quella di prevenire le conseguenze negative di un suo abuso. Partiamo da una premessa: chiunque conosca il mondo dei media sa che l’obiettività giornalistica è un mito che vive al di fuori dalla realtà, nell’empireo della narrazione anglosassone. Di fatto, non esiste. Non necessariamente per malizia, è nella natura delle cose: anche l’informazione più asettica presuppone una scelta di campo o quantomeno una visione specifica della realtà. La selezione delle notizie, la titolazione, il linguaggio: sono tutti aspetti che dipendono dal modo in cui si intende la società. leggi tutto

L'analisi del sabato. Lo "spirito repubblicano"

Luca Tentoni - 28.11.2015

Dopo l'attentato di Parigi la Francia ha dato prova di possedere ancora il suo "spirito repubblicano". Si tratta di un comune sentire del quale in Italia si è sempre lamentata la scarsità o l'assenza. Nel nostro paese, del resto, alcune ricorrenze che dovrebbero accomunare le parti politiche e i cittadini non sono sempre state pacificamente riconosciute come tali, prima fra tutti quella del 25 aprile. L'avvento della Seconda Repubblica, nel 1994-'96, ha soltanto accentuato divisioni che apparivano in precedenza ricomposte e che invece erano pronte a riproporsi in occasione della scelta fra un "polo" e l'altro. Certamente, la creazione di un "nemico" interno da additare ai propri sostenitori (il comunismo da una parte, Berlusconi dall'altra) non ha favorito una pacificazione nazionale che pure il presidente della Repubblica Ciampi, fra il 1999 e il 2006, ha tentato di promuovere. L’aggregazione in due “famiglie politiche” ha polarizzato l'elettorato e ha svolto una funzione divisiva che ha finito per colpire non solo i simboli del nostro patrimonio comune (dalle feste nazionali alla stessa Costituzione e alle istituzioni). Ad una più attenta analisi, però, appare riduttivo e sbagliato attribuire al sistema elettorale maggioritario uninominale (1994-2005) e alla personalizzazione della politica (con l'emergere di leader e di "partiti del capo") l'impossibilità di far nascere (o rinascere) in Italia lo "spirito repubblicano". leggi tutto

Clima: c'è qualcosa da aspettarsi da Parigi?

Paulo Lima * e Roberto Barbiero ** - 28.11.2015

Un vero appuntamento con la Storia. È questa l'aspettativa nei confronti della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, la COP21, che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre prossimo. Prevista la partecipazione di 50mila persone e di 25mila delegati ufficiali in rappresentanza di 196 Paesi. Già confermata la presenza di 117 leader mondiali, dall'americano Barack Obama e il cinese Xi Jinping alla brasiliana Dilma Rousseff e all'indiano Narendra Modi.

A dimostrazione che i cambiamenti climatici rappresentano oggi la sfida scientifica, economica, politica e morale più importante che l’umanità si trova ad affrontare. E Parigi può rappresentare una svolta in questa sfida data l’urgenza di affrontare gli impatti che si stanno già manifestando con conseguenze gravi specie nei Paesi più vulnerabili dal punto di vista sociale ed economico.

Se è vero che il clima del nostro pianeta ha subito diverse modifiche nel corso della sua storia, ciò che rende inedita la fase che stiamo vivendo è la velocità con cui il pianeta si sta riscaldando e il contributo dato dall’uomo nell’emissione di gas serra che non ha precedenti nella storia.

L'importanza della COP21 è dovuta proprio al fatto che da Parigi ci si aspetta l'adozione di un nuovo accordo globale sul clima e vincolante per tutti i paesi della comunità internazionale, da quelli industrializzati (come Stati Uniti e Unione europea) e maggiormente responsabili delle concentrazioni attuali di gas serra in atmosfera, leggi tutto

Risposte globali ai cambiamenti climatici. Dagli insuccessi del protocollo di Kyoto alla nuova strategia di Parigi

Elisa Magnani * - 28.11.2015

Grazie al protocollo di Kyoto il tema dei cambiamenti climatici ha assunto rilevanza globale, tanto da essere sempre più presente negli scambi economici e nelle relazioni politiche tra paesi, così come nelle strategie di cooperazione internazionale finalizzate allo sviluppo.

Come ha ricordato Ban Ki-Moon, quella dei cambiamenti climatici è la grande sfida della nostra epoca, e noi tutti dobbiamo impegnarci a giocare un ruolo, per quanto piccolo, in questa lotta, divenendo parti attive nelle strategie di mitigazione e adattamento nazionali e locali. Su questi temi si sta concentrando buona parte dell’attenzione mediatica in questa fine di 2015. Il 30 novembre, infatti, aprirà a Parigi la ventunesima Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, istituita nel 1992 durante la Conferenza di Rio de Janeiro su clima e ambiente - ed entrata in vigore due anni dopo – da cui nel 1997 è scaturito il Protocollo di Kyoto, il primo e più dibattuto accordo globale sul clima nella storia dell’umanità. Con stime allarmanti come quelle che prevedono un innalzamento delle temperature fino a 4 gradi centigradi entro il 2100, è chiaro che il tema riguarda tutti, dai paesi più industrializzati a quelli più poveri che, pur contribuendo in misura minore ai cambiamenti del clima globale, ne stanno comunque già sperimentando gli impatti ambientali ed economici. leggi tutto

Convergenze e resistenze

La guerra non è di per sé la "levatrice della storia" oppure un evento che trasforma in modo totale le società che ne sono coinvolte. Piuttosto la guerra e i conflitti armati sono dei potenti e drammatici acceleratori di processi di trasformazione già in corso. In Siria, la guerra ha accelerato i conflitti tra città e campagna, tra centri urbani e provinciali del Paese arabo; ha accelerato il disfacimento del vecchio regime ba'thista e riconfigurato le relazioni tra forze armate, stato e Partito, probabilmente a scapito di quest'ultimo; ha accelerato l'ascesa pubblica dell'Islam politico, dimostrando però la carica di divisione che questo porta nelle società secolarizzate o comunque plurali come quella siriana, irachena, tunisina o egiziana; ha accelerato la connessione politica tra due territori affini come Siria e Iraq; ha accelerato la politica di potenza tra Iran, Arabia Saudita, Turchia e Israele, offrendo un terreno di battaglia in cui scontrarsi "per procura"; ha accelerato la crisi delle politiche migratorie europee aggiungendo ai flussi "normali" quelli derivanti da conflitti armati; ha accelerato la crisi delle politiche migratorie europee, fomentando paure e xenofobie a favore di forze nazionaliste.

Ad oltre una settimana di distanza, possiamo chiederci se gli attacchi di Parigi hanno contribuito anche loro ad accelerare i processi in corso: la risposta sembra positiva. Le ripercussioni all’interno dell’Europa non sono qui oggetto di analisi, ma sembra che purtroppo aumenti il giro di vite sostanziale sulle libertà nello spazio pubblico e privato, se non addirittura tramite una modifica costituzionale come in Francia. leggi tutto