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Caos in Medio Oriente: una proposta di lettura.
Il Medio Oriente sprofonda nel caos e nessuno sembra in grado di prevedere le conseguenze finali di un’onda che ha oramai spazzato via i vecchi assetti che avevano caratterizzato la regione per diversi decenni. Cambiamenti repentini e imprevisti mettono a nudo l’impreparazione delle leadership occidentali, incapaci di anticipare le novità e di definire una iniziativa politica che si collochi nel quadro di un progetto complessivo.
Nati nel quadro della prima guerra mondiale e alimentati dal desiderio delle potenze dell’Intesa di ridefinire il destino delle province arabe di un Impero ottomano sull’orlo del collasso, gli accordi Sykes-Picot sanzionarono l’egemonia di Londra e Parigi che stabilirono confini e governanti locali. Tuttavia per quanto imposta dall’esterno e talvolta sfidata senza successo dalle leadership locali, la razionalizzazione forzata dei confini regionali finì per dimostrarsi molto più duratura e solida di quanto fosse immaginabile. In una prima fase, le ambizioni panarabe dovettero battere in ritirata di fronte ai progetti britannici di dominio indiretto esercitato attraverso la dinastia hascemita e a quelli francesi di controllo sulla Siria e sul Libano. Quando però i diversi paesi dell’area ottennero l’indipendenza – a seguito dell’indebolimento delle potenze coloniali tradizionali dopo la seconda guerra mondiale - leggi tutto
Nuove conversioni. Il battesimo dei rifugiati in Germania
Che lo spostamento dei migranti sia un segno tra i più noti e caratterizzanti del nostro tempo è un’affermazione scontata, ma non sempre è facile tenere conto della sua complessità. Dentro tale complessità c’è da evidenziare un crescente numero di conversioni dall’islam al cristianesimo (specie alla confessione luterana) da parte dei rifugiati. Per cogliere i tratti caratteristici della questione – poco nota nel nostro Paese – è necessario volgere lo sguardo di là dai confini: alla Francia, dove Le Monde ha pubblicato un interessante reportage, ma soprattutto alla Germania e all’Austria, dove da anni se ne sta ragionando.
Chi arriva
Berlino, Hannover, Stoccarda sono solo alcune delle città in cui le parrocchie evangeliche stanno registrando un sempre crescente numero di conversioni, soprattutto da parte di donne e uomini provenienti da Afghanistan e Iran. Il fenomeno si sta inoltre allargando dalle città ai piccoli paesi ed è testimoniato anche in altri stati, come la Danimarca. Modi e ragioni della conversione sono diversi. A persone che sono già entrate in contatto con il cristianesimo in patria (e che talvolta sostengono di non averlo potuto abbracciare per paura) si aggiunge chi inizia a conoscerlo dopo leggi tutto
Dall’Islam politico alla democrazia musulmana in Tunisia: una prospettiva storica
Nel corso del X congresso del partito Ennahdha, che si è tenuto la scorsa settimana in Tunisia, si sono affrontate questioni importanti che potrebbero modificare profondamente la visione dell’Islam politico e favorire una sua ridefinizione.
Si tratta di questioni che erano state anticipate dal leader del movimento Rashid Ghannushi in un’intervista a Le Monde, apparsa alla vigilia del congresso.
Ghannushi ha infatti rivelato che l’Islam politico in Tunisia avrebbe ormai “perso una sua giustificazione” ed Ennahdha sarebbe pronto a proseguire il proprio percorso verso una “democrazia musulmana”. Ghannushi ha sottolineato il carattere democratico del partito e ha insistito sulla necessità di distinguere tra la «democrazia musulmana» cui si richiama Ennahdha e «l’islam jihadista estremista» da cui il partito prende le distanze.
In questo quadro, pur ribadendo la centralità della Moschea come luogo di culto, il leader del partito ha però separato la sfera dell’attività politica da quella religiosa. Si tratta indubbiamente di affermazioni importanti che rivelano l’evoluzione compiuta dal movimento/partito Ennahdha rispetto a quanto Ghannushi aveva dichiarato in una videointervista rilasciata nel giugno 2011 in cui aveva affermato che il suo partito riconosceva “il sistema multipartitico, la libertà di espressione, la dignità umana, la libertà individuale e le libere elezioni democratiche”in una cornice in cui – come leggi tutto
Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare: dalla COP 21 di Parigi alla PAC
Uno degli aspetti dei cambiamenti climatici meno discussi dai media, ma tra i più preoccupanti per il futuro della sopravvivenza umana sul pianeta, è l’impatto che essi genereranno sull’agricoltura e sulle altre attività primarie, che incidono pesantemente sulla sicurezza alimentare.
L’agricoltura, l’allevamento e la pesca sono legati da una duplice relazione ai cambiamenti climatici, con i primi che ad un tempo contribuiscono all’emissione di gas serra, e subiscono i danni causati dai cambiamenti climatici. La questione è poi connessa ad altri ambiti strategici per l’intero pianeta, che hanno a che fare con la globalizzazione dei sistemi di produzione e consumo del cibo; l’inquinamento; la diseguale distribuzione di beni, risorse e cibo; l’approvvigionamento e il consumo di risorse a scala globale, quali acqua, suolo, combustibili fossili.
