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Con chi va l’Italia in un’Europa divisa?
Ripercorriamo il tracciato della parabola europea. Nel 2009 viviamo in un’Europa quasi granitica. Il sogno di tanti è intatto. Il 15 settembre 2008 la FED fa fallire Lehman Brothers che deflagra al centro dei mercati finanziari seminando terrore come un kamikaze. L’economia mondiale è preda a una sincope. Ecco che la Germania si fa paladina di una espansione della spesa pubblica per tutti i partners euro, indipendentemente dal loro debito pubblico, perché occorre reagire al drammatico stop dell’economia Usa. L’Europa agisce e naviga tranquilla. E’ porto sicuro in cui i paesi euro procedono concordi. La BCE aiuta la FED. I nuovi entrati dall’ex Comecon cominciano ad orientarsi nei corridoi di Bruxelles. Sono nella Ue dal 2004 dopo aver cercato a lungo la famiglia europea. Ora si attendono sicurezza e prosperità e vorrebbero non sentire più sul collo il fiato dell’orso russo. Alcuni si muovono per avere le scintillanti monete bimetalliche dell’euro con i loro simboli nazionali. Slovenia, Slovacchia e le tre Grazie Baltiche bussano ed entrano nel club di Francoforte. Anche Albione è ad un passo per abbracciare il baldanzoso euro. Delusa dagli Usa, le sue banche più prestigiose hanno investito nei mercati dei cugini yankee, ma i conti non tornano e i contribuenti britannici devono aprire la borsa per salvare una, leggi tutto
ONU: la complessa agenda di settembre
Settembre di fuoco al Palazzo di Vetro a New York. 13 settembre, apertura della 71° sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU. 19 settembre, svolgimento del primo Summit delle Nazioni Unite su Rifugiati e Migranti. 21 settembre, celebrazioni per la Giornata Mondiale della Pace. Dal 20 al 26 gennaio, interventi dei capi di Stato e di governo dei 193 Stati membri riuniti in Assemblea Generale. 9 e 26 settembre, quarto e quinto “straw poll”, ossia prova a porte chiuse in seno al Consiglio di Sicurezza, per l’elezione del nuovo Segretario Generale dell’ONU che prenderà il posto di Ban Ki-moon entro fine anno. Per tutto il mese concitati dibattiti in Consiglio di Sicurezza sulla guerra in Siria.
Dinanzi a questa agenda piena di eventi di alto livello e di rilevanti ricadute internazionali, straordinariamente ricca anche per la sede principale dell’ONU, l’attenzione mediatica è stata tuttavia pressoché completamente assorbita dall’esplosione avvenuta la sera del 18 settembre nel quartiere Chelsea sull’isola di Manhattan, fortunatamente senza vittime. I dibattiti e le conferenze dell’ONU sono allora passati in secondo piano presso tv e giornali, che hanno concentrato tutta l’attenzione sugli ulteriori standard di sicurezza adottati per presidenti, capi di governo, ministri, diplomatici, giornalisti e rappresentanti della società civile leggi tutto
La “Carta di Atene” dell’EUR-MED
Il 9 settembre 2016 si è riunito ad Atene il 1° Summit dei leader di sette “Paesi mediterranei” della EU (Francia, Italia, Spagna, Grecia, Malta, Cipro e anche Portogallo) e della “Carta di Atene” (“Athens Declaration”), firmata dai partecipanti. L’inclusione del Portogallo fra i Paesi mediterranei è una delle novità dell’evento, ma non la più rilevante. Più che per affrontare i problemi del Mediterraneo e dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in quanto tali, il Summit EUR-MED ha riunito i leader di alcuni membri della EU per affermare una comune visione dell’UE, enunciata nella “Carta di Atene”. In cosa consiste tale visione comune?
La “Carta di Atene” (pubblicata qui http://primeminister.gr/2016/09/09/15173) esordisce ribadendo l’impegno comune all’unità europea e la convinzione che, agendo insieme, i Paesi europei saranno più forti e i suoi cittadini in una posizione migliore per controllare il proprio futuro. Inoltre i leader dei paesi mediterranei rispettano la volontà espressa dal popolo britannico e sperano che il Regno Unito sarà in futuro un partner stretto della EU. Fin qui le novità non sono molto rilevanti, trattandosi di enunciazioni su cui tutti sono d’accordo.
Quindi i sette leader affermano di esser convinti che la EU necessiti di “un nuovo impulso” per affrontare le sfide che si presentano, “affermando i valori della libertà, leggi tutto
Macron parte seconda: pronti al decollo? O molto rumore per nulla?
