Argomenti
Il ruolo delle organizzazioni della società civile (OSCs) nella cooperazione allo sviluppo: un cambio di paradigma
Vi è un consenso generalizzato nel riconoscere il ruolo fondamentale delle OSCs nella promozione della governabilità democratica nei paesi terzi e nel favorire trasparenza e responsabilità dei governi.
Questo riconoscimento è stato validato dalla comunità internazionale e formalizzato in principi e dichiarazioni. Nella “Dichiarazione di Parigi”(2005) il consolidamento della governabilità democratica è considerato una pre-condizione per l’effettività degli aiuti e un antidoto contro la corruzione e la mancanza di trasparenza delle istituzioni pubbliche.
Nell’ “Agenda for action” di Accra (2008) le OSCs sono riconosciute come attori indipendenti di sviluppo mentre il 4° Forum internazionale di Busan (2011) introduce il termine partenariato pubblico/privato per la realizzazione di un’agenda globale sulla base di obiettivi e principi condivisi.
La Comunicazione della Commissione europea del 2012: “Le radici della democrazia e dello sviluppo sostenibile”, definisce i pilastri su cui si fonda il rapporto con le OSCs: i) sostenere un ambiente favorevole alle OSCs, in particolare un quadro legale di riferimento; ii) promuovere la partecipazione delle OSC nella formulazione leggi tutto
La “legge Soros” colpisce la Central European University
Da giorni un nuovo tweet sta cinguettando sul social network a supporto della Central European University (CEU) di Budapest. La stringa #IstandwithCEU ha acceso i riflettori internazionali sulla CEU, la cui sopravvivenza è minacciata dalla nuova norma approvata dal governo di Viktor Orban lo scorso 10 aprile che sembra essere stata formulata ad hoc per predisporre la chiusura dell’istituto di formazione e ricerca più noto dell’Europa centro-orientale.
Nascosta formalmente all’interno di una legge che modifica le predisposizioni in materia di istruzione superiore, la norma consente l’operatività delle università straniere solo se queste hanno una sede anche nel loro Paese di provenienza. Se apparentemente la norma va ad avere un impatto sul funzionamento di circa due dozzine di università presenti in Ungheria, di fatto essa colpisce direttamente solo la CEU, che opera nella capitale magiara in parte come istituzione statunitense (dove però non ha una sede vera e propria), priva di quel controllo governativo esercitato centralmente su altri enti di formazione accademica. La stessa nuova legislazione prevede inoltre che le università straniere potranno emettere titoli quali diplomi o lauree in Ungheria leggi tutto
Il “doppio turno” francese
Il 23 aprile i francesi voteranno per il primo turno delle elezioni presidenziali. L'articolo 7 della loro Costituzione specifica che il Capo dello Stato "è eletto a maggioranza assoluta dei voti espressi. Se tale maggioranza non viene conseguita al primo scrutinio, si procede ad una nuova votazione, nel quattordicesimo giorno seguente. Possono presentarsi solo i due candidati che, a parte un eventuale ritiro, hanno ottenuto più voti al primo turno". Nella storia della Francia, da quando, nel 1962, la riforma costituzionale voluta da Charles De Gaulle ha reintrodotto (e non introdotto ex novo: il 10 e l'11 dicembre 1848, infatti, Carlo Luigi Napoleone Bonaparte era stato eletto col 74,31% dei voti espressi, pari a 5.587.759 su 7.542.936 votanti) l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, nessun presidente è stato mai eletto al primo turno: nel 1965 (5-19 dicembre) De Gaulle ebbe il 44,65% dei voti (andò al ballottaggio - vincendolo col 55,2% dei suffragi popolari - con François Mitterrand, giunto secondo col 31,72%); nel 1969 (1-15 giugno) Georges Pompidou ottenne il 44,47% (Alain Poher 23,31%), vincendo poi col 58,21%; nel 1974 (5-19 maggio) fu Mitterrand a classificarsi inizialmente primo, col 43,24%, ma Valéry Giscard d'Estaing (32,6% al primo turno) vinse al ballottaggio col 50,81%; nel 1981 (26 aprile-10 maggio) fu invece Mitterrand (25,85% al primo turno, 51,76% al secondo) a battere Giscard d'Estaing (28,31% al primo turno, 48,24% al secondo); Mitterrand vinse inoltre nel 1988 (24 aprile-8 maggio) leggi tutto
Tutto può succedere ovvero Eliseo 2017
Tutto può succedere, come cantava anni fa Vasco Rossi. Ma questa volta la frase deve essere attribuita alle prossime elezioni presidenziali francesi.
A poco più di una settimana dal primo turno, gli ultimi sondaggi fotografano un quartetto di candidati raccolti in un fazzoletto di voti. Le percentuali oscillano tra il 22% del primo (o Marine Le Pen o Macron) e il 19% del quarto (o Mélenchon o Fillon).
