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07 settembre 2024
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Argomenti

Settant’anni da Hiroshima e il disarmo nucleare ancora di là dal venire

Dario Fazzi * - 04.08.2015

“Adesso io sono diventato la Morte, il demolitore di mondi.” Così confessava di sentirsi Robert Oppenheimer, il padre delle bombe atomiche e direttore scientifico del progetto Manhattan, nel 1965. Davanti ad una telecamera instabile e in bianco e nero, prendendo in prestito le parole di una sacra scrittura induista, il Bhagavad Gita, e col volto solcato dalle lacrime, lo scienziato dimostrava di avvertire sulla propria persona tutto il peso di quell’enorme responsabilità che aveva investito la sua coscienza e quella di molti altri suoi colleghi. Un centinaio di migliaia di uomini in tutto che, nel gran segreto dei laboratori statunitensi, erano stati impegnati a trovare i modi più rapidi ed efficienti per imbrigliare le forze più nascoste e devastanti della materia. Dei novelli Prometeo che la guerra aveva messo di fronte alla più ardua delle sfide: donare all’umanità un fuoco che essi stessi sapevano essere pressoché incontrollabile e inestinguibile.

 

Il bombardamento di Hiroshima rivelò al mondo intero cosa potesse comportare bruciarsi con quel fuoco. All’istante e nel raggio di oltre un chilometro ogni forma di vita fu letteralmente spazzata via; radiazioni tossiche penetrarono solidi e liquidi, annidandovisi per decenni; venti che soffiavano a oltre mille chilometri orari lacerarono immediatamente carni e tessuti, strappando i corpi da delle ombre destinate a restare impresse su muri e selciati per l’eternità. E infine venne il silenzio ad annunciare leggi tutto

La vendetta di Erdogan.

Massimiliano Trentin * - 01.08.2015

Più passano i giorni, più la strategia del Presidente turco Erdogan diventa chiara. Ufficialmente la Turchia è entrata in guerra contro l'organizzazione dello Stato islamico e il Pkk curdo. In realtà, la vera guerra di Erdogan è contro le formazioni politiche curde in Turchia e nella vicina Siria.

In base agli eventi sul campo, Ankara ha accettato di partecipare alla Coalizione internazionale contro l'organizzazione dello Stato islamico. Dopo gli scontri, peraltro limitati e sporadici, tra le autorità turche e miliziani dell'autonominato califfo al Baghdadi, Ankara ha concesso il permesso a Washington di utilizzare la grande base aeronautica di Incirlik per effettuare i bombardamenti in Iraq e in Siria. Data la vicinanza geografica, questo permette di risparmiare tempo, e dunque carburante e denaro. Inoltre, la Nato spera che Ankara metta fine al flusso continuo di miliziani, armi, petrolio e merci di contrabbando tra la Turchia e i territori del supposto califfato nero. Nei fatti, dopo l'accordo del 7 luglio, le principali azioni militari contro i seguaci di al Baghdadi sono state condotte dagli alleati occidentali della Nato. Si sono registrati scontri armati nelle zone di confine tra Turchia e Siria, con l'esercito turco che ha bombardato alcune posizioni islamiste e, guarda caso, anche posizioni dell'YPG curdo-siriano. La proposta di creare una zona-cuscinetto "ISIS-free" è una formula tanto vaga quanto utile dal punto di vista diplomatico: risponde alla vecchia e pericolosa richiesta di Ankara di costituire nel nord della Siria una zona in cui le forze armate siriane non possano intervenire, leggi tutto

Buio in sala. L’altra faccia dell’America

Maurizio Cau - 28.07.2015

Dalla provincia americana non smettono di giungere dolenti notizie di morte, figlie di tensioni sociali  sempre pronte a degenerare in violenza (come negli scontri di Baltimora e Detroit tra la polizia e la comunità afroamericana) e dell’irrisolto problema della diffusione delle armi. L’ultima notizia in ordine di tempo è quella dell’omicidio di due donne in un cinema di Lafayette, Louisiana, ad opera di un uomo bianco che senza apparente motivo ha sparato tra gli spettatori. Obama ha espresso alla BBC la propria “estenuante frustrazione” per la mancata approvazione di una legge sul controllo delle armi, che a detta dello stesso presidente rappresenterebbe il più grande insuccesso del suo mandato.

