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Ancora e sempre FN? Il primo turno delle regionali francesi

Michele Marchi - 08.12.2015
FN Marine Le Pen

Per una volta i sondaggi sembrano aver interpretato correttamente la realtà. Anzi lo score del FN sembra aver superato le più rosee aspettative degli stessi dirigenti frontisti. Oltre il 28% a livello nazionale significa un ulteriore avanzamento rispetto al 24,9% delle europee e al 25,5% delle dipartimentali dello scorso marzo. L’affermazione del partito guidato dal 2011 da Marine Le Pen appare incontestabile: oggi il FN è il primo partito di Francia. Si può naturalmente obiettare che si è votato per elezioni regionali e che circa un francese su due si è astenuto (la partecipazione è comunque salita rispetto alle regionali del 2010 di circa tre punti percentuali e dai primi rilevamenti pare che, questa crescita, sia in larga parte avvenuta nelle aree di maggiore avanzamento frontista); ma è proprio la dimensione regionale del voto che, se osservata con attenzione, delinea un risultato ancora più sorprendente per il Front.

Le possibilità di vittoria finale di Marine Le Pen nella regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie sono più che reali. Con oltre il 40%, stacca di quasi sedici punti il candidato LR (l’ex ministro del governo Fillon Xavier Bertrand) e anche in caso di ritiro della lista socialista, giunta terza con appena il 18%, dovrebbe riuscire nella storica impresa di conquistare la regione. La situazione è simile per la nipote di Marine, Marion Maréchal-Le Pen, nella regione mediterranea PACA. Anche in questo caso il PS ha già annunciato il barrage républicain a favore del LR Christian Estrosi, ma potrebbe non essere sufficiente visto il 40,55% della candidata frontista (ancora quindici punti avanti rispetto al candidato della destra repubblicana) e il pessimo 16,5% della lista socialista. Ma se all’estremo nord e all’estremo sud gli ottimi risultati del FN erano attesi, a stupire ancora di più sono il 35% della lista FN guidata da Florian Philippot, numero due del partito, nella grande regione dell’est Alsace-Lorraine-Champagne-Ardenne, storico feudo della destra repubblicana. Qui il candidato del centro-destra arriva staccato di oltre dieci punti da quello frontista e solo il ritiro di quello socialista (annunciato ma non certo) potrà forse evitare la terza regione a guida FN. Infine se in Bourgogne-Franche-Comté e Centre-Val-de Loire ci si attendavano buoni score per il Fn e le due liste frontiste arrivano al primo posto rispettivamente con 32% e 30,5%, l’ultima sorpresa è il 31% di Louis Alliot, compagno di Marine Le Pen e capolista nella regione Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées, storico feudo della sinistra radicale e socialista. In questo caso determinante sarà la scelta dei LR. Se dovessero optare per ritirare il proprio candidato, fermo al 18%, il candidato PS (al 25,5% al primo turno) potrebbe conquistare la regione, altrimenti si prospetta un triangolare che potrebbe essere “letale” per la lista di sinistra.

In definitiva non ci sono dubbi sul vincitore di questo primo turno. Il FN ha, in maniera strategicamente ineccepibile, saputo mantenere intatto il trend positivo degli ultimi anni, passando indenne le delicate settimane del post 13 novembre. Gli attacchi terroristici di metà novembre hanno certamente reso ancora più attuali le parole d’ordine relative a sicurezza, lotta all’immigrazione incontrollata, critica all’Ue e alla sua inefficacia e contrasto all’islamismo radicale, tutti temi classici per il FN. D’altra parte però i rischi per il Front non mancavano e Marine Le Pen li ha evitati con cura. La figlia del fondatore ha assecondato, senza sposarlo completamente ma senza nemmeno denunciarlo in maniera evidente, lo spirito di union sacrée del Paese ferito ed emozionalmente provato. Ma soprattutto si è mantenuta lontana da reazioni umorali, impedendo ai quadri intermedi del partito prese di posizione bellicose e fuori dalle righe. Così facendo ha contribuito ancora una volta alla dédiabolisation del partito e alla progressiva creazione della sua immagine rinnovata di forza di governo e non più solo di soggetto politico anti-sistema. A tal proposito occorre infine ricordare che laddove il FN ha superato abbondantemente la linea del 30%, risulta oramai difficile accreditare il voto FN solo come voto di protesta e di rigetto. L’elettore che sceglie il FN certamente vuole mandare un segnale all’establishment ufficiale, vuole di certo ribadire la sua insurrection (come a scritto Le Figaro) e denunciare una sofferenza reale. Ma sottolineare questa dimensione destruens non deve occultare l’evoluzione oramai in atto: si vota FN per mandare i candidati frontisti alla guida delle istituzioni, è stato evidente alle amministrative del 2013 e 2015 e lo è ancor di più dopo questo primo turno di elezioni regionali. Un monito da non trascurare in vista del 2017.

