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11 dicembre 2024
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I 25 anni della riunificazione tedesca, ovvero della memoria divisa degli europei

Gabriele D'Ottavio - 06.10.2015
Riunificazione tedesca

Il 3 ottobre 1990 avveniva ciò che per decenni era apparso impensabile: la ricomposizione delle due Germanie all’interno di un’unica entità statuale. Gli europei ebbero la certezza che in loro presenza fosse terminata un’intera epoca. Diversi sono, però, i modi in cui questa cesura storica è stata recepita e poi rielaborata. In Germania s’impose da subito una narrazione trionfalistica, che interpretava l’annus mirabilis 1989-1990 come una sorta di punto di non-ritorno alle famigerate «vie speciali», come approdo in Occidente, ovvero come il coronamento di una democrazia riuscita: quella della Repubblica federale tedesca, nata nel 1949 e che quarant’anni dopo estese le sue strutture politiche e legali ai territori della ex Repubblica democratica tedesca. Fuori dai confini tedeschi, invece, gli avvenimenti legati alla riunificazione delle due Germanie furono accolti con sentimenti contrastanti. Se è vero che all’indomani del crollo del muro di Berlino si poté registrare in tutto il mondo (e analogamente in Italia) un’ondata di simpatia nei confronti dei tedeschi, alquanto diversa appare la reazione dell’opinione pubblica internazionale se si guarda alle posizioni assunte nei mesi successivi dalle élite politiche e intellettuali europee. È noto, per esempio, che nel marzo 1990 Margaret Thatcher organizzò un seminario con un gruppo di studiosi dedicato all’esame delle presunte «caratteristiche proprie dello spirito tedesco»: l’ansia, l’aggressività, la presunzione, la mancanza di riguardo, l’egoismo, il complesso d’inferiorità e il sentimentalismo. Ma anche in altri Paesi europei (inclusa l’Italia) si poteva cogliere nelle settimane successive alla caduta del muro di Berlino il riemergere di una strisciante germanofobia. Per molti politici, osservatori e esperti la riunificazione delle due Germanie determinava non solo un superamento ma addirittura un capovolgimento degli equilibri sorti dalla seconda guerra mondiale: i tedeschi si ritrovavano di fatto vincitori, egemoni in un’Europa sfuggita al controllo quarantennale di Stati Uniti e Unione Sovietica. Il ricorrente impiego di termini quali «Reich», «Quarto Reich» o «Grande Germania» – sebbene quello nato il 3 ottobre 1990 fosse il più piccolo stato unitario tedesco nella serie storica delle monarchie e delle repubbliche nazionali dal 1871 – esemplifica la tendenza diffusa nella stampa europea dell’epoca a proiettare sul presente rappresentazioni geopolitiche del passato più lontano.

Le conseguenze di lungo periodo di questa memoria non condivisa si possono cogliere nelle festose celebrazioni per i venticinque anni dalla riunificazione organizzate in Germania (le principali iniziative si sono svolte dal 2 al 4 ottobre nella città di Francoforte) e nell’altrettanto assordante silenzio nel quale è invece caduto l’anniversario fuori dai confini nazionali. Ma più della dimensione celebrativa contano gli effetti politici di questa memoria divisa degli europei, che si osservano da qualche anno a questa parte nel dibattito sul nuovo ruolo europeo dei tedeschi. In Germania l’assunzione da parte di Berlino di un ruolo di leadership in Europa viene o oltremodo minimizzata, per evitare di alimentare preoccupazioni che rinviano a un passato con il quale i tedeschi hanno obiettivamente chiuso, oppure motivata come l’ovvia conseguenza di una «storia di successo», quella della storia tedesca più recente, che tuttavia risulta per lo più sconosciuta fuori dai confini nazionali. Nel resto dell’Europa, invece, la riflessione sul nuovo ruolo europeo della Germania appare il più delle volte condizionata da quell’immagine di Paese «fatale» che sembra essersi depositata, forse per sempre, nella memoria collettiva degli europei. Questi due approcci differenti finiscono per autoalimentarsi, suscitando peraltro malintesi e incomprensioni.

Le diverse memorie che gli europei hanno della storia tedesca più recente e del suo rapporto con quella più remota evidenziano anzitutto un problema culturale, che riguarda più in generale le crescenti difficoltà che il sapere storico sta incontrando nei diversi percorsi formativi delle ultime generazioni. Tuttavia, soprattutto negli ultimi tempi la memoria divisa sta assumendo una nuova e sempre più rilevante dimensione politica, dal momento che complica e spesso distorce la comunicazione e la conoscenza reciproca degli europei, che sono già gravate dall’assenza di strategie univoche su come affrontare le sfide del presente. La soluzione al problema non sta nell’oblio dei traumi o dei successi che hanno forgiato le diverse memorie collettive o individuali, ma nella loro ricomposizione all’interno di una storia comune entro cui sia i tedeschi sia gli altri cittadini europei possano ugualmente riconoscersi.