Le notizie di violenza, morte e scontri sociali che provengono da oltreoceano si avvicendano senza sosta in una ripetitività che sembra dare assuefazione. I media italiani si limitano a dare notizia delle sparatorie e degli scontri, ma il contesto sociale e culturale in cui maturano questi episodi resta insondato, lasciando sostanzialmente inalterata l’immagine da vecchio West dalla quale la provincia americana non sembra in grado di emanciparsi.

Una buona occasione per muoversi oltre lo stereotipo, o anche solo per indagarne la tenuta, l’ha offerta di recente il cinema, che è in grado di descrivere molto meglio di altri media l’ambiente in cui il disagio sociale e la violenza prendono forma e si sviluppano. leggi tutto

L’Ecuador e il problema dell'interpretazione del messaggio del Papa

Fabio Giovanni Locatelli * - 23.07.2015

Sull'aereo di ritorno dall’America Latina, papa Francesco ha lamentato la cattiva interpretazione delle sue parole in Ecuador. Ha chiarito quindi il concetto di “ermeneutica totale” e il vero significato del suo messaggio.

 

L’interpretazione del presidente

 

Il giorno 5 luglio, l’aereo con a bordo papa Francesco è atterrato all’aeroporto della capitale dell’Ecuador, Quito. Qui il pontefice ha pronunciato un discorso sulla necessità del dialogo e dell’inclusione sociale.  Infine, ha affermato, dirigendosi al presidente Rafael Correa, “potrà contare sempre sull’impegno e sulla collaborazione della Chiesa, per servire questo popolo ecuadoriano che si è rimesso in piedi con dignità”. Nei giorni successivi, il presidente Correa durante un’intervista alla CNN ha dichiarato che il pontefice con quella frase volesse esprimere la propria solidarietà con la “Revolución Ciudadana”. Questo è il nome del processo politico guidato dal presidente Correa, al potere dal 2007. In concreto, il Governo ha investito milioni di dollari, ottenuti principalmente dal petrolio, nelle infrastrutture, nel settore energetico, nel sistema educativo e nel settore della salute. La politica redistributiva ha ridotto la povertà ed ha ingrandito la classe media. Il paese, a detta di molti e anche di alcuni oppositori, è cambiato in positivo durante il Governo Correa. Per questo il presidente ha pensato che il Papa con l’espressione “questo popolo ecuadoriano che si è rimesso in piedi con dignità” volesse esprimere il suo appoggio alla causa della Revolución Ciudadana. leggi tutto

Accordi estivi?

Dario Fazzi * - 21.07.2015

Il mese di luglio, per una di quelle strane coincidenze che di tanto in tanto puntellano la storia contemporanea, sembra essere un mese particolarmente propizio per la conclusione di accordi in ambito nucleare. Nel luglio del 1963 le superpotenze della guerra fredda siglavano il loro primo storico accordo, impegnandosi reciprocamente a bandire i test atomici in atmosfera. Il primo di luglio del 1968 si raggiungeva la firma del trattato di non-proliferazione, il cui merito principale, oltre a quello di aver oggettivamente rallentato la diffusione degli arsenali atomici, è oggi quello di trattenere lo stesso Iran al tavolo negoziale. Mentre fu alla fine di un altro luglio, quello del 1991, che l’allora presidente statunitense Bush e il premier sovietico Michail Gorbaciov decisero di dare il via agli accordi START e mettere così in moto un processo di progressiva riduzione degli armamenti strategici ancora oggi in continua evoluzione.