Se il FN è il vincitore certo, anche se annunciato, il PS è lo sconfitto altrettanto certo e allo stesso modo annunciato. Il 23,47% a livello nazionale è un pessimo risultato, ma tutto sommato potrebbe anche essere letto come una sostanziale tenuta. Ben peggiore è il quadro se analizzano i dati a livello regionale. In otto regioni su tredici la lista socialista è arrivata in terza posizione, abbondantemente staccata e con pochissime (se non nulle) possibilità di conquistare la regione. Quasi certamente il PS manterrà il feudo storico della Bretagna (anche grazie al capolista Jean-Yves Le Drian, stimato ministro della Difesa) e quello dell’Aquitaine-Limousin-Poitou-Charentes. In Languedoc-Roussillon si è già detto dell’importanza della scelta del centro-destra, mentre in Ile-de-France Claude Bartolone (attuale presidente dell’Assemblée nationale) se la giocherà testa a testa con Valérie Pecresse (a lungo ministro durante la presidenza Sarkozy), sperando nei voti dell’elettorato ecologista e dell’estrema sinistra, che hanno totalizzato rispettivamente l’8% e il 6%.  Insomma nella migliore delle ipotesi possibili il PS vincerà quattro regioni (alle quali potrebbe aggiungersi la Corsica, che resta però un laboratorio politico sui generis). Sarebbe in fin dei conti una sconfitta onorevole, anche se nel 2010 il PS ne controllava 21 su 22 (solo l’Alsazia andò al centro-destra).

L’attuale voto regionale, dal punto di vista socialista, deve essere letto all’interno di quel trend che dall’arrivo di Hollande all’Eliseo ha visto la sconfitta in tutte le successive elezioni, si trattasse di cantonali, dipartimentali o europee. Il PS ha certamente avviato il suo cammino verso la sconfitta quando non è riuscito a chiudere un accordo per le varie liste regionali con gli ecologisti (peraltro in netto calo quasi ovunque), né tanto meno con il Front de Gauche. La frammentazione a sinistra è un dato da non trascurare. Determinante resta poi il giudizio pessimo sul quinquennato di Mitterrand, nonostante la recente risalita del presidente nella fiducia dei cittadini, grazie alla sua condotta nella guerra al terrorismo. Al di là delle ultime settimane nelle quali Hollande ha vestito, con successo, i panni del comandante in capo, il PS e l’inquilino dell’Eliseo si sono vicendevolmente trascinati verso il baratro proprio nel corso degli ultimi anni, in particolare mostrando una schizofrenia ideologica che ha condotto, ad esempio sul piano economico, da posizioni stile progetto comune della gauche anni Settanta (la tassazione sui ricchi di inizio mandato), al patto di responsabilità e all’ascesa del ministro dell’Economia Emmanuel Macron, evoluzione in stile neo-liberale. Nell’immediato il segretario del partito Cambadélis ha dato indicazione per il ritiro della lista PS nelle tre regioni di maggior successo del FN, chiamando dunque l’elettorato socialista al barrage républicain. Si tratta di una scelta al momento “palliativa”, mentre i conti si faranno la sera del 13 dicembre e le ricadute politiche potrebbero essere rilevanti.

Si è detto di un vincitore e di uno sconfitto, ma in realtà il quadro dei perdenti non è completo. Infatti, nonostante un discreto 26,8% su scala nazionale (giova ricordare che in tutte le regioni LR era alleato con i centristi), la destra repubblicana di Nicolas Sarkozy ha senza dubbio tradito le attese. E un giudizio di questo genere trova fondate ragioni sia analizzando il voto da un punto di vista locale, sia passando a considerazione di politica nazionale.

