La politica nelle sabbie mobili internazionali
Benché non manchino le problematiche nel quadro della politica interna (strategie per le elezioni regionali d’autunno, avvio di progetto di nuova legge elettorale), a dominare è ancora la politica internazionale con le sue continue evoluzioni. Inevitabili i riflessi, e talora i contraccolpi sulla politica del governo e in misura limitata su quella delle opposizioni: limitata perché nessuna di esse sembra in grado di fare più di generiche prese di posizione (sensate o meno a seconda dei casi).
Il primo tema con cui deve confrontarsi Meloni è il rapporto con l’America di Trump e con l’Europa ancora abbastanza sbandata, a dispetto di qualche esibizione d’orgoglio comunitario. La sostanza del problema per quanto riguarda l’ambizione della nostra premier di essere un ponte fra Trump e la UE sta nel fatto che nessuna delle due parti sa veramente cosa vuole. Il tycoon punta ad affrontare l’enorme deficit americano arraffando entrate che gli mantengano il consenso sia dei vertici del sistema economico sia della sua base elettorale. Lo fa menando sciabolate al vento, perché privo di una seria visione di politica economica internazionale.
Per conquistare il favore dell’inquilino della Casa Bianca è necessario offrirgli spazi di guadagno alternativi a quelli che pensava potessero arrivargli con la politica leggi tutto
Stabilità politica: scarsa
È abbastanza scontato che per un poco la politica italiana sarà catturata, al netto dell’inevitabile shock per la questione dei dazi, dall’interpretazione che va data alle due performance populiste di sabato e domenica scorse: la imponente manifestazione di piazza organizzata da Giuseppe Conte e il congresso show della Lega di Salvini.
Non c’è dubbio che l’adunata di massa organizzata dal leader dei Cinque Stelle sia stata un grande successo mediatico. Se lo sarà anche dal punto di vista politico è tutto da vedere. Lasciamo pur perdere la famosa frase attribuita a Nenni, “piazze piene, urne vuote”, che si riferiva ai grandi successi di mobilitazione di PCI e PSI che però alle elezioni vedevano sempre vincente la DC coi suoi alleati. Il problema è se una mobilitazione di tipo puramente populista che mette insieme un coacervo di sentimenti senza una vera linea politica che li organizzi possa davvero produrre una proposta di governo capace di raccogliere il consenso del Paese.
Al di là di quanto possano essere credibili gli attacchi alla UE, visto che non si vede come i convenuti nella piazza romana siano in grado di prenderne la guida o anche solo di condizionare seriamente quella attuale, gli slogan portanti della manifestazione sono leggi tutto
Prigionieri delle turbolenze internazionali
La nostra politica è letteralmente intrappolata dalle turbolenze della situazione internazionale, né poteva essere diversamente data la delicatezza del momento. Ciò che preoccupa sono le modalità con cui una parte non piccola della classe politica affronta le contingenze: sembra davvero che ci sia carenza, per usare un eufemismo, di cultura adeguata a confrontarsi con un cambio di scenario che non è comprensibile né con battute più o meno brillanti, né con una ideologia da assemblee studentesche di questi ultimi decenni.
Diamo due esempi che ci paiono illuminanti. Giorgia Meloni intervenendo al congresso del partito di Calenda ha accusato la Schlein di voler fare dell’Europa una comunità hippie disinteressata a difendersi. È una battuta che peraltro non rappresenta la realtà, perché la segretaria del PD propone la prospettiva di un esercito europeo anziché l’investimento nel riarmo dei singoli stati. Ora, una critica seria a questa proposta avrebbe dovuto puntare sulla impossibilità di realizzare questo piano in tempi ravvicinati, perché bisognerebbe, a parte superare molteplici resistenze interne, riformare i trattati, cosa macchinosa e di esito incerto visto che poi andrebbe sottoposta al voto dei singoli stati e probabilmente, almeno in alcuni casi, a referendum popolare. Avrebbe avuto senso chiedere se possiamo permetterci il vuoto di leggi tutto
Geopolitica per tutti?
La situazione internazionale ha raggiunto un punto tale di drammaticità che ormai più o meno tutti si buttano a discettare di geopolitica. Il tema è più che arduo e sarebbe bene che i dilettanti totali si astenessero, siano politici, giornalisti, opinionisti o quant’altro, ma l’occasione di guadagnarsi uno spazietto di attenzione nel mondo della comunicazione è troppo ghiotta perché ci rinuncino.