In un commento apparso a fine aprile su queste colonne (http://www.mentepolitica.it/articolo/tutti-pazzi-per-macron/869 ), ci si chiedeva come sarebbe andata a finire tra il “presidente indolente” e il “ministro insolente”, cioè tra François Hollande e il suo ministro dell’economia Emmanuel Macron. Ebbene a quattro mesi e mezzo circa di distanza una risposta a quel quesito, seppur provvisoria, la si può dare. Macron ha preso una decisione e ha consegnato nelle mani del presidente le sue dimissioni. La tensione tra i due era oramai divenuta insostenibile e il meeting pubblico del suo nuovo movimento politico En Marche! a metà luglio è stato davvero l’ultima provocazione. Solo i tragici eventi di Nizza hanno poi ritardato un divorzio già certo prima della pausa estiva.
Dunque anche Macron abbandona la “zattera dell’Eliseo”. Ancora una volta un ministro dell’Economia, dopo le dimissioni a agosto 2014 di Arnaud Montebourg, che lascia la squadra di quello che assomiglia sempre più ad un “naufrago alla deriva”. In realtà le dimissioni di Macron sono piuttosto differenti, sia perché il giovane ex banchiere esiste politicamente solo grazie ad Hollande, sia perché in realtà questa uscita è stata soft, senza grandi proclami e senza particolare acrimonia. Le prime due domande da porsi sono proprio queste: perché ha scelto leggi tutto
La guerra dello sport
Dire che lo sport sia un campo di battaglia tra nazioni rivali e interessi spesso divergenti è una considerazione quasi banale. Due sono gli aspetti prettamente politici – e dunque, contesi – legati al mondo sportivo. Da una parte, dal punto di vista organizzativo, abbiamo a che fare con centri di potere in grado di muovere quantità di denaro notevoli ed avere un peso assai rilevante nel delineare la geografia politica e l’organizzazione sociale ed economica – basti pensare allo sfarzo e ai soldi spesi per le Olimpiadi di Pechino e Sochi. Dall’altra, per quanto riguarda la competizione sportiva vera e propria, questa è, dalla notte dei tempi, una proxy, non violenta per fortuna, della guerra – i meno giovani ricordano sicuramente le sfide all’ultimo sangue tra USA ed URSS, compresi i boicottaggi incrociati. Stiamo dunque parlando di soft power, prestigio internazionale e domestico, controllo su un ramo sempre più importante della global governance.
Questo prologo è indispensabile per capir meglio ciò che sta accadendo ultimamente nel panorama sportivo internazionale – dall’inchiesta sulla corruzione che ha scosso la FIFA allo scandalo doping che ha decimato la spedizione russa a Rio.
Il primo istinto ci porterebbe a derubricare tutto ad ordinaria amministrazione: chi potrebbe mai dubitare della corruzione dei vertici della FIFA? O del ricorso sistematico al doping in varie discipline dello sport russo? Eppure la politica fa inevitabilmente capolino leggi tutto
Merkel e Alternative für Deutschland: un «dramma» politico dall’esito non scontato
«Poche cose s’intraprenderebbero, se si volesse sempre riguardarne l’esito. E poi, non sono io di già preparata anco al più fatale?» Con un pizzico d’immaginazione, queste parole – tratte da un’opera teatrale del 1755 del drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing – si potrebbero attribuire retrospettivamente ad Angela Merkel nel momento in cui, nell’agosto 2015, annunciò la sua politica di accoglienza dei profughi siriani. Un anno dopo sono molti gli osservatori che ritengono che con quella apertura ai migranti la Cancelliera abbia compiuto un grave errore politico, forse il più grave da quando è al potere, che potrebbe mettere seriamente a repentaglio la prospettiva di un suo quarto mandato consecutivo. In effetti, da quando il dibattito politico tedesco è dominato dall’emergenza profughi, la Kanzlerin e il suo partito stanno registrando nei sondaggi e nelle elezioni regionali un significativo calo di consensi, mentre Alternative für Deutschland (AfD), l’unico partito esplicitamente contrario alla politica migratoria della Cancelliera, continua a macinare voti. Dopo le brillanti performances in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt nel marzo scorso, il partito di destra radicale guidato da Frauke Petry è uscito come il principale vincitore anche dalle elezioni di domenica scorsa in Meclemburgo-Pomerania, il Land orientale dove Merkel ha il suo collegio elettorale. Con il 20,8% dei consensi AfD ha superato i cristiano-democratici (CDU), leggi tutto
Ventotene e lo stato di “debolezza comune”
E’ evidente che con la scelta di Ventotene per il secondo vertice a tre (Francia, Germania, Italia) del dopo Brexit, Matteo Renzi ha cercato il gesto simbolico e ad effetto. Come hanno spiegato autorevoli opinionisti (tra i migliori i contributi quello di Giovanni Belardelli Un’Europa concreta con obiettivi chiari su Il Corriere della Sera del 15 agosto scorso e di Piero Graglia *) non ha molto senso comparare l’attuale situazione del processo di integrazione europea e i momenti bui del 1941 quando in esilio forzato sull’isola pontina, una pattuglia di antifascisti guidata da Altiero Spinelli, immaginava un’Europa unita e liberata dal giogo nazifascista. Ben poco di quell’anelito utopico e visionario si è concretizzato nelle successive formule della Ceca, della Cee e dell’Ue. Ma affermare questo non significa sottostimare l’importanza di quel momento e di quello scritto. Esserne consapevoli aiuta a ricordare quanto in politica, ieri come oggi, i simboli siano decisivi. E di conseguenza i tre mazzi di fiori deposti da Hollande, Merkel e Renzi sulla tomba di Spinelli possono rappresentare un passaggio importante, a patto che prefigurino davvero un nuovo inizio.
