Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
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Il Sigillum Magnum dell’Ateneo di Bologna a Ricardo Lagos

Francesco Davide Ragno * - 01.10.2016

Lo scorso 22 settembre, la Sala VIII Centenario del Rettorato dell’Università di Bologna ha ospitato la cerimonia di consegna del Sigillum Magnum a Ricardo Lagos Escobar, già Presidente della Repubblica del Cile tra il 2000 e il 2006. Un’onorificenza, quella del Sigillum Magnum, che in passatoha avuto per protagonisti personalità di primo piano negli ambiti politico e culturale (tra loro, Shimon Peres, Jacques Delors, Jean-Claude Juncker, Helmut Kohl, Romano Prodi e Umberto Eco).

Politico di lungo corso, Lagos ha iniziato il proprio cursus honorum come rappresentante cileno alla ventiseiesima Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1971, e alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), svoltasi a Santiago del Cile tra aprile e maggio del 1972. Già allora, Lagos aveva avviato una brillante carriera accademica, muovendo poi i primi passi nel mondo della politica. Formatosi alla Scuola di Diritto dell’Universidad de Chile, Lagos si era trasferito negli Stati Uniti dove, nel 1966, aveva conseguito il titolo di dottore di ricerca presso il Dipartimento di Economia della Duke University. Tornato in Cile, aveva iniziato la sua carriera accademica presso la Scuola di Scienze Politiche e Amministrative dell’Universidad de Chile che avrebbe diretto per due anni, prima di passare alla Segretaria General della stessa università. leggi tutto

Vertice UE di Bratislava: fedeli alla visione (anche quando non c'è)

Duccio Basosi * - 28.09.2016

Fedeli alla linea, anche quando non c'è,

quando l'imperatore è malato,

quando muore o è dubbioso o è perplesso.

CCCP Fedeli alla linea, 1986

 

 

Nei giorni scorsi la stampa internazionale ha commentato il vertice UE di Bratislava del 16 settembre principalmente sotto il profilo dell'inconcludenza, mettendo poi in rilievo come quelle poche decisioni pratiche, effettivamente prese nella capitale slovacca, indichino l'attuale predominio, nel continente, di una coalizione di fatto tra forze conservatrici in economia e forze nazionaliste (e xenofobe) in politica. Dal canto suo, la stampa italiana ha dovuto declinare questa stessa lettura dal punto di vista specifico del governo di Roma, sconfitto su tutta la linea, nonostante l'attivismo diplomatico delle settimane precedenti il vertice.

 

In effetti, scorrendo la seconda parte del comunicato finale, quella dedicata ai topolini partoriti dalla montagna, non vi è molto che si possa contestare a tale interpretazione.[1]Tuttavia, sul piano generale della politica internazionale, sono piuttosto le prime venti righe del comunicato a meritare di essere lette con attenzione. E' lì, infatti, che si rivelano nella loro pienezza tanto la profondità della crisi europea, quanto l'assenza di una qualsivoglia idea finalizzata a risolverla. Per molti versi, le frasi scritte nero su bianco in quelle righe configurano il comunicato finale del vertice come uno dei documenti più bislacchi della storia della diplomazia moderna. leggi tutto

La Cooperazione allo sviluppo, un'agenda in evoluzione

Claudio Ceravolo * - 28.09.2016

Lo scorso 20 settembre il Presidente Barack Obama, nel suo ultimo intervento davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha lanciato un forte messaggio sulla necessità di rilanciare la cooperazione allo sviluppo, senza la quale il mondo intero rischia catastrofi umanitarie come emigrazioni di massa, carestie, guerre crudeli.

Da alcuni anni la cooperazione internazionale è ritornata in primo piano, dopo un periodo di offuscamento, tra scandali e accuse d’inefficienza.

