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18 settembre 2024
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Argomenti

Un test per tutti: la bomba nordcoreana, la fine della deterrenza e la mancata leadership statunitense.

Dario Fazzi * - 09.01.2016

Il recente annuncio secondo il quale la Corea del Nord avrebbe sperimentato con successo armi termonucleari, le cosiddette bombe all’idrogeno o bombe-H, ha scosso l’opinione pubblica mondiale, confermando, almeno in parte, la stratificazione e il consolidamento di una coscienza assolutamente contraria alla proliferazione degli ordigni atomici. Nonostante i proclami, però, la detonazione avvenuta nelle prossimità della capitale nordcoreana parrebbe non esser stata provocata da una bomba-H “pura”, basata cioè su una reazione di fusione nucleare in grado di rilasciare una quantità di energia nell’ordine dei megatoni (milioni di tonnellate di tritolo).

 

Più verosimilmente si tratterebbe di una più tradizionale arma atomica il cui rilascio di energia avviene per fissione nucleare e la cui portata distruttiva si situerebbe nell’ordine di qualche decina di chilotoni (migliaia di tonnellate di tritolo), non di molto superiore cioè alle armi utilizzate dagli statunitensi a Hiroshima e Nagasaki. Nel caso nordcoreano, si tratterebbe, se le analisi degli esperti dovessero confermarlo, di un’arma atomica arricchita all’idrogeno, dove questo elemento chimico svolgerebbe un ruolo di moltiplicatore di energia e, assieme, una funzione molto più fisica che chimica, cionondimeno molto importante. leggi tutto

Perseguitati per la fede. Un dramma senza esclusive

Claudio Ferlan - 07.01.2016

La libertà religiosa è garantita in ambito internazionale dall’articolo diciotto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed è assicurata in molte leggi fondamentali: bastino qui gli esempi del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America o l’articolo diciannove della Costituzione italiana. Ciononostante, a una percentuale molto alta di donne e uomini non è consentito vivere e professare apertamente il proprio credo. Lo affermava il Pew Research Center nel bilancio presentato il 28 febbraio scorso, dove si suonava anche l’allarme per una situazione in sensibile peggioramento. Previsioni fosche che i primi resoconti del nuovo anno confermano a pieno.

Tutti abbiamo ben presenti movimenti terroristici come Boko Haram o Isis, abbiamo notizia delle violenze religiose in Kenya o in Somalia, ma in molti casi l’intolleranza è tutt’altro che fuori dalla legge. Guardiamo alla lista pubblicata dalla Organizzazione Non Governativa Human Rights Without Frontiers (HRWF), che segnala venti Paesi nelle cui carceri vi sono persone detenute per motivi religiosi: i cosiddetti FoRB (Freedom of Religion or Belief & Blasphemy Prisoners). L’elenco è lungo ma non esaustivo: Arabia Saudita, Azerbaigian, Bhutan, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Egitto, Eritrea, Indonesia, Iran, Kazakistan, Laos, Pakistan, Russia, Singapore, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Non esaustivo perché leggi tutto

La trappola dell’escalation

Ryad, Teheran

 

Lo scontro politico in corso tra Arabia Saudita e Iran è un passaggio importante e pericoloso della più grande trasformazione delle relazioni internazionali del Medio Oriente.

Dagli anni Settanta, la ricchezza del petrolio ha contribuito a spostare l’asse politico, militare e ideologico della regione dalle coste orientali del Mediterraneo e dal conflitto arabo-israeliano verso il Golfo (persico o arabo dipende da dove lo si osserva) e verso il conflitto politico tra tre Paesi e modelli: l’Iraq baathista del nazionalismo arabo e laico, la Monarchia saudita bastione del radicalismo musulmano-sunnita e la Repubblica islamica d’Iran, bastione del radicalismo musulmano-sciita. Dopo oltre due decenni di guerre, l’Iraq da attore politico è diventato terreno di battaglia tra forze che in modo diverso si richiamano ai modelli ideologici e statuali dell’Iran o dell’Arabia Saudita. Dunque, in una sorta di “guerra fredda” a base confessionale è il conflitto tra diverse correnti dell’Islam politico a prevalere nel Medio oriente di oggi.

