Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Argomenti

Rivendicare il terrore

Vanja Zappetti * - 06.08.2016

Terrore in sequenza: camion, pistole, asce, machete, zaini bomba o coltelli. Una serie pressoché ininterrotta di breaking news che hanno bombardato d’avvisi i nostri telefoni, affogandoli di notifiche socialmediatiche, pronte per dar sfogo al popolo degli usi a ribadir saccendo . E il terrorismo in Occidente è diventato automatico sinonimo di Daesh, o ISIS che dir si voglia. Molti di noi hanno dimostrato di dare per scontata la rivendicazione dell’atto di violenza da parte di Daesh. Il tutto senza prendere alcuna coscienza del fatto che nel momento in cui si dia per automatica l’affiliazione tra attentatori e Daesh ben prima di qualsivoglia verifica, si diviene involontari rappresentanti dello Stato Islamico, del terrore in cui investe e della sua crescente influenza. Basta esaminare il linguaggio nelle rivendicazioni Daesh per distinguere quali attacchi siano stati chiaramente diretti e coordinati, come Parigi e Bruxelles, e quali siano semplicemente stati ispirati dall’ideologia del gruppo. Da Bruxelles in qua, la maggior parte degli attacchi che Daesh ha finito per rivendicare è stata opera di singoli che non sono mai entrati in contatto diretto con il gruppo operativo del califfato. Si tratta di persone che non hanno avvisato Daesh che avrebbero operato in suo nome. E c’è una differenza netta tra le rivendicazioni leggi tutto

I giovani, il ruolo della storia e come reagire al“terrorismo di prossimità“

Leila El Houssi * - 03.08.2016

In poco più di un anno e mezzo e più precisamente dal 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, l’Europa è brutalmente entrata in nuova epoca. Sembra essersi concluso il periodo di effimera tranquillità nel quale le democrazie europee assistevano da lontano agli attentati terroristici che sconvolgevano la vita quotidiana di Kabul, Baghdad, Algeri, Beirut, Damasco, Aleppo.

Il susseguirsi di attacchi nel cuore dell’Europa ha visto l’ascesa di una nuova forma di minaccia che il sociologo Khaled Fouad Allam definiva “terrorismo di prossimità”. Una minaccia che può manifestarsi in qualunque momento e che traccia una situazione estremamente complessa in cui l’inquietudine assume il ruolo di protagonista. In tal modo le società europee sembrano precipitare nella pericolosa trappola della confusione tra Islam e islamismo che inesorabilmente rimanda ai drammatici avvenimenti dell’ 11 settembre 2001.

Negli ultimi mesi l’accelerazione di eventi drammatici tra i quali l’attacco alla capitale dell’Europa Bruxelles, la strage di Nizza e il più recente sgozzamento di alcuni ostaggi tra cui un prete in una Chiesa di Saint Etienne diffonde quel senso di paura che potrebbe far piombare in un altro terrore che l’Europa ha purtroppo già conosciuto e che porta il nome di totalitarismo. L’incertezza, il timore producono leggi tutto

Le trappole dell’estremismo ultra-mediatico

Domenico Tosini * - 30.07.2016

I fatti di sangue che hanno terrorizzato l’Europa in queste ultime settimane (ad esempio, Nizza e Würzburg) si verificano sullo sfondo di una lotta armata, quella dell’estremismo islamico, che fa leva in modo sempre più accentuato sulla comunicazione via Internet. Una comunicazione a sua volta riflessa in maniera spesso incontrollata dai mass media (televisioni, giornali, social, ecc.). Le motivazioni e il processo di radicalizzazione dei killer responsabili di attentati terroristici presentano generalmente una zona grigia, dove, a seconda dei casi, si mischiamo in misura variabile: ragioni personali, talvolta legate a disturbi psichici, e simpatie politiche. Si tratta di una nebulosa fatta di ambiguità e ambivalenze, prontamente sfruttata dai gruppi armati, come lo Stato Islamico, che rivendicano la paternità degli attentati. Una nebulosa che, nel contempo, favorisce confusione, pregiudizi e interpretazioni semplicistiche.

 

Proviamo a confrontare alcuni massacri recenti, ad esempio quelli di Nizza e di Würzburg (rispettivamente del 14 e del 18 luglio), rivendicati dallo Stato Islamico, con altri episodi: ad esempio, Londra (luglio 2005), Parigi (gennaio e leggi tutto

L’Europa dell’integrazione: lotta alle discriminazioni attraverso la Biblioteca Vivente, uno strumento di dialogo interculturale.

Elisa Magnani * - 27.07.2016

In una Europa che professa il proprio impegno verso l’integrazione, la lotta al razzismo e la pacifica convivenza dei popoli all’interno dei propri confini - secondo quanto stabilito nei documenti costitutivi della stessa Unione e ribadito in ogni suo atto successivo, non da ultimo il “Libro bianco sul dialogo interculturale” del 2008 - la questione dell’accoglienza e dell’accettazione dell’Altro è ancora oggi critica e messa in discussione sempre più dall’arrivo di immigrati poveri e bisognosi, dalla convivenza con pratiche culturali sconosciute e spesso incomprensibili, e dall’infittirsi di episodi terroristici, fatti che sfidano le sicurezze socioeconomiche del vecchio continente.