Negli anni della guerra fredda, infatti, la cooperazione allo sviluppo è stata più uno strumento per legare un paese del sud del mondo al proprio blocco, che un mezzo di promozione dello sviluppo umano e di lotta alla povertà.  In quelle condizioni giustamente si sono levate da parte della società civile voci indignate che denunciavano lo spreco di risorse e l’appropriazione da parte di poche élites dominanti di fondi che avrebbero dovuto finanziare scuole, sanità, infrastrutture.

Dalla fine degli anni ’90 si è avviata une riflessione che ha coinvolto governi, agenzie delle Nazioni Unite, Istituti di ricerca, Organizzazioni della Società Civile, e che ha portato due importanti risultati:

1)    la definizione di chiari principi per far sì che gli aiuti siano efficaci[1]. Perché ciò accada è necessario che:

  1. ogni paese guidi le scelte politiche e strategiche sul proprio sviluppo (Ownership)
  2. i donatori si allineano alle politiche, strategie e istituzioni del partner (Alignment)
leggi tutto

Fra lotta e governo

Luca Tentoni - 24.09.2016

In una democrazia funzionante, tutti i soggetti politici dovrebbero partecipare alle elezioni per vincerle e governare. Tuttavia, in molti casi (presenti e passati) ciò non è possibile per la marginalità elettorale del partito, sul piano della collocazione o su quello del peso in termini di voti o, ancora, per la volontà degli altri di non allearsi (la conventio ad excludendum); oppure è impossibile per motivi nazionali o internazionali o per autoesclusione del partito dal "gioco delle alleanze"; o, ancora, potrebbe essere - per periodi di tempo più o meno limitati - non conveniente per lo stesso soggetto politico. Si può gareggiare per non governare, dunque, e persino perchè non si reputa opportuno farlo. Del resto, alcuni partiti o movimenti hanno ottenuto grandi risultati pur senza essere al governo: fra tutti, un esempio per il passato (i Radicali italiani, con i loro referendum e le battaglie che hanno caratterizzato una parte importante della storia nazionale) e uno attuale (l'UKIP di Farage che ha avviato un processo diventato poi più ampio ed è riuscito nel suo intento di spingere la Gran Bretagna a votare l'uscita dall'Unione europea) lo dimostrano. In un bel libro scritto da Jean-Yves Camus e Nicolas Lebourg ("Les droites extrêmes en Europe", ed. Seuil, 2015) uno spazio è dedicato anche ai partiti cosiddetti "populisti": leggi tutto

Con chi va l’Italia in un’Europa divisa?

Gianpaolo Rossini - 24.09.2016

Ripercorriamo il tracciato della parabola europea. Nel 2009 viviamo in un’Europa quasi granitica. Il sogno di tanti è intatto. Il 15 settembre 2008 la FED fa fallire Lehman Brothers che deflagra al centro dei mercati finanziari seminando terrore come un kamikaze. L’economia mondiale è preda a una sincope. Ecco che la Germania si fa paladina di una espansione della spesa pubblica per tutti i partners euro, indipendentemente dal loro debito pubblico, perché occorre reagire al drammatico stop dell’economia Usa. L’Europa agisce e naviga tranquilla. E’ porto sicuro in cui i paesi euro procedono concordi. La BCE aiuta la FED. I nuovi entrati dall’ex Comecon cominciano ad orientarsi nei corridoi di Bruxelles. Sono nella Ue dal 2004 dopo aver cercato a lungo la famiglia europea. Ora si attendono sicurezza e prosperità e vorrebbero non sentire più sul collo il fiato dell’orso russo. Alcuni si muovono per avere le scintillanti monete bimetalliche dell’euro con i loro simboli nazionali. Slovenia, Slovacchia e le tre Grazie Baltiche bussano ed entrano nel club di Francoforte. Anche Albione è ad un passo per abbracciare il baldanzoso euro. Delusa dagli Usa, le sue banche più prestigiose hanno investito nei mercati dei cugini yankee, ma i conti non tornano e i contribuenti britannici devono aprire la borsa per salvare una, leggi tutto

