La politica che cambia
La recente vittoria di Corbyn alle “primarie” del Labour inglese ha colto di sorpresa quasi tutti i commentatori. Corbyn era considerato una candidatura di bandiera, senza alcuna speranza di vittoria. Ora, gli stessi che lo davano per sconfitto certo, prevedono un futuro nebuloso per il Labour, troppo a sinistra per essere un avversario credibile per Cameron. Sembra però che sia i media che i politologi facciano ancora fatica a comprendere ed a tenere il passo con un cambiamento radicale che sta trasformando il panorama politico.
Il crollo economico e finanziario, l’austerity, la paralisi politica e la crisi di legittimità dei regimi democratici hanno contribuito a creare fenomeni nuovi, troppo spesso bollati semplicemente come anti-sistema: i movimenti secessionisti, dalla Scozia alla Catalogna; i partiti nuovi che rigettano la vecchia distinzione destra e sinistra e cercano di trovare elettori tra i delusi della politica tradizionale, come il Movimento Cinque Stelle e Podemos; la crescita di formazioni di destra e sinistra già esistenti ma non compromessi con i passati regimi, da Syriza al Front National; e la radicalizzazione di partiti tradizionali, come il Labour a guida Corbyn, ma anche il Partito Repubblicano americano influenzato dai Tea Party, per esempio.
Tutte queste evoluzioni stanno mettendo in crisi il sistema bi-polare e ci costringono a ripensare alla maniera a cui eravamo abituati a guardare alla politica. Per decenni l’architrave della politica occidentale è stato il teorema dell’elettore mediano – l’idea secondo cui le elezioni si vincono al centro: se gli elettori votano per chi è più affine, ma non coincidente, con le loro aspettative, la conquista dell’elettore mediano, disponibile al voto tanto a destra quanto a sinistra a seconda dei candidati e dei programmi, è la chiave per il successo.
La situazione attuale, però, è assai più complessa ed impossibile da leggere con lenti vecchie ed appannate.
Esistono fattori strutturali. La crisi economica ha creato nuove masse di discontenti e fluidificato un elettorato che per anni si era dimostrato particolarmente stabile. Una nuova massa di disoccupati, sotto-occupati e working poors richiede rappresentanza e stenta a trovarlo nella politica tradizionale. Inoltre la crescita repentina della diseguaglianza crea un nuovo panorama politico economico. Se la distribuzione della ricchezza è estremamente diseguale, con una concentrazione al di sotto del reddito medio – e con dunque un reddito mediano relativamente povero – ci si può aspettare anche una altrettanto squilibrata distribuzione elettorale, e dunque un elettore mediano non necessariamente ancorato ai valori tradizionali della classe media.
Ed esistono fattori politici. La distinzione destra-sinistra su cui si basa la rincorsa al centro è superata, in alcuni casi, da partiti che si pongono oltre il bi.polarimo: movimenti come Podemos e i Cinque Stelle contestano quella visione lineare dello schieramento politico e si rivolgono tanto alla destra che alla sinistra. Inoltre l’emergere di un terzo polo – come nel caso del Canada, ma sempre più anche della Francia e della Spagna – aumenta la varietà di scelta e l’incentivo a mobilitare il proprio elettorato piuttosto che a cercare di sottrarre voti al proprio avversario. Un atteggiamento, questo, ulteriormente incentivato dal grande numero di astenuti, ritenuti a torto o ragione recuperabili, e che richiedono fidelizzazione e mobilitazione – e questa strada sembra quella imboccata dal nuovo corso Labour. Un aspetto aggiuntivo è la crisi di alcuni partiti tradizionali, che cedono il passo ad altre forze politiche. Il caso più clamoroso è quello del PASOK, screditato e marginalizzato da Syriza. Ma molti altri sono gli esempi: dalla progressiva marginalità di Forza Italia alla crisi strisciante del Partito Socialista francese – con il FN che ormai domina l’elettorato delle ex regioni rosse. Clamoroso in questo senso è anche il caso del Canada, dove il centro si è progressivamente svuotato in favore delle ali estreme E così il tradizionale Partito del “Potere”, i Liberali, sono divenuti il terzo partito dietro i Conservatori e i socialdemocratici dell’NDP che si giocano la vittoria nelle elezioni della prossima settimana.
Infine, andrebbe forse rivista la definizione di radicale ed estremista, che molto spesso sembra usata (o meno) più a fini propagandistici che non analizzando propriamente le politiche proposte. Se è vero che tutti i movimenti qui citati contestano l’ortodossia economica, quasi nessuno propone in realtà soluzioni radicali, quanto piuttosto programmi moderatamente keynesiani. Gli economisti, molto prima dei politologi, sembrano aver colto questa novità, politica ancora più che economica. Non sono solo economisti critici, ma tutt’altro che rivoluzionari come Krugman, Stiglitz e Piketty , ma anche insospettabili moderati come Lawrence Summers – già architetto della globalizzazione neo-liberista – a sostenere soluzioni eterodosse che molti commentatori politici non esitano a tacciare di estremismo.
Allo stesso tempo, per lo più a destra, hanno imperversato governi quelli si radicali anche se ammantati di finto moderatismo, con la complicità, spesso, dei mezzi di informazione: da Cameron – e certo, prima di lui la Signora Thatcher – con il suo attacco a testa bassa al welfare state; ai due mandati di Bush contraddistinti dal radicalismo neo-con. Senza scordare, naturalmente, l’avventura berlusconiana spiegata in maniera perfetta da Stefano Accorsi, alias Leonardo Notte nella serie tv 1992. A chi contrapponeva le candidature di Martinazzoli o Segni a quella del Cavaliere, l’uomo del marketing sintetizzò gli umori degli italiani post-Prima Repubblica: l’elettorato non è moderato, è smodato, arrapato. Non si può dire avesse torto.
* DPhil, Visiting Fellow, Munk School of Global Affairs, University of Toronto
di Paolo Pombeni
di Nicola Melloni *