Ultimo Aggiornamento:
15 marzo 2025
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Argomenti

Tocca ad Alain Juppé?

Michele Marchi - 29.10.2016

Quindi sarà Alain Juppé a vincere le primarie del centro-destra francese? E di conseguenza avrà ottime possibilità di diventare l’ottavo presidente della Quinta Repubblica francese?

Almeno cinque elementi possono realisticamente far pensare ad un successo del sindaco di Bordeaux alle primarie di fine novembre, così da proiettarlo poi con ottime possibilità verso la vittoria alle presidenziali della primavera 2017.

Il primo dato è quello dei sondaggi. Juppé è costantemente in testa e, anche dopo l’avvio della campagna del suo competitor più temibile, l’ex presidente Sarkozy, questo trend non è mutato. Dopo alcune settimane di lieve flessione, i punti di distanza tra Juppé e Sarkozy si sono attestati sui 10-12, a suo favore. Si può dissentire sul valore di questi sondaggi, ma non si può discutere il fatto che la “dinamica” sia tutta a suo favore.

Un secondo dato importante è quello del numero degli eletti della destra e del centro che lo sostengono. Anche qui il trend è in aumento costante. Sono oltre seicento tra deputati ed eletti locali e il significato politico è evidente: si sceglie di stare accanto a chi oggi può offrire più garanzie di ri-elezione futura. Peraltro molti deputati di peso stanno sfilandosi dal campo di Sarkozy per avvicinarsi a quello che presumono sarà il “carro del vincitore”. leggi tutto

“La virtualità sta uccidendo l’informazione”

Francesca Del Vecchio * - 22.10.2016

“Se il giornalismo vuole sopravvivere, deve abbandonare questo virtualismo e pensare a cos’è davvero una notizia. Altrimenti è destinato a morire”. È questo l’allarme di Silvia Finzi, Direttore del Corriere di Tunisi e presidente della sede locale della Dante Alighieri, nonché professore ordinario presso la Facoltà di Lingue e Letterature dell’Università di Tunisi. Cresciuta nel mondo del giornalismo e dell’editoria - suo padre Elia è stato fondatore e direttore del giornale fino al 2012, suo nonno Giulio, primo editore privato in Nord Africa - ha un’idea molto chiara della “malattia” che affligge l’attuale sistema dell’informazione.

 

Finzi, com’è cambiato l’approccio al giornalismo negli ultimi anni?

 

La gente legge sempre meno. Questo è un fatto. Un tempo, anche le persone di livello culturale medio-basso compravano il giornale. Adesso non lo compro più neanch’io, perché non ci trovo nulla in più rispetto a quanto trovo su internet. Non è una novità. Bisognerebbe, invece, indagare le cause.

 

Secondo lei, come è successo?

 

Il problema del giornalismo di oggi è l’eccesso di virtualismo. Provoca uno straniamento dalla realtà: l’annuncio di una bomba che fa migliaia di morti e leggi tutto

Luci e ombre della pubblicizzazione del privato.

Donatella Campus * - 19.10.2016

Una prova recente dell’avvenuta contaminazione tra politica e spettacolo è sicuramente venuta dagli USA con la candidatura di Donald Trump. Se il modello di Trump è quello del reality show (in linea con il suo famoso programma « The Apprentice », nel quale l’elemento centrale è quello della gara), altrove il terreno di incontro tra politica e cultura pop sembra essere piuttosto quello dell’intimizzazione, ovvero la politicizzazione della vita privata dei politici.

 

In Francia, ad esempio, da tempo la politica è caratterizzata dal fenomeno della « peopolizzazione »  (qui la parola « people» indica la gente famosa, soprattutto star dello spettacolo e dello sport). Almeno a partire dall’elezione presidenziale del 2007, nella quale i due sfidanti Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal erano divenuti  protagonisti della stampa popolare, il privato del politico è fortemente mediatizzato, sia in forma consensuale – cioè sono i politici che rivelano sé stessi in dichiarazioni e interviste – sia in forma non consensuale – dettagli e situazioni della loro sfera personale sono resi pubblici su iniziativa dei media.

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Dall’Ungheria alla Colombia, i rischi della logica referendaria

Giovanni Bernardini - 12.10.2016

Due storie profondamente diverse, che arrivano da luoghi separati da poco meno di diecimila chilometri. Eppure, a ben guardare, due storie che presentano similitudini interessanti e preoccupanti da non sottovalutare per il bene di tutti, a qualunque latitudine.