Lotta ai pregiudizi, integrazione sociale e dialogo interculturale sono temi molto dibattuti in ambito sociologico e politico, sia a livello teorico sia a livello applicativo, da parte dell’amministrazione europea e a cascata dalle diverse unità territoriali che costituiscono l’Unione, soprattutto come conseguenza delle pratiche globalizzanti che portano sempre più alla mescolanza di persone e idee.

Tra le esperienze finalizzate a promuovere un’Europa rispettosa dell’alterità, di qualunque tipo essa sia, che dialoga con le culture e sostiene una visione di pacifica convivenza tra esse, coniugando un approccio teorico a una presenza concreta sul territorio, una in particolare leggi tutto

La scomparsa di Michel Rocard e le difficoltà del socialismo francese

Michele Marchi - 23.07.2016

Con la morte di Michel Rocard, il 2 luglio scorso, se ne va una parte importante della storia del socialismo francese e più in generale della sinistra europea. Al momento della commemorazione ufficiale agli Invalides, il presidente della Repubblica François Hollande non ha esitato a polemizzare più o meno direttamente con il suo Primo ministro Manuel Valls. Cosa aveva dichiarato nelle ore successive alla morte di quello che, a ragione (Valls è stato giovane collaboratore di Rocard a Matignon, tra il 1988 e il 1991), egli considera il suo padre politico? Aveva definito Rocard il simbolo, l’ emblema del carattere non conciliabile delle due “sinistre” francesi. Al contrario Hollande, nel suo elogio funebre, ha presentato lo stesso Rocard come personaggio politico di grande statura, cosciente della necessità di un’unione fra “première” e “deuxième gauche”, per poter garantire alla sinistra il governo del Paese.

La lunghissima parabola politica di Michel Rocard e nel complesso la storia della sinistra non comunista francese nel post Seconda guerra mondiale è ben riassunta da questa polemica a distanza tra Hollande e Valls.

Prima di avanzare qualche considerazione è necessario ripercorre le principali tappe della carriera politica di Rocard. Prima di tutto bisogna ricordare leggi tutto

Apprendisti stregoni

Daniele Pasquinucci * - 20.07.2016

Nel 1992 il presidente della Repubblica francese François Mitterrand impose un referendum per la ratifica del Trattato di Maastricht, per la elaborazione del quale il governo e la diplomazia francesi avevano impegnato molte risorse. L'iniziale diffuso ottimismo sull'esito positivo della consultazione popolare – concepita da Mitterrand come una ulteriore conferma della sua presidenza carismatica – venne gradualmente incrinato dal susseguirsi dei sondaggi, che mostravano l'incremento del numero dei cittadini contrari al Trattato, fino a mettere in discussione la ratifica e, conseguenza non meno importante, l'investitura a “nuovo padre dell'Europa unita” dell'ambizioso inquilino dell'Eliseo. I dubbi dei cittadini d'Oltralpe riguardavano soprattutto la cessione della sovranità monetaria. Così, in occasione di un dibattito televisivo svoltosi il 3 settembre, a pochi giorni di distanza dal referendum (previsto il 20 di quel mese), un teso Mitterrand fece onore al suo soprannome – “le Florentin” - e provò a rassicurare il popolo francese con un argomento a dir poco capzioso. Egli affermò infatti che “La Banca centrale [europea], la futura Banca centrale (...) non decide (...) I tecnici della Banca centrale sono incaricati di applicare nel campo monetario le decisioni del Consiglio europeo, prese dai dodici Capi di Stato o di Governo, vale a dire dai politici che rappresentano il popolo (...). leggi tutto

Dalla Brexit una sfida per l’Università italiana

Massimo Piermattei * - 16.07.2016

Lo shock seguito alla Brexit ha rimesso al centro del dibattito italiano ed europeo l’Ue, le sue istituzioni, le politiche che attua, i limiti e le contraddizioni che la caratterizzano nel tempo presente. Forse per la prima volta, più che in occasione delle vicende legate alla Grecia, ci si è resi conto di quanto sia profondo e complesso il legame tra uno Stato membro (i cittadini, le istituzioni locali, le imprese, ecc.) e l’Ue. La complicata procedura di uscita del Regno Unito, la posizione della Scozia di Nicola Sturgeon, gli interrogativi posti dagli “emigrati” dai Paesi membri Oltremanica, sono tutti esempi che evidenzianola problematicità della situazione; problematicità che per essere studiata e compresa ha bisogno di conoscenze e competenze specifiche – si pensi a quanto si è parlato dell’art. 50 del Trattato, tema finora sconosciuto ai più.