Senza dilungarsi troppo nel rammentare con quanta attenzione vadano presi i sondaggi, è forse meglio ricordare che nel caso di Le Pen e Fillon, siamo oltre l’80% di certezza nella scelta. Sul fronte Macron e Mélenchon non si va oltre il 60% di decisione (quindi per certi aspetti si tratta di scelte di voto ancora suscettibili di cambiamento).
Il quadro è incerto, la campagna elettorale fatica a decollare e i temi forti, quelli di reale e diffusa preoccupazione (disoccupazione, scuola e potere d’acquisto) finiscono per non essere nello specifico affrontati. L’ultima settimana è stata occupata da tre questioni principali.
La prima riguarda una serie di indagini sul voto giovanile, in particolare nella fascia 18-24, con risultati costantemente nella direzione del voto frontista. Sembra un lontanissimo ricordo la primavera 2002, con le piazze colme di giovanissimi tra il primo
L’Europa e i rischi della Brexit
Non sarà una semplice querelle diplomatica l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e non perché durante la sua permanenza Londra abbia dato un grande apporto allo sviluppo di una autentica integrazione europea. Al contrario ha sempre più o meno remato contro: le battaglie della Thatcher contro Delors sono memorabili, ma neppure Blair può essere considerato un vero europeista, basterebbe ricordare la sua politica verso l’Iraq, così debitrice del rapporto privilegiato con Washington.
Sarebbe però semplicistico pensare che l’uscita del Regno Unito dalla UE in fondo non faccia che togliere di mezzo un partner poco convinto e poco disciplinato. Piuttosto si tratta di un passaggio che metterà a nudo una serie di debolezze la cui gestione appare piuttosto problematica.
La prima questione riguarda la riuscita o meno dell’operazione così come è vista dagli strateghi britannici di questa avventura. Detto in termini molto semplificati, a Londra si pensa che sostanzialmente l’interconnessione delle economie al giorno d’oggi sia tale per cui difficilmente si potrà escludere la Gran Bretagna dal rimanere nei vantaggi di un mercato sostanzialmente aperto senza sopportarne i costi in termini di sottomissione ad una autorità di regolamentazione sovranazionale. Chi ha lanciato l’immagine del Regno Unito leggi tutto
Il peso delle parole e il vuoto della politica: a proposito di Europa
I concetti sono la più potente arma della battaglia politica: così afferma Reinhart Koselleck, uno dei più illustri esponenti della storia dei concetti (Begriffsgeschichte). E in effetti la politica dell'era moderna e la riflessione teorica sulla stessa trovano un precipitato assai importante in parole-chiave che risultano in grado di delineare nuovi orizzonti, carichi di aspettative future. Anche concetti classici in occidente quali, per esempio, quelli di libertà e democrazia, alla luce del progresso tecnico e scientifico dell'età moderna, assumono una valenza progettuale prima sconosciuta, nella misura in cui appaiono in grado di indirizzare la società e la politica verso un futuro pieno di speranza, certamente migliore rispetto al passato e aperto al coraggio del nuovo. L'Uomo moderno insomma non teme il domani, che anzi si appresta a progettare raccogliendone ogni possibile sfida, anche dal punto di vista delle parole stesse della politica che debbono risultare addirittura in grado di orientare il mutamento e la storia.
Alla luce di quanto appena affermato e senza scomodare i tanti odierni cantori della fine della modernità, noi, donne e uomini d'occidente, aventi alle spalle la duratura eredità del moderno, nelle sue tappe più gloriose (dalle grandi rivoluzioni americana e francese in poi), non possiamo leggi tutto
Terremoto in casa socialista
La campagna elettorale per il voto presidenziale francese è stata dominata, nell’ultima settimana, da due questioni fondamentali.
Da un lato i recenti sondaggi, sulla cui esattezza è sempre meglio essere cauti, fotografano la candidatura socialista di Benoit Hamon come in caduta libera. Praticamente tutti gli istituti lo collocano attorno al 10%, addirittura superato di 4-5 punti dal candidato di estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon.
Dall’altro è giunta l’attesa dichiarazione dell’ex Primo ministro Manuel Valls: il 23 aprile Valls voterà per Emmanuel Macron. Considerata la campagna elettorale che sta conducendo il vincitore delle primarie socialiste, tutta orientata a sinistra e con l’obiettivo di portare ad un complessivo riaggiornamento del PS e non certo nella direzione di una moderna socialdemocrazia europea, non c’era da attendersi altro da Valls. Che i rumors siano diventati realtà fa però una certa differenza.
Ebbene queste due evoluzioni possono avere ricadute di una certa rilevanza.