L’inizio di ottobre è stato segnato dal più capzioso dei referendum, organizzato dal Primo Ministro ungherese Orban per consentire al suo popolo di esprimersi – ovviamente per rigettarlo – sul sistema delle quote stabilito in sede UE per la ricollocazione dei rifugiati nel continente. L’intera operazione si è risolta in un imprevisto e fragoroso fiasco: una partecipazione al voto ben al di sotto del 50% ha portato all’annullamento del risultato, seppure il 98% dei voti abbia espresso il consenso alle intenzioni del governo. Col consueto piglio autoritario, Orban si è affrettato a ridimensionare il significato dell’astensione, a dichiararsi vincitore, ad avvisare Bruxelles che dovrà comunque tenere in conto l’espressione della volontà del popolo ungherese, e ad annunciare che introdurrà comunque una riforma costituzionale per riaffermare l’esclusiva competenza statale sulle quote di accoglienza. Una riforma che un alto rappresentante del suo partito ha giustificato con la necessità di difendere anche i milioni di ungheresi che hanno disertato le urne perché, evidentemente, non hanno compreso la gravità della posta in gioco. leggi tutto

House of Cards e Luigi XIV: la politica europea dopo il vertice di Bratislava

Omar Bellicini * - 05.10.2016

Frank J. Underwood, indimenticato protagonista della serie americana House od Cards, all'inizio della prima stagione lo spiega con ammirevole chiarezza: l'importanza acquisita si misura in base alla vicinanza (fisica) col cuore del potere. In Europa, il potere ha da qualche tempo un nome più ricorrente di altri: Germania. Dev'essere dunque in base a questo elementare principio politico che l'Italia di Matteo Renzi, dopo la rottura al vertice di Bratislava con l'asse franco-tedesco (o quel che ne rimane), non si è vista recapitare l'invito per l'incontro del 28 settembre tra François Hollande, Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Una risposta, o per meglio dire un messaggio per buoni intenditori, che dice molto dei guai in cui versa l'Unione, evidentemente incapace di muoversi oltre una navigazione di piccolo cabotaggio. Lo schema è più o meno il seguente: chi non si allinea agli orientamenti di Berlino viene posto ai margini. Chi li accoglie ha il privilegio di accomodarsi, almeno in apparenza, alla tavola del potere continentale: un onore che può essere speso a uso interno, comunicando ai propri elettori la "nuova rilevanza" assunta in sede comunitaria. Perché a questo si è ridotta l'Unione: a una recita, funzionale agli interessi nazionali. O, leggi tutto

Il Sigillum Magnum dell’Ateneo di Bologna a Ricardo Lagos

Francesco Davide Ragno * - 01.10.2016

Lo scorso 22 settembre, la Sala VIII Centenario del Rettorato dell’Università di Bologna ha ospitato la cerimonia di consegna del Sigillum Magnum a Ricardo Lagos Escobar, già Presidente della Repubblica del Cile tra il 2000 e il 2006. Un’onorificenza, quella del Sigillum Magnum, che in passatoha avuto per protagonisti personalità di primo piano negli ambiti politico e culturale (tra loro, Shimon Peres, Jacques Delors, Jean-Claude Juncker, Helmut Kohl, Romano Prodi e Umberto Eco).

Politico di lungo corso, Lagos ha iniziato il proprio cursus honorum come rappresentante cileno alla ventiseiesima Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1971, e alla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), svoltasi a Santiago del Cile tra aprile e maggio del 1972. Già allora, Lagos aveva avviato una brillante carriera accademica, muovendo poi i primi passi nel mondo della politica. Formatosi alla Scuola di Diritto dell’Universidad de Chile, Lagos si era trasferito negli Stati Uniti dove, nel 1966, aveva conseguito il titolo di dottore di ricerca presso il Dipartimento di Economia della Duke University. Tornato in Cile, aveva iniziato la sua carriera accademica presso la Scuola di Scienze Politiche e Amministrative dell’Universidad de Chile che avrebbe diretto per due anni, prima di passare alla Segretaria General della stessa università. leggi tutto

Vertice UE di Bratislava: fedeli alla visione (anche quando non c'è)

Duccio Basosi * - 28.09.2016

Fedeli alla linea, anche quando non c'è,

quando l'imperatore è malato,

quando muore o è dubbioso o è perplesso.

CCCP Fedeli alla linea, 1986

 

 

Nei giorni scorsi la stampa internazionale ha commentato il vertice UE di Bratislava del 16 settembre principalmente sotto il profilo dell'inconcludenza, mettendo poi in rilievo come quelle poche decisioni pratiche, effettivamente prese nella capitale slovacca, indichino l'attuale predominio, nel continente, di una coalizione di fatto tra forze conservatrici in economia e forze nazionaliste (e xenofobe) in politica. Dal canto suo, la stampa italiana ha dovuto declinare questa stessa lettura dal punto di vista specifico del governo di Roma, sconfitto su tutta la linea, nonostante l'attivismo diplomatico delle settimane precedenti il vertice.

