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La memoria della Shoah nell’era dei selfie. Per un’etica dello sguardo
Ora che un’altra “giornata della memoria” è alle spalle, ora che le luci sono tornate a spegnersi in attesa della prossima ricorrenza prevista dal calendario civile, ora che si ripongono nel cassetto le citazioni di Levi e le immagini dello sterminio (o della sua pluridecennale ricontestualizzazione cinematografica), ora che i palinsesti televisivi si sono svuotati del cerimonioso omaggio alle vittime della Shoah (un omaggio prevedibile e sempre uguale a se stesso), ora che tutto questo è passato, è forse possibile sviluppare un ragionamento sul senso e i limiti di quella ritualità retoricamente sovraccarica che, un giorno all’anno, inonda carta stampata, social network, TV.
Come ricordava un paio di anni fa in un denso libretto Elena Loewenthal, che non può essere certo tacciata di scarsa sensibilità sul tema o, peggio, di aspirazioni negazioniste, «il 27 gennaio di ogni anno si evoca il ricordo della Shoah. Si organizzano eventi, incontri, celebrazioni ufficiali. Ma che cosa sta diventando questo Giorno della Memoria? Una cerimonia stanca, un contenitore vuoto, un momento di finta riflessione che parte da premesse sbagliate per approdare a uno sterile rituale dove le vittime vengono esibite con un intento che sembra di commiserazione, di incongruo risarcimento» (Contro il giorno della memoria, ADD editore, 2014). leggi tutto
La svolta politica di Theresa May
A seguito delle dimissioni di David Cameron,la nomina,il 13 luglio 2016, di Theresa May,figlia di un cappellano anglicano del Sussex, a Primo Ministro, ha segnato l’avvio di un nuovo corso della politica del governo conservatore. Secondo le enunciazioni vaghe e retoriche - “to build a stronger economy and a fairer society by embracing genuine economic and social reform” - sinora pronunciate dalla May, la nuova politica viene presentata esplicitamente come divergente dalla piattaforma elettorale del partito con cui il suo leader, Cameron, si era presentato nell’elezione generale del maggio 2015, vincendola con il 36,8% dei voti e assicurandosi il 50,8% dei seggi ai Comuni.
Nel discorso pronunciato il 5 ottobre 2016 alla conferenza del partito e in quello alla Lancaster House del 17 gennaio 2017 la May,procedendo oltre l’affermazione tanto tautologica quanto elusiva“Brexit is Brexit”, il ragionamento svolto dalla premier è, sostanzialmente, incentrato su di una interpretazione del voto referendario che trova scarso supporto, come del resto ogni tentativo di attribuire un unico motivo politico a similivotazioni, per loro natura inadatte a esprimere una direzione politica unitaria su questioni complesse e, piuttosto, tendenti a convogliare in un’espressione di volontà dicotomica aspirazioni o proteste fortemente differenziate. Il referendum, ha dichiarato nel discorso del 5 ottobre, “non è stato solo un voto per ritirarsi dalla EU” ma per “qualcosa di più ampio”, leggi tutto
L’islam europeo dei Balcani
Niente di nuovo sul fronte socialista?
Il primo turno della primaria della gauche francese ha certificato la crisi profonda del socialismo francese. Che Benoît Hamon, per tutti il terzo uomo di questa consultazione, negli ultimi sondaggi fosse in rapida risalita era noto. Non si pensava però che riuscisse a piazzarsi al primo posto, sopravvanzando il Primo ministro uscente Valls e “neo-colbertista” Montebourg. Il messaggio lanciato da militanti e simpatizzanti socialisti da questo punto di vista è stato chiaro. Valls si ferma al 31% perché rappresenta la continuità rispetto agli anni Hollande. Montebourg viene eliminato dalla corsa con il suo deludente 17% poiché ritenuto non credibile nel suo riproporre un socialismo anti-globalizzazione piuttosto arcaico. Hamon fa il pieno, soprattutto tra i giovani, perché viene percepito come il volto nuovo, l’outsider (anche se su questo punto si può e si deve discutere) portatore di un mix azzardato di difesa del modello sociale e di una sua innovativa (e utopica) rivisitazione, basti pensare agli accenti ecologisti e alla proposta di reddito universale di cittadinanza.
