La necessità di riallacciare un dialogo con il mondo arabo
Oggi l'Europa appare sempre più terrorizzata dagli attacchi violenti dei terroristi dell'ISIS: imprevedibili e – al nostro modo di vedere – insensati, questi attentati stanno costantemente condizionando le abitudini dei cittadini del vecchio continente. Le intelligence varie, per una serie di motivazioni, stanno dimostrando di non essere preparate al pericolo incombente. Del resto appare difficile prevedere quando e dove ci sarà il prossimo gesto omicida. Inoltre, come l'esempio relativo a Salah Abdeslam ci ha mostrato chiaramente, nella maggior parte dei casi stiamo parlando di cittadini a tutti gli effetti dell'UE. Un vero e proprio cortocircuito che sta mettendo a dura prova il cosiddetto Spazio Schengen, con le clamorose richieste di sospensione parziale dell'accordo del 14 giugno 1985, uno dei passi più importanti nel quadro dell'UE. A essere in crisi, quindi, è l'intero prospetto di cooperazione del vecchio continente, già attanagliato da mille difficoltà e divisioni.
Direttamente collegata con il problema ISIS e con la capacità di risposta delle istituzioni figlie del trattato di Roma del 25 marzo 1957 è la questione del forte flusso migratorio che sta interessando l'Europa da diverso tempo e che recentemente è aumentato in maniera esponenziale. Il nesso con lo Stato Islamico, a mio avviso, non può riguardare solo e soltanto il transito di terroristi mascherati da richiedenti asilo politico: se ciò è sicuramente avvenuto, vale la pena di sottolineare nuovamente come molti attentatori siano nati e cresciuti nel vecchio continente. La faccenda, pertanto, presenta elementi molto più complessi; lo stesso fenomeno migratorio, infatti, sembrerebbe in parte riconducibile a una strategia del califfato atta a destabilizzare fortemente l'Europa. Vista in quest'ottica – che non esclude la precedente tesi, ma la completa –, la tattica messa in campo dagli uomini vicini ad al-Baghdadi sta purtroppo ottenendo risultati tangibili, minando le fondamenta della già precaria convivenza europea, in un momento in cui sono ancora presenti gli effetti devastanti della forte recessione economica. In questo scenario, piuttosto, appare fuor di dubbio l'incapacità dell'UE di affrontare seriamente la drammatica situazione dei migranti, un'emergenza umanitaria di fronte alla quale troppo spesso si tende a voltar la testa dall'altra parte, dimenticando come noi stessi in passato siamo stati a vario titolo un popolo di viaggiatori in cerca di fortuna.
Tutto ciò ci porta a fare una riflessione sul nostro rapporto con i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo e, in particolare, con il mondo arabo. Una relazione, a dire il vero, sempre difficile e dalle sfaccettature assai complesse ma che, malgrado tutto, era riuscita a intraprendere, nel corso degli ultimi decenni, percorsi interessanti. Partendo dalle importanti esperienze acquisite durante il lungo e complicato tentativo del dialogo euro-arabo, diversi sono stati gli sforzi europei di imporsi come attore regionale all'indomani della fine della guerra fredda: dapprima con la rivisitazione della politica mediterranea globale, trasformata nella politica mediterranea rinnovata nel 1990-91 e, poi, ad esempio, con il cosiddetto processo di Barcellona o partenariato euro-mediterraneo del novembre 1995. Parallelamente si svilupparono altre iniziative – come il Forum per il Mediterraneo e il dialogo 5+5 – volte a ricercare proposte per un rafforzamento delle politiche socio-economiche tra le due sponde, scontrandosi però con le persistenti difficoltà del processo di pace mediorientale. Più recentemente si è concretizzata l'idea dell'Unione per il Mediterraneo, ad opera di Sarkozy, che avrebbe dovuto promuovere la cooperazione economica e culturale. Tutti questi sforzi si sono però arenati definitivamente con il sopraggiungere della cosiddetta "primavera araba": spinte da una volontà di modernizzazione e di democrazia – di fatto elusa rispetto ai propositi insiti nelle nuove generazioni portatrici del cambiamento –, queste rivolte hanno profondamente modificato il palcoscenico geopolitico del Mediterraneo, creando nuovi equilibri di potere non sempre stabili, in cui l'ISIS sta trovando terreno fertile per attecchire.
Ora più che mai, quindi, per contrastare questa ascesa del califfato, occorrerebbe tentare di rimettere in moto un percorso di riavvicinamento che, sulla scorta delle precedenti esperienze, sia capace di creare un proficuo tessuto di relazioni socio-economiche e culturali. D'altro canto, è proprio la situazione corrente a imporre all'UE la ricerca di strategie differenti in grado di recuperare un ruolo di primo piano in un'area ancora molto importante per la propria stabilità e sicurezza: come durante gli anni del dialogo euro-arabo, il Mediterraneo – anche solo per una semplice vicinanza geografica – rappresenta sempre per l'Europa una tradizionale zona di influenza, un alleato cruciale e irrinunciabile per la tutela dei propri interessi e degli obiettivi economico-energetici.
* Silvio Labbate, ricercatore di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Storia, Società e Studi sull'uomo dell'Università del Salento, autore del recente volume "Illusioni mediterranee: il dialogo euro-arabo", edito con Le Monnier-Mondadori.
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