Già nel 2011 le Nazioni Unite avevano stimato che, globalmente, circa il 40% dei terreni era degradato a causa dell’erosione dei suoli, della fertilità ridotta e del pascolo intensivo, prospettando una diminuzione della produttività e un calo anche fino al 50% dei raccolti negli anni a venire; avevano inoltre calcolato che l’agricoltura pesava per il 70–85% sull’impiego idrico mondiale e che nel 20% della produzione globale di cereali l’acqua veniva utilizzata in maniera non sostenibile. La Fao ha poi stimato che nei prossimi decenni i fattori ambientali potrebbero far salire i prezzi mondiali degli alimenti del 30-50% leggi tutto
Come comunica l’Isis: strategie di propaganda e indottrinamento
Dalla presa di Mosul, nell’estate del 2014, fino alle più recenti operazioni in Siria, abbiamo assistito allo spettacolo cruento di gole tagliate, di esseri umani bruciati vivi. Nonché ai proclami del califfo, al-Baghdadi, subendo, per lo più passivamente, i messaggi che l’Isis ha inviato al nemico occidentale. Nulla di più semplice, per lo Stato Islamico (Daesh in arabo) che utilizzare i media europei e statunitensi come cassa di risonanza per le proprie minacce e costruirsi una reputazione temibile. Ovviamente non è tutto: la propaganda islamica si plasma sulle esigenze del suo pubblico.
In primo luogo, va detto che quanto arriva sui nostri schermi o nei quotidiani è solo una parte, del tutto minoritaria, del complesso messaggio che lo Stato islamico veicola. Complesso perché, studi condotti in merito, hanno individuato, nella propaganda islamica, una costruzione stratificata.
A partire dalla dimensione locale, l’intento della comunicazione – i cui mezzi sono radio, pamphlet, volantini – è quello di avvicinare un pubblico non avvezzo ai social, raggiungibile anche con un semplice comizio di piazza. È una tecnica comunicativa che funziona in realtà geografiche limitrofe a quelle occupate dai jihadisti. Il messaggio di questa propaganda è del tutto diverso rispetto a quello cui siamo abituati: l’Isis garantisce ai futuri proseliti efficienza, quella stessa efficienza che un cittadino si aspetta dallo Stato. leggi tutto
Aspettando Aleppo
Nell’autunno del 2015 l’offensiva dell’esercito siriano, delle forze lealiste di Damasco con il sostegno massiccio di Iran, Russia e dei libanesi di Hizb’allah ha ri-equilibrato una situazione militare che vedeva sul campo il regime di Damasco in forte difficoltà. Le offensive dei ribelli nel nord-ovest del Paese, nella provincia di Idlib ai confini con la Turchia, a sud ai confini con la Giordania, ad est con l’avanzata dell’Organizzazione dello stato islamico che era giunto fino alla città di Tadmur/Palmira e la costante guerriglia nelle montagne che ad ovest dividono la Siria dal Libano avevano messo a serio repentaglio il potere di Damasco. Il coinvolgimento massiccio dell’aviazione russa e di suoi reparti sul campo ha permesso a Damasco di recuperare molto del terreno perduto nel 2015, mettendo in seria difficoltà le forze dei ribelli. Hanno messo in sicurezza la zona strategica della costa del Mediterraneo, hanno quasi cinto d’assedio le forze ribelli nella grande città di Aleppo minacciando le loro linee di rifornimento, e di fuga per la popolazione con la Turchia. Infine hanno ripreso la città di Tadmur/Palmira facendone un trofeo tanto reale quanto propagandistico. Nel nord, le forze curde espandono le aree sotto il controllo della cosiddetta rivoluzione della Rojava, contando sull’appoggio sia della Russia quanto sia Stati Uniti d’America, e una convergenza tattica con Damasco contro lo stato islamico e altri gruppi islamisti-jihadisti. leggi tutto
Il dilemma libico
Essere o non essere? Ovvero, essere una Libia moderna o un emirato islamista? Rimanere unita o dividersi in Tripolitania e Cirenaica? Di fondo, è questo l’amletico dubbio libico. Probabilmente mai, nella storia del paese nordafricano, il destino del paese è stato così incerto. Infatti, il suo futuro assetto politico, e addirittura la sua identità nazionale, sono oggetto di uno scontro ancor più acceso che quello per il controllo del petrolio.
Il Governo di Unità Nazionale, guidato da al Sarraj e di recente incruentemente insediatosi a Tripoli, nato sotto l’egida dell’ONU e ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, vorrebbe un paese unito e democratico. Però, dalla Cirenaica il generale Haftar impone una sorta di ricatto: o gli viene concessa la carica di comandante delle forze armate, o la Cirenaica proseguirà nella sua strada di autonomia dal governo di Tripoli. Per inciso, anti islamista e appoggiato da ex del regime e tribù cirenaiche, Haftar è fortemente inviso dai rivoluzionari e dagli islamisti di Tripoli; peraltro, e questo forse è l’attuale nodo centrale della questione libica, il governo di Tobruk cui è legato sta di fatto boicottando l’esecuzione dell’Accordo Politico Libico ONU rifiutandosi di riconoscere il governo di Sarraj.