ONU: la complessa agenda di settembre

Miriam Rossi - 24.09.2016

Settembre di fuoco al Palazzo di Vetro a New York. 13 settembre, apertura della 71° sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU. 19 settembre, svolgimento del primo Summit delle Nazioni Unite su Rifugiati e Migranti. 21 settembre, celebrazioni per la Giornata Mondiale della Pace. Dal 20 al 26 gennaio, interventi dei capi di Stato e di governo dei 193 Stati membri riuniti in Assemblea Generale. 9 e 26 settembre, quarto e quinto “straw poll”, ossia prova a porte chiuse in seno al Consiglio di Sicurezza, per l’elezione del nuovo Segretario Generale dell’ONU che prenderà il posto di Ban Ki-moon entro fine anno. Per tutto il mese concitati dibattiti in Consiglio di Sicurezza sulla guerra in Siria.

Dinanzi a questa agenda piena di eventi di alto livello e di rilevanti ricadute internazionali, straordinariamente ricca anche per la sede principale dell’ONU, l’attenzione mediatica è stata tuttavia pressoché completamente assorbita dall’esplosione avvenuta la sera del 18 settembre nel quartiere Chelsea sull’isola di Manhattan, fortunatamente senza vittime. I dibattiti e le conferenze dell’ONU sono allora passati in secondo piano presso tv e giornali, che hanno concentrato tutta l’attenzione sugli ulteriori standard di sicurezza adottati per presidenti, capi di governo, ministri, diplomatici, giornalisti e rappresentanti della società civile leggi tutto

La “Carta di Atene” dell’EUR-MED

Francesco Lefebvre D’Ovidio * - 21.09.2016

Il 9 settembre 2016 si è riunito ad Atene il 1° Summit dei leader di sette “Paesi mediterranei” della EU (Francia, Italia, Spagna, Grecia, Malta, Cipro e anche Portogallo) e della “Carta di Atene” (“Athens Declaration”), firmata dai partecipanti. L’inclusione del Portogallo fra i Paesi mediterranei è una delle novità dell’evento, ma non la più rilevante. Più che per affrontare i problemi del Mediterraneo e dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in quanto tali, il Summit EUR-MED ha riunito i leader di alcuni membri della EU per affermare una comune visione dell’UE, enunciata nella “Carta di Atene”. In cosa consiste tale visione comune?

 

La “Carta di Atene” (pubblicata qui http://primeminister.gr/2016/09/09/15173) esordisce ribadendo l’impegno comune all’unità europea e la convinzione che, agendo insieme, i Paesi europei saranno più forti e i suoi cittadini in una posizione migliore per controllare il proprio futuro. Inoltre i leader dei paesi mediterranei rispettano la volontà espressa dal popolo britannico e sperano che il Regno Unito sarà in futuro un partner stretto della EU. Fin qui le novità non sono molto rilevanti, trattandosi di enunciazioni su cui tutti sono d’accordo.

 

Quindi i sette leader affermano di esser convinti che la EU necessiti di “un nuovo impulso” per affrontare le sfide che si presentano, “affermando i valori della libertà,  leggi tutto

Macron parte seconda: pronti al decollo? O molto rumore per nulla?

Michele Marchi - 10.09.2016

In un commento apparso a fine aprile su queste colonne (http://www.mentepolitica.it/articolo/tutti-pazzi-per-macron/869 ), ci si chiedeva come sarebbe andata a finire tra il “presidente indolente” e il “ministro insolente”, cioè tra François Hollande e il suo ministro dell’economia Emmanuel Macron. Ebbene a quattro mesi e mezzo circa di distanza una risposta a quel quesito, seppur provvisoria, la si può dare. Macron ha preso una decisione e ha consegnato nelle mani del presidente le sue dimissioni. La tensione tra i due era oramai divenuta insostenibile e il meeting pubblico del suo nuovo movimento politico En Marche! a metà luglio è stato davvero l’ultima provocazione. Solo i tragici eventi di Nizza hanno poi ritardato un divorzio già certo prima della pausa estiva.

