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L'analisi del sabato. Appunti sul voto in Europa

Luca Tentoni - 12.12.2015
Beppe Grillo e Marine Le Pen

Nell'analisi politica c'è spesso il rischio di incappare in alcuni indizi che "spiegano troppo". Ci sono circostanze, sia pure molto rilevanti, che però sono concause di un determinato fenomeno e che non bastano, da sole, a spiegarne la vera natura. Taluni hanno affermato, subito dopo il voto regionale francese del 6 dicembre, che l'avanzata del Fronte nazionale di Marine Le Pen era frutto della paura per gli attentati terroristici di Parigi. Forse sarebbe stato sufficiente riprendere alcuni sondaggi precedenti al 13 novembre e persino dati elettorali recenti significativi, per rendersi conto che c'era anche dell'altro. L'istituto Ipof, poi, ha diffuso un interessantissimo studio sul voto regionale dal quale si evince che solo il 16% degli elettori del FN ha cambiato intenzione di voto a seguito degli attentati. In altre parole, nel 28,4% ottenuto dai lepenisti c'è un 4,5% conquistato in seguito ai fatti di Parigi: ciò dimostra che il restante 23,9% era già acquisito o acquisibile anche senza il verificarsi di eccezionali eventi esterni al dibattito politico corrente. Alle elezioni europee del 2014, peraltro, il FN aveva ottenuto il 24,86% dei voti (prima ancora persino dell'attentato a Charlie Hebdo dello scorso gennaio, quindi). Nella vittoria dell'estrema destra francese non c’è solo la contingenza del terrore e neppure soltanto la linea "securitaria" di Marine Le Pen. Così come, nei risultati di Syriza in Grecia, di Podemos in Spagna, del M5S e della Lega nel nostro paese, tanto diversi fra loro per "collocazione" politica quanto per i contesti nazionali (senza contare che anche in Germania si sta "muovendo" qualcosa) ci sono ragioni profonde che spiegano uno spostamento elettorale così potente da scardinare il bipolarismo (in alcuni casi bipartitismo) che caratterizzava fino a pochi anni fa Spagna, Francia, Grecia, Italia. Un elemento di quel sondaggio Ifop sulle regionali francesi ci può fornire una via per proseguire nell'indagine. Mentre solo il 24-26% degli elettori di sinistra (FDG, Verdi, PS) e il 37% di centristi e LR di Sarkozy ha orientato il proprio voto più in funzione del valore nazionale che della scelta locale o regionale, gli unici ad aver messo la scheda nell'urna guardando più ai problemi generali (quelli che gli enti locali non possono risolvere) che agli altri sono proprio i lepenisti (55% contro 45%). E se è vero che, fra i temi che hanno supportato il voto ai partiti, l'accoglienza dei migranti e la lotta al terrorismo sono stati importanti per circa il 90% degli elettori del FN contro il 52% di quelli di sinistra, il 61-67% dei socialisti e il 71-77% di centristi e "repubblicani", è però vero che tutti sono concordi nel dare il primato nelle proprie preoccupazioni al problema del lavoro: il 93% medio, con differenze minime fra i partiti (92-95%). L'economia, dunque, sembra oggi il motore delle scelte politiche, più che nel passato. La sicurezza è - per così dire - un "tema di rinforzo" per partiti come il FN, ma il vero pericolo è la propria condizione occupazionale. Il partito della Le Pen ha ottenuto il 38% del voto dei disoccupati, contro il 24 dei socialisti e il 18 di LR-UDI-MoDem. C'è inoltre un fattore generazionale (osservato, peraltro, anche in Italia, dove il M5S ha più voti fra le fasce giovanili che nelle altre, sopravanzando il Pd), cioè fra le coorti più interessate dalla disoccupazione: ha votato FN il 33% dei francesi sotto i 35 anni (27% dai 35 in su) contro il 19% dei socialisti (25% over 35) e il 22% del raggruppamento di Sarkozy (contro il 29%). Infine, l'Ipof ci informa che chi ha deciso di votare nel corso delle settimane immediatamente precedenti le elezioni (il periodo concide all'incirca con la distanza fra i fatti di Parigi e il primo turno amministrativo) rappresenta il 40% dell'elettorato in generale, ma solo il 25% di quello lepenista. Quindi, l'effetto degli attentati si conferma importante ma non determinante. Non è la reazione alle bombe ad aver "creato" il consenso al FN. Che la linea politica in materia di immigrazione e lotta al terrorismo sia fra le motivazioni più forti del voto al FN (ma anche ad altri partiti europei come la Lega di Salvini) è dunque vero, ma non rappresenta il "nucleo" che porta un partito "antisistema" a competere per il primato nazionale. Torniamo, dunque, su un altro terreno, quello dell'economia, che accomuna i successi (molti dei quali in chiave anti-euro) di parecchi partiti di Francia, Spagna, Italia e Grecia. Il CISE-Luiss ci informa che fra i disoccupati il 38% voterebbe M5S, contro il 22% del PD. Fra gli operai, il M5S avrebbe, secondo lo stesso studio, il 46% dei voti, doppiando il partito di Renzi. Resta però difficile stabilire chi, in Italia, possa raccogliere un'affermazione simile a quella del FN francese. Lo scarso radicamento nelle grandi città (a Parigi i lepenisti sono ancora sotto il 10%) è simile alla difficoltà della Lega, la quale, come abbiamo visto alle regionali 2015, ha nei comuni non capoluogo percentuali di gran lunga superiori rispetto a quelle ottenute nei capoluoghi. Come dimensioni complessive nazionali, invece, FN e M5S si avvicinano. Lepenisti e "grillini" hanno in comune il fatto di non aver mai amministrato in passato neanche una regione, ma solo poche città, mentre la Lega è stata al governo del Paese per anni (e alleata con altre forze, cosa che FN e M5S sembrano escludere) ma anche alla guida di importanti regioni, province e comuni. Il motore del successo di tutti questi soggetti politici, però, come si accennava, è l'economia e, più in generale, il rifiuto degli attuali assetti europei (euro, Unione europea) e dello status quo nazionale (i sostenitori del M5S chiamano gli avversari "Pd meno L e Pd con L", mentre i lepenisti fanno altrettanto, accomunando nella sigla UMPS i socialisti di Hollande e i "repubblicani" di Sarkozy). Gli scardinatori dei bipolarismi, insomma, hanno una forte spinta di consenso dovuta alla crisi economica (che è la vera causa che li ha generati o ne ha accresciuto notevolmente i consensi elettorali), alle difficoltà dell'Unione europea, oltre che all'incertezza circa il futuro e al rifiuto della politica (declinati in modo diverso a seconda dell'offerta elettorale: FN e Lega puntano più su immigrazione e terrorismo, M5S e gli altri sull'opposizione ai partiti tradizionali e alla "Casta"). Fra questi nuovi soggetti politici, molti sono pronti ad assumersi responsabilità di governo (Syriza lo fa già; Podemos potrebbe; la Lega ha una certa esperienza, mentre FN e M5S non ne hanno). In comune hanno alcune caratteristiche, quasi tutte quelli vincenti che abbiamo solo tratteggiato. Hanno anche un nemico pericoloso che può frenarne le ambizioni: non i partiti tradizionali, ma l'astensionismo, molto più seduttivo. Questo è il loro limite: se - con gradazioni e accenti diversi - hanno in comune un messaggio semplice e diretto rispetto a quello più articolato e complesso delle forze politiche preesistenti, sono però in difficoltà rispetto all'argomentazione ancor più semplice e di forte presa nell'elettorato di chi pensa che andare alle urne (anche per scegliere loro) non cambierebbe la situazione. Il “nemico” di costoro, insomma, è quello che non si vede.