Partendo dalla presa di distanza di Valls dal candidato ufficiale del PS si deve prima di tutto notare che a questo punto il voto del 23 aprile si accompagnerà anche al rischio concreto di implosione del Partito socialista. Risulta difficile pensare a Hamon e Valls, per non parlare di tutti gli ex ministri socialisti che da tempo hanno espresso leggi tutto
Il futuro del presente, ed altre possibilità.
Sulla base delle notizie raccolte e diffuse finora, l'attentato del 22 marzo contro il Parlamento britannico a Londra sembra rientrare nella categoria degli attacchi "ispirati" ma non "organizzati" da organizzazioni internazionali terroristiche, come lo Stato islamico. Saremmo dunque di fronte ad un evento simile a quanto avvenuto nella strage a Nizza il 14 luglio oppure a quella del mercatino di Natale a Berlino, il 19 dicembre 2016. Gli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015 e quelli a Bruxelles del 22 marzo 2016, invece, erano caratterizzati da legami organizzativi più stretti con l'Organizzazione dello stato islamico (IS). La diversità dei collegamenti è proprio uno dei punti di forza dell'Organizzazione dello stato islamico che sfrutta modalità diverse di conflitto: dalla guerra convenzionale, alla guerriglia in terra di Iraq e di Siria, agli attentanti terroristici in Europa, Turchia, Tunisia ed Egitto, fino all'ispirazione di singoli individui a compiere atti terroristici con mezzi tanto semplici quanto letali, sempre in Europa o negli Stati Uniti d'America. Fino a questo punto, dunque, niente di nuovo. Purtroppo.
Molto, invece, si muove in Iraq e in Siria dove la principale organizzazione jihadista, l'Organizzazione dello stato islamico, sta subendo pesanti sconfitte militari sul campo. Nonostante la resistenza sempre più accanita delle truppe di al Baghdadi, le forze irachene leggi tutto
La corsa all'Eliseo: un voto di rottura
Il confronto televisivo di lunedì scorso tra i cinque principali candidati alle presidenziali francesi ha confermato come il tema dominante della campagna elettorale sia la rottura con il passato. Non è d’altronde una novità assoluta nella storia delle presidenziali. Sotto la V Repubblica il mito del cambiamento costituisce la norma. Non si accede all’Eliseo se non si è disposti a sollevare il vessillo della «rottura». Il generale de Gaulle lo ha fatto in modo clamoroso, a partire dal 1958. E da allora ogni ambizione di guidare il paese si è fondata, in qualche misura, sulla volontà di rottura con il passato: Giscard d’Estaing ha messo in soffitta il gollismo, Mitterrand ha posto fine all’associazione tra la V Repubblica e la destra, Chirac ha chiuso la lunga parentesi socialista, il volontarismo di Sarkozy garantiva di interrompere il lungo declino dell’era Chirac, mentre Hollande è arrivato all’Eliseo promettendo di restituire «normalità» a una funzione presidenziale logorata dai cinque anni al passo di carica di Sarkozy.
Nella campagna presidenziale del 2017 tuttavia la carica di «rottura» appare più potente e generalizzata che in passato. Essa non è diretta soltanto contro il presidente uscente – che per la prima volta nella storia della V Repubblica non si è ricandidato alla propria successione, leggi tutto
La nuova geografia politica olandese e la svolta conservatrice
Diversi osservatori, in Europa e altrove, hanno accolto i risultati delle elezioni olandesi dello scorso 15 marzo con un sospiro di sollievo. L’impatto dell’ondata populista e xenofoba cavalcata nei Paesi Bassi da Gert Wilders e dal suo Partito per la Libertà (PVV) è stato profondo, ma non così destabilizzante come molti ipotizzavano e alcuni persino auspicavano.
I liberali del premier uscente Mark Rutte hanno infatti conquistato la maggioranza relativa dei seggi, 33 su 150, affermandosi come primo partito del paese, probabile guida del nuovo governo e principale argine contro la deriva ultranazionalista prefigurata da un’eventuale vittoria di Wilders. Gli elettori olandesi hanno preferito la continuità alla rottura, ma le visioni conservatrici di cui Rutte si è fatto artefice e promotore nel corso degli ultimi quattro anni e mezzo non hanno trionfato in maniera netta e assoluta. La vittoria del VVD è infatti macchiata da una perdita di consensi rispetto al 2012 di oltre cinque punti percentuali e ben otto seggi in Parlamento, il che comporterà la necessità di ricercare un’alleanza più ampia rispetto a quella uscente per formare un governo stabile e di legislatura.
Al secondo posto si è piazzato Wilders, che fino a qualche settimana prima delle elezionii più autorevoli sondaggi accreditavano come principale partito del paese leggi tutto