Si può affrontare l’argomento da due ottiche, non diverse, ma complementari: provare a capire come possa evolversi la situazione attuale; chiedersi quale possa essere il ruolo appropriato dell’Italia in questo sommovimento generale. Sul primo fronte la situazione è più che confusa, perché i punti caldi sono più d’uno: non solo l’Ucraina e Gaza, ma Turchia e Medioriente in generale, con la novità (relativa) di una ipotizzata discesa in campo della Cina. Non si può ridurre tutto ad una banale partita di poker fra Trump e Putin su come ripristinare le zone d’influenza dei vecchi tempi della guerra fredda.
Non si è ancora capito a che gioco giochi The Donald, se le sue smargiassate siano “finte” per spaesare l’avversario o se veramente non riesca ad uscire dal suo narcisismo (probabilmente i due elementi si mescolano). Certamente ha il problema di costringere Putin a rivelare leggi tutto
Un passaggio molto stretto
Si vota in Parlamento sulla relazione della premier riguardo a quello che sarà l’atteggiamento dell’Italia al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. Un passaggio molto stretto, che l’opinione pubblica percepisce per lo più nelle semplificazioni di movimenti, intellettuali, populisti e demagoghi, cioè nel modo meno utile per cercare di capire cosa sta accadendo.
Prima di addentrarci dunque in una analisi delle molte posizioni dei partiti politici italiani, proviamo a fissare qualche coordinata che aiuti ad orientarsi. Il primo punto da tenere a mente è che la posizione del governo viene delimitata dal suo ruolo e dal suo posizionamento nello scacchiere internazionale. L’Italia non è una grande potenza, ma non è neppure un piccolo paese marginale, dunque deve stare nelle dinamiche attuali con queste consapevolezze. In pratica significa che da un lato non può permettersi una rotta di collisione con la nuova amministrazione americana (anche a prescindere dal fatto che alla nostra premier stia simpatica), perché siamo storicamente connessi con quel sistema. Certamente la attuale evoluzione alla Casa Bianca può e deve preoccupare, ma non è abbastanza per rompere (del resto nessuno in Europa vuole veramente farlo). Poi è difficile capire cosa davvero abbia in mente Trump e dunque senza entrare in collisione con lui rimane leggi tutto
Di fronte alla crisi internazionale: parole e fatti
Come è normale, nei momenti di crisi acuta cresce la voglia di prendere posizione: è un modo per dimostrarsi partecipi e spesso per convincersi di poter incidere su una situazione che ci turba. Eppure nei momenti cruciali sarebbe utile vaccinarsi contro le parole che generano illusioni e fughe dalla realtà. Ci permettiamo di suggerire qualche esempio preso dagli ultimi fuochi del dibattito in corso sulla fase critica della guerra in Ucraina.
Due sono le leggende metropolitane che tengono banco, non solo presso un’opinione disorientata, ma anche in quote importanti delle nostre classi politiche, dalle quali sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di discernimento. La prima leggenda da sfatare è quella secondo cui l’Europa non avrebbe fatto quasi nulla per promuovere una soluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Sinceramente non ha fondamento. Innanzitutto nella fase iniziale dell’invasione russa alcuni leader europei hanno provato ad approcciare Putin: lo hanno fatto sia Macron che Scholz e qualcuno ricorderà il famoso viaggio in treno che vide insieme Draghi con il presidente francese e il cancelliere tedesco andare verso Kiev: certo per portare solidarietà a quel paese invaso, ma al tempo stesso per esplorare la possibilità di trovare soluzioni diplomatiche. Più o meno sotto traccia ci sono stati altri leggi tutto
Le incertezze di un passaggio storico
Non sappiamo se si possa già parlare di una svolta storica dopo la sceneggiata tra Trump, Vance e Zelensky messa in onda dallo Studio Ovale: perché un episodio si trasformi da singolo evento, bello, brutto, o, come nel nostro caso, orripilante, in un momento storico di cambiamento è necessario attendere cosa accadrà. Non fosse altro perché le conseguenze possono essere molteplici.
Consentiteci di sottrarci ai ragionamenti di quelli che parlano di realpolitik senza sapere cosa sia e di quelli che vogliono accreditarsi come censori della storia: le faccende sono molto più complicate. Prima di tutto non è chiarissimo se Trump non abbia costruito apposta lo scontro in mondo visione per mascherare quello che può essere un suo primo fallimento: aveva promesso di chiudere il conflitto russo-ucraino in pochi giorni, mentre, questione dei tempi necessari a parte, deve riscontrare che Putin non ha nessuna intenzione di consentirgli una vittoria a meno che non contenga anche quella totale della Russia. Come si può immaginare, non solo a queste condizioni per The Donald non sarebbe un gran risultato (la gente non è del tutto cieca), ma non sarebbe neppure accettabile per l’America.