In un contributo pubblicato su «Mente Politica» a inizio febbraio si era segnalata l’assenza generale dell’Accademia italiana, e in particolare degli storici, dal dibattito pubblico e mediatico in Italia sulla Ue e sulle sue crisi – sono “altri” che parlano di Europa, non di rado approcciandosi per la prima volta a questi temi. In questa prospettiva, la Brexit può essere l’occasione per invertire la tendenza e per rimettere al centro di diversi percorsi formativi leggi tutto

Regno Unito: una democrazia parlamentare, dove l’aggettivo è più importante del sostantivo.

Ciro Sbailò * - 13.07.2016

Per un approccio meno drammatico al tema della sovranità popolare

 

Il referendum sulla Brexit dello scorso 23 giugno è senza dubbio una buona occasione per riflettere su “democrazia”, “populismo” o “crisi della rappresentanza”, in maniera tutt’altro che astratta. Esso ci aiuta a inquadrare il problema delle prospettive politiche dell’Unione europea. Si veda, a tale riguardo, il dibattito apertosi sul ruolo del Parlamento europeo e sui limiti dell’approccio “intergovernativo” difeso a oltranza dal governo tedesco: lo scossone del voto britannico sembrerebbe porre gli europei di fronte all’aut aut tra il big bang e la federazione. Ma ci spinge anche a inquadrare in una chiave “sistemica” le più recenti dinamiche politiche italiane. Ad esempio, si considerino le polemiche sorte intorno alle ipotesi di revisione dell’attuale sistema elettorale: in caso di ballottaggio elettorale nazionale, il Movimento 5 stelle avrebbe buone probabilità di prevalere sul PD e, forte di una maggioranza parlamentare blindata, di ambire legittimamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ciò sarebbe coerente con il principio della sovranità popolare, ma non si può negare come questa prospettiva rappresenti un incubo per gran parte della classe politica, leggi tutto

Dove vanno Inghilterra ed Europa dopo il divorzio?

Gianpaolo Rossini - 09.07.2016

Dove andrà l’Inghilterra? Dove andrà l’Europa? In una storia d’altri tempi gli attori cinematografici Richard Burton e Liz Taylor si sposano, divorziano e poi si risposano di nuovo. Forse per l’Inghilterra che sceglie il divorzio non sarà la stessa cosa. Ma di certo ogni possibilità è aperta e tutti i poteri sono in gioco, compreso quello giudiziario che potrebbe cominciare ad indagare sulla regolarità del voto del 23 giugno.  Ma le macerie sul campo sono tante di qua e di là della Manica. Da paese leader nel mondo occidentale la Gran Bretagna passa a soggetto internazionale alla deriva che non sa dove andare. Il paese dove sono nate le costituzioni mostra crepe inquietanti nel funzionamento della democrazia. I rappresentanti, cui sono delegate le decisioni popolari nelle  democrazie rappresentative, dimostrano irresponsabilità, incompetenza e profonda disonestà.  Si aggiunge poi il Chilcot report che trova le motivazioni all’entrata in guerra nel 2003 contro l’Iraq false, basate su informazioni di servizi deviati e di potenti media internazionali quali la catena di Murdoch, rivelatrici di una inquietante sudditanza della Gran Bretagna agli USA. La guerra contro il demonio “Saddam Hussein” più volte paragonato a Hitler inizia il 20 marzo 2003 per iniziativa del baldanzoso due Blair – Bush e  produce una devastazione globale diffondendo una guerra asimmetrica che chiamiamo terrorismo in ogni angolo della terra. leggi tutto

Per la storia di un’invasione, e di una catastrofe.

Londra, Baghdad

 

Dopo anni di ricerca d’archivio, interviste e di attesa il 6 luglio 2016 è stato finalmente pubblicato il cosiddetto Chicolt Report: un’inchiesta sul ruolo del Regno Unito nell’invasione ed occupazione dell’Iraq nel 2003. Il rapporto contribuisce a fare luce su un evento che segna in modo indelebile la storia internazionale dell’inizio del XXI secolo, e le cui conseguenze sono ben lungi dall’essere finite.

Come si ricorda nell’introduzione, il governo britannico decise di intervenire formalmente il 17 marzo 2003 e rimase una potenza occupante fino al 28 giugno 2004, per restare poi nel Sud-est del Paese come responsabile della sicurezza. I risultati principali a cui è giunta la commissione d’inchiesta riguardano il fatto che l’intervento armato non rappresentava lo strumento “di ultima istanza” (last resort) per impedire lo sviluppo delle armi di distruzione di massa da parte di Baghdad; queste ultime non esistevano o comunque il governo iracheno era lontano da poterle ricostruire dopo averle smantellate nel corso degli anni Novanta, come testimoniato dagli ispettori Onu guidati da Hans Blix. Le prove del possesso di armi di distruzione di massa erano false, costruite ad hoc, e il governo si affidò a queste ultime invece dei rapporti dell’Onu. Il Primo Ministro Tony Blair convinse il governo a seguire gli USA sempre e comunque, leggi tutto