 

In effetti, scorrendo la seconda parte del comunicato finale, quella dedicata ai topolini partoriti dalla montagna, non vi è molto che si possa contestare a tale interpretazione.[1]Tuttavia, sul piano generale della politica internazionale, sono piuttosto le prime venti righe del comunicato a meritare di essere lette con attenzione. E' lì, infatti, che si rivelano nella loro pienezza tanto la profondità della crisi europea, quanto l'assenza di una qualsivoglia idea finalizzata a risolverla. Per molti versi, le frasi scritte nero su bianco in quelle righe configurano il comunicato finale del vertice come uno dei documenti più bislacchi della storia della diplomazia moderna. leggi tutto

La Cooperazione allo sviluppo, un'agenda in evoluzione

Claudio Ceravolo * - 28.09.2016

Lo scorso 20 settembre il Presidente Barack Obama, nel suo ultimo intervento davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha lanciato un forte messaggio sulla necessità di rilanciare la cooperazione allo sviluppo, senza la quale il mondo intero rischia catastrofi umanitarie come emigrazioni di massa, carestie, guerre crudeli.

Da alcuni anni la cooperazione internazionale è ritornata in primo piano, dopo un periodo di offuscamento, tra scandali e accuse d’inefficienza.

Negli anni della guerra fredda, infatti, la cooperazione allo sviluppo è stata più uno strumento per legare un paese del sud del mondo al proprio blocco, che un mezzo di promozione dello sviluppo umano e di lotta alla povertà.  In quelle condizioni giustamente si sono levate da parte della società civile voci indignate che denunciavano lo spreco di risorse e l’appropriazione da parte di poche élites dominanti di fondi che avrebbero dovuto finanziare scuole, sanità, infrastrutture.

Dalla fine degli anni ’90 si è avviata une riflessione che ha coinvolto governi, agenzie delle Nazioni Unite, Istituti di ricerca, Organizzazioni della Società Civile, e che ha portato due importanti risultati:

1)    la definizione di chiari principi per far sì che gli aiuti siano efficaci[1]. Perché ciò accada è necessario che:

  1. ogni paese guidi le scelte politiche e strategiche sul proprio sviluppo (Ownership)
  2. i donatori si allineano alle politiche, strategie e istituzioni del partner (Alignment)
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Fra lotta e governo

Luca Tentoni - 24.09.2016

In una democrazia funzionante, tutti i soggetti politici dovrebbero partecipare alle elezioni per vincerle e governare. Tuttavia, in molti casi (presenti e passati) ciò non è possibile per la marginalità elettorale del partito, sul piano della collocazione o su quello del peso in termini di voti o, ancora, per la volontà degli altri di non allearsi (la conventio ad excludendum); oppure è impossibile per motivi nazionali o internazionali o per autoesclusione del partito dal "gioco delle alleanze"; o, ancora, potrebbe essere - per periodi di tempo più o meno limitati - non conveniente per lo stesso soggetto politico. Si può gareggiare per non governare, dunque, e persino perchè non si reputa opportuno farlo. Del resto, alcuni partiti o movimenti hanno ottenuto grandi risultati pur senza essere al governo: fra tutti, un esempio per il passato (i Radicali italiani, con i loro referendum e le battaglie che hanno caratterizzato una parte importante della storia nazionale) e uno attuale (l'UKIP di Farage che ha avviato un processo diventato poi più ampio ed è riuscito nel suo intento di spingere la Gran Bretagna a votare l'uscita dall'Unione europea) lo dimostrano. In un bel libro scritto da Jean-Yves Camus e Nicolas Lebourg ("Les droites extrêmes en Europe", ed. Seuil, 2015) uno spazio è dedicato anche ai partiti cosiddetti "populisti": leggi tutto

Con chi va l’Italia in un’Europa divisa?

Gianpaolo Rossini - 24.09.2016

Ripercorriamo il tracciato della parabola europea. Nel 2009 viviamo in un’Europa quasi granitica. Il sogno di tanti è intatto. Il 15 settembre 2008 la FED fa fallire Lehman Brothers che deflagra al centro dei mercati finanziari seminando terrore come un kamikaze. L’economia mondiale è preda a una sincope. Ecco che la Germania si fa paladina di una espansione della spesa pubblica per tutti i partners euro, indipendentemente dal loro debito pubblico, perché occorre reagire al drammatico stop dell’economia Usa. L’Europa agisce e naviga tranquilla. E’ porto sicuro in cui i paesi euro procedono concordi. La BCE aiuta la FED. I nuovi entrati dall’ex Comecon cominciano ad orientarsi nei corridoi di Bruxelles. Sono nella Ue dal 2004 dopo aver cercato a lungo la famiglia europea. Ora si attendono sicurezza e prosperità e vorrebbero non sentire più sul collo il fiato dell’orso russo. Alcuni si muovono per avere le scintillanti monete bimetalliche dell’euro con i loro simboli nazionali. Slovenia, Slovacchia e le tre Grazie Baltiche bussano ed entrano nel club di Francoforte. Anche Albione è ad un passo per abbracciare il baldanzoso euro. Delusa dagli Usa, le sue banche più prestigiose hanno investito nei mercati dei cugini yankee, ma i conti non tornano e i contribuenti britannici devono aprire la borsa per salvare una, leggi tutto