Due parole vanno però spese sulla partecipazione. La primaria che il 29 gennaio si concluderà con il ballottaggio Hamon-Valls si è aperta con un modesto livello di partecipazione. Bisogna però fare attenzione ad esprimere leggi tutto
Leggi elettorali e "second best"
In un recente saggio ("Le nouvel ordre électoral" - ed. Seuil) Hervé Le Bras ci spiega che il tripartitismo francese si è ormai affermato, ma aggiunge che le dinamiche elettorali tendono a premiare maggiormente, laddove si arriva a ballottaggi a due, la destra rispetto alla sinistra e a scapito (pressochè sempre) del FN di Marine Le Pen. Anche se il demografo francese si spinge ad ipotizzare un esito più agevole per l'eventuale sfidante della leader di estrema destra (con una vittoria più ampia se il "competitor" fosse di destra, rispetto ad uno sfidante di sinistra), lo studio mette in chiaro come, in un sistema dove ci sono tre blocchi disposti su un asse ben delineato (in questo caso: sinistra-destra) il soggetto politico che è idealmente in mezzo agli altri due (quindi centrale sul continuum, non necessariamente centrista) è favorito, perchè raccoglie i voti di chi - a sinistra e nel FN - lo considera come il male minore. Esaminando le elezioni del 2012, 2014 e le due tornate amministrative del 2015, Le Bras afferma che "grazie alla sua posizione centrale, la destra ottiene un numero di seggi ben superiore a quello che potrebbe ottenere in rapporto ai voti del primo turno" e aggiunge che "un Fronte Nazionale al 25 o 30% sembra annunciare un lungo periodo di dominio della destra", leggi tutto
Vecchi e nuovi razzismi: Che fare?
Berlino, Istanbul e prima Parigi e Bruxelles sono vittime della spirale di violenza terroristica che da qualche anno si è abbattuta nella nostra quotidianità. A due anni dalla terrificante strage di Charlie Hebdo il coro unanime di condanna che ha coniato l’ormai conosciuto “Je suis“ sembra essere sostituito da una paura crescente che produce inesorabilmente un razzismo diffuso in varie frange delle società cosiddette occidentali.
Un razzismo che tuttavia non nasce all’indomani degli eventi tragici che abbiamo riportato. In realtà, da tempo la minaccia esterna si è posta come capro espiatorio per rinfrancare l’io dominante del razzista che ricostruisce la sua vittima secondo i propri bisogni. In questo quadro l’oppressione che si desidera esercitare è nei confronti dell’arabo musulmano in quanto straniero che avrebbe superato la presunta soglia di tolleranza. Così dall’indifferenza sostanziale (che già è una forma di rifiuto) nei confronti del migrante trasparente, le nostre società legittimano la “valorizzazione delle differenze biologiche a vantaggio del dominante”. Ne consegue una narrazione zeppa di mito e alibi in cui viene presentata una figura del migrante arabo o dell’arabo europeo che non fa altro che riesporre quell’orientalismo diffuso nell’epoca della colonizzazione ampiamente decostruito a partire dalla fine degli anni settanta da Edward Said e da molti altri intellettuali. leggi tutto
Hollande cala il sipario
«Un quinquennato si giudica all’inizio e si sanziona alla fine» aveva anticipato nel corso della campagna presidenziale del 2012 il candidato socialista François Hollande. Da presidente in scadenza di mandato ha preferito togliere ogni equivoco. Giovedì scorso, di fronte alle telecamere, ha preso atto della distanza ormai incolmabile con i francesi: « Ho deciso di non candidarmi alle presidenziali » ha dichiarato, visibilmente emozionato, al termine di un discorso di una decina di minuti pronunciato all’Eliseo. Molti osservatori hanno paragonato la rinuncia di Hollande a quella di un altro socialista, Jacques Delors, che l’11 dicembre 1994 annunciò la propria indisponibilità a correre per le presidenziali della primavera successiva. La comparazione tuttavia non può tacere due differenze significative tra questi episodi. Innanzitutto Delors appariva all’epoca il grande favorito della corsa presidenziale, mentre Hollande sconta oggi una crisi di consenso senza precedenti, che avrebbe pregiudicato qualsiasi possibilità di permanenza all’Eliseo. In secondo luogo Hollande ha annunciato il suo rifiuto a candidarsi da presidente in carica ed è la prima volta nella storia della V Repubblica che un capo dello Stato rinuncia a correre per la propria successione al termine di un solo mandato.