Eppure, la stessa storia contemporanea dimostra come spesso i buoni propositi estivi si siano dissolti con l’approssimarsi di lunghi autunni, forieri di nuvole cariche di sospetti e sfiducia. Del resto, la persistenza stessa sullo scenario globale di oltre 15.000 testate nucleari, la costante minaccia che gruppi transazionali fuori controllo possano acquisire il materiale necessario a costruire ordigni atomici rudimentali e numerose incertezze legate a scelte di politica prevalentemente interna delle varie parti riunite a Vienna pongono se non altro dei seri dubbi sulla reale portata storica e sulla effettiva tenuta dell’accordo siglato con l’Iran. leggi tutto

Ecuador, Bolivia, Paraguay: un viaggio alle origini del cristianesimo popolare.

Claudio Ferlan - 16.07.2015

Il recentissimo viaggio di Francesco in America Latina si pone a buon diritto sulla via inaugurata fin dai primi giorni del suo pontificato. Così come accaduto in Europa, infatti, il papa ha preferito visitare le periferie e i paesi più poveri quali sono Ecuador, Bolivia e Paraguay. Le linee pastorali dell’azione di Bergoglio risaltano ancora più evidenti se analizzate alla luce del suo rapporto con il continente di origine.

 

Teologia del popolo

 

L’elezione di Francesco ha di molto accresciuto l’interesse per la cultura teologica latinoamericana: prima del 13 marzo 2013 in Europa ben pochi tra i non addetti ai lavori avevano sentito parlare di teologia del popolo. Si conosceva magari la teologia della liberazione, ma più per le sue implicazioni politiche che per i suoi fondamenti teorici. Tra le numerose pubblicazioni che negli ultimi due anni sono apparse (per lo più tradotte) nelle librerie italiane, una più di altre ci aiuta a comprendere ragioni e termini del recente viaggio. Mi riferisco a “Introduzione alla teologia del popolo. Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello” (Emi 2015, ma l’edizione argentina è del 2012), scritto da Enrique Ciro Bianchi con prefazione dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. In sintesi, il pensiero di Tello – teologo al quale Francesco deve molto leggi tutto

Stati Uniti – Iran: finalmente l'accordo

Massimiliano Trentin * - 16.07.2015

Dopo una lunga maratona di negoziati, martedì 14 luglio 2015 la Repubblica islamica dell'Iran ha concluso un accordo con i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, più la Germania. In cambio di un regime di controlli stringenti, l'accordo prevede che l'Iran potrà continuare il suo programma di sviluppo dell'energia nucleare per scopi pacifici e vedere la fine dell'embargo economico e finanziario a cui il Paese è sottoposto da quasi dieci anni.

Nei fatti l'accordo perfeziona quanto già deciso dal punto di vista politico a Ginevra il 2 Aprile scorso, dopo ormai due anni di intensi negoziati. Questi mesi sono serviti a individuare i dettagli tecnici relativi al regime di ispezioni a cui il Paese medio orientale dovrà sottoporsi, così come al processo di revoca delle sanzioni internazionali che riporteranno l'Iran a pieno titolo nella comunità politica internazionale così come nei mercati economici globali. "Storico" è l'aggettivo che qualifica molti dei titoli e degli editoriali di giornali della regione: dal Teheran Times, ovviamente filo-iraniano, al filo-saudita Arab News, dunque decisamente più diffidente.

Come sottolineato dal Presidente USA Barack Obama al New York Times, l'accordo deve essere valutato oggi e nel futuro per quello che prevede: cioè, prevenire che l'Iran si doti dell'arma nucleare, mentre possa proseguire nel programma pacifico di sfruttamento dell'energia dell'atomo. leggi tutto

Il movimentato ventennale di Srebrenica

Davide Denti * - 14.07.2015

Sabato 11 luglio la Bosnia ed Erzegovina, così come tutto il mondo, ha commemorato i vent’anni dall’uccisione a sangue freddo di almeno 8.372 uomini, vecchi e bambini bosniaco-musulmani a Srebrenica, da parte delle milizie serbobosniache di Ratko Mladic e Radovan Karadzic e dei loro sponsor della Serbia di Slobodan Milosevic. Corpi sepolti in fosse comuni e poi traslati in varie fosse secondarie, per nasconderne le tracce. Il più grave massacro avvenuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, che due corti internazionali diverse (il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia e la Corte Internazionale di Giustizia) hanno riconosciuto come atto di genocidio, per la sua scala e modalità.