Il candidato dell’unione della destra repubblicana e dei centristi arriva al primo posto solo in quattro regioni  e di queste solo due sono praticamente già conquistate (si tratta di Pays-de-la Loire e di Auvergne-Rhone-Alpes). Infatti il candidato centrista Hervé Morin in Normandia è giunto primo con un solo un punto di distacco da quello frontista e, con il PS al 23%, lo attende un triangolare complicato. Altresì complicata appare la vittoria della già citata Pécresse in Ile-de-France, dato che il candidato socialista dovrebbe poter raccogliere una parte consistente del voto ecologista e di estrema sinistra, mentre la riserva di voti della destra repubblicana appare esigua. In secondo luogo laddove il candidato della destra repubblicana giunge secondo, lo fa con un distacco sempre molto importante nei riguardi del candidato frontista. Come già detto i pessimi score nel Nord e in PACA mettono davvero a rischio il secondo turno. Ma il vero emblema della sconfitta dell’alleanza tra centro e destra repubblicana si raggiunge nel Grand Est, la regione Alsace-Lorraine-Champagne-Ardenne. Al di là del risultato finale, gli undici punti di vantaggio del FN in una zona del Paese di forte tradizione gollista e democristiana, sono davvero un campanello d’allarme che l’attuale dirigenza LR non dovrebbe trascurare. In definitiva se il FN dovesse eleggere due, o addirittura tre presidenti di regione, la sconfitta sarebbe prima di tutto cocente per Les Républicains e avrebbe chiare ricadute a livello nazionale.

Questo primo turno è comunque già una parziale, ma evidente, bocciatura per la strategia dispiegata da Nicolas Sarkozy. Con questi risultati esce sconfitta l’idea che LR siano la vera opposizione al governo socialista. Il FN è il primo partito nazionale e di conseguenza Marine Le Pen può legittimamente indicare il suo partito come il primo partito di opposizione. In secondo luogo esce sconfitta la condotta tattica di Sarkozy, in particolare nel post 13 novembre. Les Républicains e il suo leader hanno oscillato tra la critica alle autorità politiche (socialiste) non in grado di garantire la sicurezza dei cittadini, la necessità di non alzare troppo i toni e mantenere saldo il fronte repubblicano contro la minaccia terroristica, per poi passare ad utilizzare, nell’ultima settimana di campagna, toni duri e parole d’ordine sul modello di quelle già usate dallo stesso Sarkozy nel 2012, nel tentativo di contrastare l’avanzata frontista. Infine una volta chiuso il secondo turno di domenica prossima, bisognerà valutare le ricadute del voto regionale sulla leadership della destra repubblicana. Non è un segreto che queste elezioni fossero vissute, in particolare da Sarkozy, come una sorta di pre-primaria a destra in vista della candidatura per le presidenziali del 2017. Gli avversari interni dell’ex presidente, e tra questi in particolare Alain Juppé, non hanno perso tempo e hanno già sottolineato che i risultati mediocri confermerebbero l’inefficacia della linea droitière dello stesso Sarkozy.

In attesa del secondo turno e dei verdetti dunque definitivi, bisogna ricordare che sull’esito finale non poco peseranno le decisioni delle segreterie del PS e dei LR relativamente al ritiro della proprie liste giunte in terza posizione. Se Cambadélis ha già dato alcune indicazioni perlomeno per tre regioni, Sarkozy ha confermato che il suo partito manterrà sempre i suoi candidati. Tale linea è già stata contestata da personalità di primo piano sia di centro (i leader dell’UDI Lagarde e del Modem Bayrou), sia di destra (Juppé, Raffarin e Nathalie Kosciusco-Morizet tra gli altri). La sera del 13 dicembre Sarkozy sarà giudicato anche valutando gli effetti concreti di questa scelta.

Infine una riflessione più sistemica: è possibile oramai parlare di quadro tripolare nel contesto politico transalpino? Per dare una risposta definitiva bisognerà naturalmente attendere le presidenziali del 2017 e forse ancora di più le successive legislative. È certamente in atto una dinamica che va nella direzione opposta al consolidarsi del bipolarismo. Il progressivo radicamento locale così come la guida di amministrazioni comunali, dipartimentali ed eventualmente regionali contribuiscono ad accreditare una dimensione “governativa” del FN. Parlare di fine della Francia bipolare e bipartitica può essere eccessivo. Cominciare a pensare che questo si realizzi può essere, oramai, un po’ più che ipotizzato.