Dunque anche Macron abbandona la “zattera dell’Eliseo”. Ancora una volta un ministro dell’Economia, dopo le dimissioni a agosto 2014 di Arnaud Montebourg, che lascia la squadra di quello che assomiglia sempre più ad un “naufrago alla deriva”. In realtà le dimissioni di Macron sono piuttosto differenti, sia perché il giovane ex banchiere esiste politicamente solo grazie ad Hollande, sia perché in realtà questa uscita è stata soft, senza grandi proclami e senza particolare acrimonia. Le prime due domande da porsi sono proprio queste: perché ha scelto leggi tutto

La guerra dello sport

Nicola Melloni * - 10.09.2016

Dire che lo sport sia un campo di battaglia tra nazioni rivali e interessi spesso divergenti è una considerazione quasi banale. Due sono gli aspetti prettamente politici – e dunque, contesi – legati al mondo sportivo. Da una parte, dal punto di vista organizzativo, abbiamo a che fare con centri di potere in grado di muovere quantità di denaro notevoli ed avere un peso assai  rilevante nel delineare la geografia politica e l’organizzazione sociale ed economica – basti pensare allo sfarzo e ai soldi spesi per le Olimpiadi di Pechino e Sochi. Dall’altra, per quanto riguarda la competizione sportiva vera e propria, questa è, dalla notte dei tempi, una proxy, non violenta per fortuna, della guerra – i meno giovani ricordano sicuramente le sfide all’ultimo sangue tra USA ed URSS, compresi i boicottaggi incrociati. Stiamo dunque parlando di soft power, prestigio internazionale e domestico, controllo su un ramo sempre più importante della global governance.

Questo prologo è indispensabile per capir meglio ciò che sta accadendo ultimamente nel panorama sportivo internazionale – dall’inchiesta sulla corruzione che ha scosso la FIFA allo scandalo doping che ha decimato la spedizione russa a Rio.

Il primo istinto ci porterebbe a derubricare tutto ad ordinaria amministrazione: chi potrebbe mai dubitare della corruzione dei vertici della FIFA? O del ricorso sistematico al doping in varie discipline dello sport russo? Eppure la politica fa inevitabilmente capolino leggi tutto

Merkel e Alternative für Deutschland: un «dramma» politico dall’esito non scontato

Gabriele D'Ottavio - 07.09.2016

«Poche cose s’intraprenderebbero, se si volesse sempre riguardarne l’esito. E poi, non sono io di già preparata anco al più fatale?» Con un pizzico d’immaginazione, queste parole – tratte da un’opera teatrale del 1755 del drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing – si potrebbero attribuire retrospettivamente ad Angela Merkel nel momento in cui, nell’agosto 2015, annunciò la sua politica di accoglienza dei profughi siriani. Un anno dopo sono molti gli osservatori che ritengono che con quella apertura ai migranti la Cancelliera abbia compiuto un grave errore politico, forse il più grave da quando è al potere, che potrebbe mettere seriamente a repentaglio la prospettiva di un suo quarto mandato consecutivo. In effetti, da quando il dibattito politico tedesco è dominato dall’emergenza profughi, la Kanzlerin e il suo partito stanno registrando nei sondaggi e nelle elezioni regionali un significativo calo di consensi, mentre Alternative für Deutschland (AfD), l’unico partito esplicitamente contrario alla politica migratoria della Cancelliera, continua a macinare voti. Dopo le brillanti performances in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt nel marzo scorso, il partito di destra radicale guidato da Frauke Petry è uscito come il principale vincitore anche dalle elezioni di domenica scorsa in Meclemburgo-Pomerania, il Land orientale dove Merkel ha il suo collegio elettorale. Con il 20,8% dei consensi AfD ha superato i cristiano-democratici (CDU), leggi tutto