Il presidente «normale» non è riuscito a guadagnarsi la fiducia dei propri compatrioti, stretto nella morsa leggi tutto
L’Austria vince una battaglia decisiva ma non ancora la guerra
Alexander Van der Bellen è il nuovo Presidente della Repubblica austriaca. Il candidato indipendente ed ex leader dei Verdi è stato eletto con una maggioranza di voti superiore alle attese (quasi il 54%), sconfiggendo Norbert Hofer (46%), il candidato ultranazionalista del Partito della Libertà (Fpö). È stato possibile giungere a questo risultato dopo un tortuoso percorso elettorale: il primo turno delle presidenziali in aprile, il ballottaggio in maggio, l’annullamento del risultato in luglio per irregolarità nello spoglio delle schede degli elettori residenti all’estero, il rinvio del nuovo ballottaggio, fissato inizialmente in ottobre, a causa della colla, evidentemente di scarsa qualità, impiegata per chiudere le buste destinate ai votanti all’estero e infine il ballottaggio buono del 4 dicembre scorso.
Ha vinto l’Austria europeista, inclusiva e aperta, mentre è stato sconfitto chi avrebbe voluto trasformarla nel primo Paese con un presidente di estrema destra eletto direttamente dal popolo, l’apripista di quell’internazionale del populismo xenofobo che gonfia le vele in tutta Europa. Vienna non entrerà dunque nel gruppo di Višegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), come aveva invece auspicato Hofer in campagna elettorale, richiamandosi a presunte radici culturali comuni ma soprattutto alla necessità di una gestione dell’immigrazione diversa da quella annunciata, leggi tutto
La socialdemocrazia al capolinea?
Ha fatto bene Michele Salvati, nel suo pezzo uscito domenica 27 novembre per “La Lettura”, a esporre la questione nei termini franchi e comprensibili di una metafora sportiva: se la politica odierna fosse un campo di allenamento, assisteremmo all’umiliante spettacolo del più classico “torello” tra due o più destre, con al centro quanto resta della sinistra a rincorrere inutilmente una palla che non riesce nemmeno a toccare. In questa poco invidiabile condizione si trova soprattutto la sfiancata socialdemocrazia europea, che insieme al fiato sta perdendo anche la lucidità. Fuori di metafora, Salvati mostra come sia oggi in corso un “perverso gioco di squadra” tra due destre che si confrontano – ma non disdegnano di cooperare – sin dagli albori del capitalismo moderno: una liberista e liberale, favorevole a una diffusione senza limiti del mercato come unico principio regolatore e ostile all’interferenza dello stato; e una populista, tradizionalista e comunitaria, pronta a convogliare lo scontento e le paure generate dagli eccessi della prima verso la chiusura autoreferenziale, verso l’ostilità nei confronti dell’“altro” e del “diverso”, verso la leggi tutto
Fillon candidato: punto e a capo
Ridotta all’osso è questa l’indicazione più univoca, ma anche più veritiera, delle primarie della destra e del centro francese. François Fillon parteciperà alla corsa all’Eliseo del 2017 e lo farà contando su una legittimazione giunta da su un voto franc et massif. Le primarie sono state un successo sia perché hanno prodotto un risultato netto - senza possibili polemiche e recriminazioni - sia perché hanno dimostrato la capacità organizzativa della destra post-gollista, sia infine perché hanno ridato dignità all’istituto stesso dell’elezione primaria. Il fatto che si sia imposto il “terzo uomo” (addirittura in certe fasi Fillon era stato presentato come il “quarto” o “quinto” dai sondaggi) e soprattutto che gli oltre quattro milioni di francesi che, a due riprese, si sono mobilitati non si siano fatti condizionare dai sondaggi così favorevoli ad Alain Juppé, getta obiettivamente una luce nuova su un metodo di selezione che, in Italia e Francia in particolare, qualche perplessità l’aveva sollevata. Il grande successo di immagine di queste primarie se è possibile deve essere ulteriormente amplificato considerato da dove si è partiti e cioè dalle “macerie del 2012”, con il partito orfano di Sarkozy, dilaniato dalla lotta intestina Copé/Fillon e poi gravato dai guai finanziari e giudiziari legati proprio all’ultima campagna presidenziale dello stesso Sarkozy, leggi tutto