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20 aprile 2024
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I “paesaggi contaminati” di Martin Pollack e il salvataggio dall’oblio

Giovanni Bernardini - 19.03.2016

“Un laboratorio su un immenso cimitero”: questa era l’Europa all’indomani del primo conflitto mondiale secondo Thomas Masaryk, primo Presidente della neonata Repubblica Cecoslovacca. È difficile immaginare un ossimoro che concili più efficacemente le attese di un dopoguerra di pace e di sviluppo sociale, e il monito dell’immensa carneficina appena conclusa. “L’esperimento” fu tutt’altro che un successo e le speranze di un pacifico progresso lasciarono presto il posto a incubi reali di moderna barbarie, in primis il nazionalsocialismo, e a nuovi massacri che avrebbero insanguinato a lungo l’intera Europa.

Massacri talmente diffusi che Martin Pollack, scrittore e giornalista austriaco e soprattutto profondo conoscitore dell’Europa centro-orientale, paragona quest’ultima a un’enorme fossa comune nella quale regimi contrapposti, passaggi di eserciti o deliberate operazioni di sterminio su base razziale o ideologica hanno precipitato avversari e nemici lungo tutto il Ventesimo secolo. Spesso i posteri hanno dedicato a quelle vittime un doveroso riconoscimento sotto forma di steli, monumenti, lapidi individuali e collettive. In molti altri casi, tuttavia, questo non è avvenuto per una precisa volontà politica, per il desiderio di rimuovere un passato ancora fresco dalla memoria collettiva, o di procedere sbrigativamente alla ricostruzione materiale e morale, o semplicemente perché la negazione del ricordo era l’ultimo, estremo affronto alle vittime. In questi casi è stato l’ambiente circostante a farsi carico di ricoprire e mimetizzare i luoghi dei misfatti, producendo i tanti “paesaggi contaminati” che l’omonimo libo di Pollack, tradotto e pubblicato in questi mesi da Keller editore, esorta a individuare e a restituire a una doverosa mappa della memoria in Europa.

La “contaminazione” ha in realtà molte valenze che si sovrappongono nel breve taccuino di viaggio di Pollack. Essa è innanzitutto fisica, laddove la presenza di fosse comuni ha piegato e distorto il paesaggio, impedendogli il ritorno a una selvaggia normalità o condizionando i successivi tentativi di riappropriazione da parte degli uomini. Così il libro rivela che ancora oggi, in vaste zone dell’Ucraina, la presenza di punti vuoti o scarsamente produttivi nei campi fa dire a chi li lavora che la causa è la presenza di cadaveri di ebrei, magari seppelliti troppo superficialmente dopo sbrigative esecuzioni collettive. Ancora più preoccupante è però la contaminazione che da quel mancato riconoscimento sembra trasmettersi sul piano morale per chi, pochi metri di terra più in alto, in qualche modo ha riorganizzato la propria vita individuale e collettiva. La vicenda di un piccolo paese austriaco serve a Pollack per raccontare di un’esecuzione di massa degli ebrei locali certamente avvenuta nei dintorni, ma i cui particolari (a cominciare dal luogo esatto) gli abitanti si rifiutano di rivelare alle autorità o ai parenti delle vittime. Autorità che, in quel caso come in altri, hanno ritenuto “inopportuno” forzare le indagini per ragioni politiche o “forse perché temono la verità più dei fantasmi sanguinosi del passato”: perché i fantasmi si dileguano all’alba, mentre “la verità, invece, non conosce misericordia”.

Ma non è tanto sul piano della polemica che si dipanano i frammenti narrativi di Pollack, quanto sul continuo incitamento alla riscoperta, identificazione e monumentalizzazione dei luoghi in cui i massacri sono avvenuti: un passaggio obbligato innanzitutto per dare pace ai morti e ai loro discendenti. A giudizio dell’autore, infatti, l’assoluzione non può discendere da nessuna contabilità, per quanto accurata: “più importanti dei numeri sono i nomi delle vittime”, la cui insopprimibile individualità non può essere annullata da un freddo conteggio che riguarda soltanto la loro comune sorte. Perché il rovescio della medaglia delle grandi cifre è l’anonimato, che annulla le traiettorie personali e finisce per assolvere i colpevoli, anche loro “persone in carne e ossa”. La sottrazione all’oblio è però un imperativo morale che va ben oltre la pace dei defunti e che riguarda una matura resa dei conti col passato collettivo, così come Pollack ha cercato di fare per una vita con quello della propria famiglia (a cominciare dal padre, criminale di guerra ucciso negli ultimi giorni della Seconda Guerra mondiale). Questo non soltanto per chi si è reso colpevole, ma per i tanti che, pur sapendo, distolsero lo sguardo e furono così testimoni colpevoli di quanto avvenuto. E allora, letta con gli occhi dei nostri giorni, questa storia non può che rimandare ai fallimenti dell’Europa nell’affrontare la crisi umanitaria alle sue frontiere; ai barconi che scivolano nell’oblio del Mediterraneo con il loro carico di vite umane tutte diverse e tutte ugualmente degne di attenzione; ai “paesaggi contaminati” delle nostre coste che torneremo a frequentare durante la prossima estate.