Con la sceneggiata crede di aver scaricato sul presidente ucraino la colpa del fallimento leggi tutto
La politica italiana tra Trump e la Germania
Potrebbero essere settimane calde per la politica italiana, ma non lo sono se non per quel che riguarda una quota limitata di fan-club dei partiti in campo. L’impressione a stare in mezzo alla gente normale è che tutto scivoli via come uno spettacolo le cui scene essendo ormai conosciute non suscitano particolare coinvolgimento.
Ovviamente quel che sta succedendo è importante, ma gran parte dell’opinione pubblica fa fatica a rendersene pienamente conto. Prendete la vera e propria esplosione della nuova linea politica di Trump: è così palesemente sopra le righe, paradossalmente teatrale che la gente fa fatica a ritenerla reale e capace di cambiare le cose. Si aspetta più o meno che la bolla scoppi. Naturalmente non andrà così, almeno per un periodo di tempo non breve, tuttavia la preminenza di un sentimento che da un lato si aspetta che succedano sconvolgimenti e che dall’altro li vuol tenere lontani da sé declassandoli fa sì che il coinvolgimento nelle tensioni della politica sia sostanzialmente modesto.
Ne è prova la scarsa presa che ha avuto il terzo anniversario dell’aggressione russa all’Ucraina. Avrebbe dovuto essere una occasione per riflettere seriamente sul cambiamento che abbiamo davanti e che richiederebbe una presa di coscienza sulla svolta che si presenta all’Europa: leggi tutto
Interpretare il cambiamento in corso
È particolarmente difficile districarsi in quel che sta succedendo nel panorama delle relazioni internazionali. Indubbiamente l’avvento di Trump alla Casa Bianca ha acuito il disorientamento che da tempo domina in quel campo: siamo davanti ad un giocatore di poker che ha come obiettivo quello di confondere tutte le carte per costringere gli altri a cambiare le loro ed esibire solo all’ultimo le sue. Tuttavia non è una storia che sia iniziata un mese fa (era il 20 gennaio quando il 47° presidente giurò e si insediò nel ruolo): a dichiarare finita l’era dell’ordine internazionale così come si era delineato, con alti e bassi, dopo il 1945, fu nel 2007 Putin, il quale intervenendo alla conferenza sulla sicurezza di Monaco chiarì che non accettava quella regolamentazione che con il crollo dell’URSS era finita nelle mani solo degli Stati Uniti.
Poiché tutto si inserisce in una generale transizione storica che tocca anche il quadro culturale, e di conseguenza economico e sociale, all’interno del quale si era configurato l’ordine post 1945, non meraviglia che siamo in presenza dell’intrecciarsi di piani diversi e di spinte contrastanti. Quel che avviene nel caso della guerra in Ucraina, così come in quello delle guerre in Medioriente si deve cercare di inquadrarlo a partire da queste premesse. leggi tutto
Difficile prevalga la ragione…
Una qualche speranza che si stemperi almeno un poco il clima di lotta generalizzata (ma talora verrebbe voglia di parlare di zuffe) dominante nella politica la si è avuta col cambio al vertice della ANM: il nuovo presidente, che è espressione di una corrente moderata pur essendo anch’egli un PM, ha manifestato disponibilità ad un confronto con la presidente Meloni ed ha subito ricevuto una analoga disponibilità da Palazzo Chigi. Se si tratta di una questione di bon ton fra le istituzioni (sarebbe comunque già qualcosa) o di una reale consapevolezza da entrambe le parti che il dialogo non solo conviene, ma è doveroso, lo vedremo nel corso dei mesi.
Non a breve, perché smontare delle barricate non è un’operazione che si fa rapidamente. Il sindacato dei giudici non ha rinunciato allo sciopero e alle manifestazioni un po’ da sceneggiata come quella di indossare coccarde tricolori sulle toghe, ma si può capire: quando hai eccitato gli associati e c’è una presenza forte delle componenti corporativo-radicali, non è che ti puoi mettere di colpo contro di loro spaccando inevitabilmente il fronte. Neppure il governo e la maggioranza sono veramente pronti a trovare vie di dialogo: dopo avere scommesso sulla riforma della magistratura come simbolo di una leggi tutto