E’ stato un ventennale movimentato, segnato da contrapposizioni e negazionismi. Tutto era iniziato con l’arresto in Svizzera di Naser Oric, ex combattente bosniaco considerato l’estremo difensore di Srebrenica durante l’assedio dell’enclave nel 1992-95, ma un criminale di guerra secondo i serbobosniaci. Oric, già assolto dal tribunale dell’Aja, è stato infine estradato nella sua Bosnia anziché in Serbia, da dove proveniva il mandato di cattura, ma il caso aveva fatto rimontare le tensioni. Il sindaco di Srebrenica, Camil Durakovic, aveva annunciato la sospensione della commemorazione del ventennale in caso di mancato rilascio di Oric, per impossibilità di garantirne la sicurezza. leggi tutto

Il tentativo di destabilizzazione della Tunisia

Leila El Houssi * - 02.07.2015

Venerdì 26 giugno, durante il Ramadan, sulla spiaggia di un noto hotel di Port El Kantaoui, a pochi chilometri dalla città di Sousse, un giovane di 23 anni, Seiffedine Rezgui ha assassinato 40 turisti che stavano trascorrendo le loro vacanze.

A pochi mesi dall’attentato del Bardo, la Tunisia viene nuovamente colpita, con un attacco ancora più cruento, con lo scopo di voler far naufragare la delicata transizione del paese.

Il nuovo attacco alla Tunisia, modello esemplare di quel laboratorio politico che è stato in grado di portare il paese a una transizione democratica dopo la rivolta del 2011, sembra rivelare una strategia ben definita. Il terrorismo che si muove nello spazio globale di un Islam mondializzato ( K. F. Allam, 2015) attraverso il meccanismo della paura, punta alla destabilizzazione della democrazia tunisina. Il progetto di destabilizzazione di Da’sh (Isis) ha avuto inizio tramite un reclutamento su larga scala di adepti, tanto che la Tunisia raggiunge il triste primato di “esportatore di jihadisti” verso la Siria e l’Iraq. Secondo le stime fornite dal ministero degli interni nel 2014 sarebbero stati arruolati circa 2400 giovani tunisini attraverso la rete costituita da social networks, le moschee, alcune associazioni culturali o le carceri.

In gran parte dei casi, si tratta dei rappresentanti di quella generazione del cambiamento, che all’indomani della rivolta del 2011, ha vissuto un profondo malessere, alle prese con la pesante situazione nel mercato del lavoro. La disoccupazione ha creato frustrazione e malcontento nella fascia giovanile della popolazione tunisina leggi tutto

L’ONU. 70 anni fa alla Conferenza di San Francisco si scrivevano i principi a tutela dell’individuo.

Miriam Rossi * - 30.06.2015

“L’Organizzazione delle Nazioni Unite, cos’è costei?” Non sconosciuta quanto il nome dell’antico filosofo greco Carneade su cui rimuginava Don Abbondio nelle pagine dei Promessi Sposi, l’Organizzazione, chiamata comunemente con l’acronimo ONU, appare però ignota ai più. Che sia invocata per operare con un intervento umanitario, denigrata per la scarsa incisività della sua azione a fronte di un ampio investimento di fondi, o più semplicemente ignorata, la rilevanza dell’ONU è ben maggiore delle mezze verità e delle finalità strumentali secondo cui spesso le politiche nazionali la modellano e ci hanno anche sovente abituati.

Nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale e di una fallita Società delle Nazioni, furono proprio i 70 milioni di morti del conflitto a determinare una reazione più viva della politica e della società civile. L’appuntamento per tutti fu a San Francisco, dal 25 aprile al 26 giugno 1945, in occasione della redazione dello Statuto della nuova Organizzazione. Alle posizioni dei rappresentati dei futuri Stati membri, si unirono per settimane le richieste espresse animatamente fuori dai palazzi da gruppi pacifisti, antimperialisti, femministi, ecologisti, religiosi e tanti altri ancora, che contribuirono a modificare alcuni degli aspetti della futura Carta ONU, la cui bozza era già stata definita un anno prima a Dumbarton leggi tutto