E un ipotetico nuovo inizio non può prescindere da una netta cesura rispetto alla condotta tenuta perlomeno nell’ultimo decennio leggi tutto
Smontare questa UE e ripartire dalla CED (e da Raqqa)
L’indebolimento dei ceti medi e la crisi morale delle nostre democrazie; il disordine mediorientale e l’insorgenza del totalitarismo jihadista; il revisionismo della Russia rispetto all’assetto post-guerra fredda e il crescente isolazionismo USA. E, su tutto, la prospettiva angosciante, ma non irrealistica, che le luci possano tornare a spegnersi sull’Europa, che una nuova età di ferro e di fuoco si stia preparando. Di tutto questo, a sentire i vari leader, dovrebbe occuparsi l’Unione europea. E invece tutte le energie saranno impegnate, per gli anni a venire, in un defatigante negoziato sull’uscita della Gran Bretagna. Non si può andare avanti così.
Ma come si è arrivati a questo punto? Occorre avere il coraggio di dire alcune verità. Ormai da molti anni, i cittadini degli Stati membri, ogni volta che sono consultati, immancabilmente si esprimono contro l’Unione. Se a lungo il principale merito dell’Unione è stato lo sviluppo di una forte solidarietà tra le nazioni europee, le ultime evoluzioni del processo di integrazione sono divenute motivo di divisione e di frattura (si pensi all’Euro e all’area Schengen). I miei amici federalisti hanno una risposta a questo problema: si è rimasti in mezzo al guado, occorre dotare di poteri federali l’Unione e il Parlamento europeo e tutto si risolverà. leggi tutto
Rivendicare il terrore
Terrore in sequenza: camion, pistole, asce, machete, zaini bomba o coltelli. Una serie pressoché ininterrotta di breaking news che hanno bombardato d’avvisi i nostri telefoni, affogandoli di notifiche socialmediatiche, pronte per dar sfogo al popolo degli usi a ribadir saccendo . E il terrorismo in Occidente è diventato automatico sinonimo di Daesh, o ISIS che dir si voglia. Molti di noi hanno dimostrato di dare per scontata la rivendicazione dell’atto di violenza da parte di Daesh. Il tutto senza prendere alcuna coscienza del fatto che nel momento in cui si dia per automatica l’affiliazione tra attentatori e Daesh ben prima di qualsivoglia verifica, si diviene involontari rappresentanti dello Stato Islamico, del terrore in cui investe e della sua crescente influenza. Basta esaminare il linguaggio nelle rivendicazioni Daesh per distinguere quali attacchi siano stati chiaramente diretti e coordinati, come Parigi e Bruxelles, e quali siano semplicemente stati ispirati dall’ideologia del gruppo. Da Bruxelles in qua, la maggior parte degli attacchi che Daesh ha finito per rivendicare è stata opera di singoli che non sono mai entrati in contatto diretto con il gruppo operativo del califfato. Si tratta di persone che non hanno avvisato Daesh che avrebbero operato in suo nome. E c’è una differenza netta tra le rivendicazioni leggi tutto
I giovani, il ruolo della storia e come reagire al“terrorismo di prossimità“
In poco più di un anno e mezzo e più precisamente dal 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, l’Europa è brutalmente entrata in nuova epoca. Sembra essersi concluso il periodo di effimera tranquillità nel quale le democrazie europee assistevano da lontano agli attentati terroristici che sconvolgevano la vita quotidiana di Kabul, Baghdad, Algeri, Beirut, Damasco, Aleppo.
Il susseguirsi di attacchi nel cuore dell’Europa ha visto l’ascesa di una nuova forma di minaccia che il sociologo Khaled Fouad Allam definiva “terrorismo di prossimità”. Una minaccia che può manifestarsi in qualunque momento e che traccia una situazione estremamente complessa in cui l’inquietudine assume il ruolo di protagonista. In tal modo le società europee sembrano precipitare nella pericolosa trappola della confusione tra Islam e islamismo che inesorabilmente rimanda ai drammatici avvenimenti dell’ 11 settembre 2001.
Negli ultimi mesi l’accelerazione di eventi drammatici tra i quali l’attacco alla capitale dell’Europa Bruxelles, la strage di Nizza e il più recente sgozzamento di alcuni ostaggi tra cui un prete in una Chiesa di Saint Etienne diffonde quel senso di paura che potrebbe far piombare in un altro terrore che l’Europa ha purtroppo già conosciuto e che porta il nome di totalitarismo. L’incertezza, il timore producono leggi tutto