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Il Marocco e la nuova schiavitù del velo proibito

Francesca Del Vecchio * - 14.01.2017
Velo

“Sono una giovane donna marocchina, bella e ambiziosa. Quando ero ancora una ragazza mi piaceva indossare gonne, camicette e tanto profumo. Poi, incontrai un uomo che promettendomi amore eterno, mi chiese di sposarlo. Accettai. Qualche giorno dopo si presentò da me con un pacchetto; al suo interno due pezzi di stoffa confezionata: uno era la camicia da notte rossa, «per la casa» - disse lui, l’altro un grigio tessuto pesante e opprimente: «questo è per uscire». Cercai, invano, di protestare, poi - visto che la legge del mio paese non mi tutelava, mi uccisi”. Inizia così il racconto pubblicato da Mohamed Ouissaden, scrittore, sull’Huffington Post Maghreb. È la storia di una donna, ma potrebbe essere quella di tante. Una storia che in Marocco vogliono provare a fermare. Il Ministero dell’Interno, difatti, ha approvato una legge che proibisce la produzione e la commercializzazione di burqa e niqab. La notizia è di pochi giorni fa; prima erano stati i media locali marocchini a darne l’annuncio, poi è arrivata l’ufficializzazione da parte delle autorità nazionali. "Abbiamo preso la decisione di vietare completamente l'importazione, la produzione e la vendita di questo capo in tutte le città del regno", queste le parole di un alto funzionario del Ministero, come riporta il sito di al-Jazeera. Nonostante in Marocco la diffusione del velo integrale non sia maggioritaria, - le donne infatti prediligono l’hijab, che copre solo la testa e le spalle, - il divieto servirebbe per limitarne ancor di più l’impiego, specie per motivi di sicurezza. Molti eversori, o semplici malviventi, lo hanno utilizzato per compiere i propri crimini e non essere riconosciuti.

In alcuni distretti commerciali di Casablanca, capitale economica del Paese, i funzionari del Ministero hanno condotto una campagna di sensibilizzazione con i commercianti per metterli al corrente di questa decisione, informandoli che dalla comunicazione ufficiale della restrizione, avrebbero avuto 48 ore per sbarazzarsi della merce.
Al di là delle questioni organizzative, non è ancora chiaro se il Marocco abbia intenzione di seguire le orme di alcuni paesi europei, come Francia, Italia e Belgio, dove è illegale di indossare il velo integrale in pubblico; va precisato, infatti, che il veto riguarda solo importazione, produzione e distribuzione del capo, non il suo uso quotidiano.

Com’era prevedibile le reazioni al divieto non sono state unanimemente concordi. Le opinioni contrarie più estreme parlano di negazione del diritto all’autodeterminazione: in una società che tende al liberalismo e al pluralismo, dicono, bisognerebbe accettare anche la scelta di quanti decidono liberamente di indossarlo. I favorevoli, dal canto loro, sostengono che il più delle volte, il burqa (o niqab) sia il simbolo dell’oppressione femminile da parte della società maschilista e che nessuno dei due indumenti appartenga davvero alla tradizione marocchina. Le polemiche non si placano e il dibattito sul tema minaccia di continuare ancora per molto: a ogni argomentazione corrisponde una replica uguale e contraria, per riadattare a questa querelle il terzo principio della dinamica.

Tuttavia, sulla stampa nazionale e straniera non ha ancora trovato posto  un aspetto altrettanto importante: gli effetti che avrà, nel lungo periodo, questo giusto proibizionismo. Fermo restando che la restrizione - pur non totale - non sia incompatibile con le esigenze delle frange più conservatrici dell’islam marocchino, potrebbe ugualmente rivelarsi un’arma a doppio taglio: l’ambiguità della proibizione (vendita no, utilizzo sì) ben si presta a un progressivo scollamento di alcune fasce della società dalle istituzioni, con la conseguenza di una radicalizzazione più rapida ed esacerbante. Nelle zone a nord del Marocco, aree dalle quali è partito il maggior numero di foreign fighters del Paese e dove l’islamismo radicale è più diffuso, la frattura definitiva nel rapporto tra il popolo e le autorità potrebbe collassare definitivamente, coinvolgendo a macchia d’olio anche le regioni limitrofe. Non va trascurato anche che, proprio grazie a questa atrofia sistemica potrebbe innescarsi un meccanismo di produzione e vendita illecita, capace di inglobare anche numerosi giovani sottratti all’istruzione con la promessa di un facile guadagno. Tipico di tutte le pseudo-propagande. Si può ben dire, quindi, che senza una composizione chiara e definitiva del divieto, questo sarà addirittura criminogeno. Tuttavia, non può essere taciuto l’enorme passo avanti che il Marocco ha compiuto con questa legge. Ma restare a metà del guado non è mai una buona soluzione. Se il Paese vuole davvero avviarsi verso il liberalismo del modello francese, non ha che da compiere l’ultimo passo: il veto assoluto di indossare, produrre e commercializzare burqa e niqab. In caso contrario, prepariamoci ad un nuovo mercato nero: gli schiavi del velo.

 

 

 

 

* Francesca Del Vecchio, praticante giornalista. Collabora con Il Manifesto, Prima Comunicazione e East Journal. Ha collaborato con Tgcom 24.