Il crollo del prezzo del petrolio: cause, conseguenze e sfide per l'Europa

Dal Giugno 2014 a oggi il prezzo del petrolio è sceso di oltre il 75%, da circa 110$ al barile fino anche a meno di 30$. Il crollo è stato drammatico ed è andato di pari passo con instabilità finanziaria e turbolenze sui mercati mondiali. Storicamente è l'aumento del prezzo del petrolio ad avere effetti negativi sull'economia mondiale. Ma non per nulla l’economia non è considerata la “scienza triste”. In altre situazioni, infatti, sono le aspettative pessimistiche dei mercati finanziari oppure le previsioni di imminenti recessioni economiche ad avere ripercussioni negative sui contratti petroliferi. Ad esempio, nel 1997 il prezzo del petrolio calò principalmente a causa della crisi finanziaria asiatica e dell'incertezza sulla ripresa economica della regione. Economisti e stampa specializzata, tuttavia, non sempre mettono in evidenza questo doppio nesso di causalità.
La situazione attuale: i principali fattori del calo del petrolio
Le emergenti turbolenze sui mercati finanziari a livello globale sono però solo una delle concause della recente volatilità dei prezzi del petrolio. E’ vero che la domanda di greggio è stata più debole del previsto in Europa e in Asia; tuttavia, secondo economisti come Arezki e Blanchard, solamente tra il 20% e il 35% del recente calo del prezzo del petrolio può essere spiegato da fattori legati alla domanda aggregata. Quali altri fattori sono allora alla radice di un calo così drammatico? Dal lato dell’offerta, il fattore più importante è sicuramente la fine delle sanzioni economiche all'Iran: secondo le stime, l’evento implicherà un incremento della produzione globale di petrolio di circa 500.000 barili al giorno. Tale prospettiva rende altamente improbabile la possibilità di tagli alla produzione coordinati da parte dei maggiori produttori dell'OPEC. Rispetto agli anni ’70 la stabilità del cartello è minata anche da altri cambiamenti nella struttura della produzione mondiale del greggio. La fratturazione idraulica (“fracking”) ha consentito l’entrata sul mercato di numerosi produttori di piccola scala, aumentando la concorrenza e contribuendo ad abbassare i prezzi di mercato. La gran parte dell’effetto negativo del fracking sui prezzi, tuttavia, è da addebitarsi alle aspettative: tale tecnologia potrebbe infatti consentire in futuro di recuperare una grande quantità di petrolio, precedentemente considerata assolutamente irragiungibile e, quindi, inutilizzabile a fini produttivi.
L'Arabia Saudita e altri stati membri dell'OPEC nel 2014, in risposta a questi sviluppi, hanno inondato il mercato di petrolio a prezzi ridottissimi, tentando di “strangolare” il resto della concorrenza ed escludere i piccoli produttori dal mercato. Il tentativo non ha portato ad alcun risultato: nonostante il crollo dei prezzi, la produzione globale di petrolio è ancora in costante aumento. Infine, la rapida diffusione dell’energia verde e la crescente sensibilità dell’opinione pubblica riguardo al cambiamento climatico stanno mettendo in forte dubbio la profittabilità futura del settore petrolifero. Questo induce i produttori a vendere il più possibile prima che sia troppo tardi.
L'impatto sull'Europa
In teoria, il petrolio a basso costo dovrebbe favorire la crescita economica con chiari vantaggi per i consumatori. In effetti, la maggior parte dei paesi che hanno mostrato una forte crescita nel 2015 sono importatori netti di greggio: tra questi si contano India e Pakistan oltre ad alcuni paesi Europei. Dobbiamo quindi preoccuparci del petrolio a buon mercato? Finora i prezzi bassi hanno facilitato la ripresa economica dell'Europa; guardando al futuro, tuttavia, la questione è più complessa. In particolare, il tasso d’interesse della BCE è già vicino allo zero e c'è poco spazio per una politica monetaria che sostenga la crescita e combatta le pressioni deflazionistiche associate al ribasso del petrolio. Se le aspettative sull’inflazione scenderanno al di sotto dell'obiettivo della BCE (2%), l'area Euro potrebbe dover affrontare un nuovo periodo di stagnazione economica. Il pericolo di deflazione è aggravato da altri problemi della zona euro, come l’invecchiamento della popolazione, il rallentamento della produttività, la disoccupazione strutturale e la debolezza del settore bancario europeo. Una crescita economica limitata implicherebbe anche una riduzione delle entrate fiscali e un'aumento dei deficit di bilancio, esattamente ciò di cui oggi l’Europa non ha bisogno vista la fragilissma stabilità macrofinanziaria generale e di alcuni paesi membri in particolare. Inoltre, la ripresa delle esportazioni dell'UE potrebbe essere messa in discussione dal rallentamento dell’economia Russa, il terzo partner commerciale dell'Unione Europea (UE), a seguito della crisi in Ucraina. Infine, il crollo dei prezzi del petrolio può portare a conseguenze che vanno ben oltre l’economia. L’instabilità politica nel Medio Oriente potrebbe essere acuita da un prolungato periodo di greggio a basso costo. La crisi in Siria e il relativo flusso di rifugiati e migranti verso la Grecia ha già messo in discussione l'unità politica della UE ma potrebbero essere solo l’inizio della vera crisi.
Il basso costo di un importante fattore di produzione come il petrolio può essere una buona notizia per l’economia Europea ma porta con se un elevato numero di punti interrogativi e scenari non troppo rassicuaranti per la già fragile Unione.
* Economista presso l’Università di Manchester (GB).
** Economista presso l’Università di Liverpool (GB).
di Paolo Pombeni
di Carlo Reggiani * e Yevgeniya Shevtsova **