Intanto, a Sirte e dintorni, il Da‘ish cerca di instaurare un emirato islamico aggregando -con risultati controversi- ex del regime e islamisti locali; leggi tutto
Ripartire dalle città. Perché le città modellano il territorio
La popolazione urbana mondiale ha ormai superato quella rurale e delle periferie.
In alcune regioni della Terra, come la “vecchia Europa” e l’America del Nord, il fenomeno urbano è pressoché stabile, mentre in altre, quelle ancora povere e/o che stanno affrontando un veloce e controverso processo di sviluppo, il tasso di urbanizzazione è in forte crescita, a dimostrazione che la città rappresenta ancora uno spazio geografico e un luogo esperienziale che riesce a dare risposte a bisogni e speranze. C’è di più: da alcuni studi si evince che almeno 1 miliardo delle persone “urbanizzate” in realtà occupa spazi informali, degradati e deprivati dei servizi e delle strutture adeguate alla sopravvivenza, che vengono chiamati slums, ossia le baraccopoli.
Questo dato implica che i pianificatori urbani e gli amministratori rendano più sostenibile la vita sia all’interno degli insediamenti sia negli interstizi urbani.
La storia delle città racconta di continui progetti compiuti per modificare e adeguare l’esistente (spazi pubblici, parchi urbani, boulevards); in altri casi, parla di piani per la costruzione di nuovi quartieri a ridosso della città, per ospitare cittadini in esubero o favorire un decentramento produttivo e sociale per rendere più equilibrato e meno congestionato l’uso del suolo urbano; oppure, di nuove città, costruite per svolgere funzioni economiche nuove e diverse rispetto a quelle delle città preesistenti leggi tutto
Il puzzle curdo
I curdi sono come il fuoco.
Se ti avvicini gentilmente, ti riscaldano.
Se ti avvicini bruscamente, ti bruciano
(Leyla Zana – Politica ed attivista curda contemporanea)
Guardando su una cartina la distribuzione della popolazione curda in Medio Oriente, sembra di essere di fronte ad un complesso e frastagliato puzzle, che si sovrappone ai confini di Siria, Iraq, Iran e Turchia. In realtà, ad essere travalicati dalla complessità della questione curda sono anche i confini politici, culturali, sociali e ideologici interni del popolo curdo stesso. In altri termini, i curdi sono accomunati dal Kurdayeti, ovvero il nazionalismo curdo, ma sono molto divisi sul come concretamente realizzarlo. Del resto non stupisce il fatto che i curdi, più che una lingua comune, parlino diversi dialetti affini. Protetti, ma anche divisi, dalle montagne oggi però la Storia sembra offrirgli una seconda opportunità di affermazione nazionale. Infatti, alla fine della prima guerra mondiale, il nazionalismo turco e gli appetiti franco-britannici non lasciarono spazio alla nascita di una nazione curda; oggi però il Califfato ha cancellato confini in Siria e Iraq, riaprendo la questione.
Oggi, la questione curda può essere letta su tre livelli strettamente interconnessi, ovvero quello internazionale, regionale e nazionale. Sul primo di questi livelli, la comunità internazionale ha sempre tenuto un atteggiamento cauto; leggi tutto
La necessità di riallacciare un dialogo con il mondo arabo
Oggi l'Europa appare sempre più terrorizzata dagli attacchi violenti dei terroristi dell'ISIS: imprevedibili e – al nostro modo di vedere – insensati, questi attentati stanno costantemente condizionando le abitudini dei cittadini del vecchio continente. Le intelligence varie, per una serie di motivazioni, stanno dimostrando di non essere preparate al pericolo incombente. Del resto appare difficile prevedere quando e dove ci sarà il prossimo gesto omicida. Inoltre, come l'esempio relativo a Salah Abdeslam ci ha mostrato chiaramente, nella maggior parte dei casi stiamo parlando di cittadini a tutti gli effetti dell'UE. Un vero e proprio cortocircuito che sta mettendo a dura prova il cosiddetto Spazio Schengen, con le clamorose richieste di sospensione parziale dell'accordo del 14 giugno 1985, uno dei passi più importanti nel quadro dell'UE. A essere in crisi, quindi, è l'intero prospetto di cooperazione del vecchio continente, già attanagliato da mille difficoltà e divisioni.
Direttamente collegata con il problema ISIS e con la capacità di risposta delle istituzioni figlie del trattato di Roma del 25 marzo 1957 è la questione del forte flusso migratorio che sta interessando l'Europa da diverso tempo e che recentemente è aumentato in maniera esponenziale. Il nesso con lo Stato Islamico, a mio avviso, non può riguardare solo e soltanto il transito di terroristi mascherati da richiedenti asilo politico: leggi tutto