 

Dallo sviluppo trainato dal consumo di massa di petrolio negli anni Trenta e dalla Guerra fredda negli anni Cinquanta nacque l’alleanza strategica prima tra USA e Arabia Saudita, e poi tra USA e Iran. La Rivoluzione islamica del 1979 in Iran recise questa alleanza ponendo Washington e Teheran su fronti opposti e consolidando i legami tra Washington e Ryad. leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (3° parte)

Guido Samarani * - 29.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

*Collaborazionismo, letteratura e amore: il caso di Hu Lancheng e Zhang Ailing

 

Nell’agosto 1945, insieme alla resa giapponese, si concludeva anche in Cina l’esperienza del collaborazionismo. Nata sin dai primi anni Trenta in parallelo con l’espansione nipponica nella Manciuria e nel Nord della Cina, tale esperienza aveva toccato il suo apice nei primi anni Quaranta con l’adesione di Wang Jingwei (1883-1944), uno dei più stretti collaboratori negli anni Dieci e Venti del XX secolo di Sun Yat-sen, “padre della patria” e fondatore della Repubblica di Cina nel 1912. leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (2° parte)

Guido Samarani * - 19.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

*Il Settimo Congresso del Partito comunista cinese e la nascita del Pensiero di Mao Zedong

 

Tra il 23 aprile e l’11 giugno del 1945, mentre la guerra andava volgendo al termine in Cina e nel mondo, il Partito comunista cinese (Pcc) tenne a Yan’an (nella provincia nord-occidentale dello Shenxi, la “capitale rossa” come era allora definita) il suo Settimo congresso nazionale. Erano passati ben 17 anni dall’ultimo congresso leggi tutto

Elezioni USA 2016: perché Hillary Clinton teme più il terrorismo che i Repubblicani

Francesco Maltoni * - 17.12.2015

Sembra rimasto solo un rivale tra Hillary Clinton e il suo ritorno alla Casa Bianca, stavolta nelle vesti di presidente. Quel nemico, guarda un po', si chiama Isis. L'improvviso balzo in vetta all'agenda internazionale dell'allarme terrorismo, a poche settimane dall'inizio delle primarie in Usa, è l'unico pericolo attualmente in grado di spodestare l'ex first lady da una vittoria fin troppo annunciata.

 

Con i Repubblicani sempre alla ricerca, ancora prima di un candidato, di un'identità, il campo per la candidata in pectore del Partito Democratico sembra sgombro di contendenti all'altezza. Anche se mancano molti mesi all'election day, solo l'imprevedibile escalation a cui stiamo assistendo in queste settimane potrebbe rimettere in discussione la corsa alla presidenza di Washington. Mai come in questo periodo è parso evidente che il tallone d'Achille dell'amministrazione uscente sia proprio la politica estera, con la signora Clinton a guidarla in prima persona durante il quadriennio iniziale di mandato. Se, negli auspici, Obama, ormai giunto al capolinea, lasciava immaginare un cambio radicale di strategia sullo scacchiere internazionale dopo otto anni di lotta al terrore sotto l'insegna dei Bush, in realtà pace e la sicurezza, dal 2008, anno di insediamento, a oggi sembrano molto più in pericolo.

 

Nella cartina mondiale, le situazioni esplose in rivolte, leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (1° parte)

Guido Samarani * - 12.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

The China Critic e l’elogio della bomba atomica

 

Il 23 agosto 1945, otto giorni dopo la resa ufficiale da parte del Giappone, riprendeva le proprie pubblicazioni, dopo quasi cinque anni di silenzio, The China Critic, considerato il più antico (o uno dei più antichi) periodici cinesi pubblicato in lingua inglese e gestito e pubblicato da Cinesi. The China Critic, che avrebbe cessato definitivamente la propria attività solo pochi mesi dopo, a fine 1945, era nata nel 1928 a Shanghai, leggi tutto

L’Italia e la lotta internazionale all’Isis a un mese dalle stragi di Parigi.

Massimo Bucarelli * - 10.12.2015

All’indomani dei tragici avvenimenti di Parigi del 13 novembre scorso, la maggior parte dei commenti di politici ed editorialisti si è concentrata su due aspetti della lotta che l’Italia e gli altri partner internazionali dovrebbero portare allo Stato islamico e alla sua strategia del terrore: 1) la creazione di una grande coalizione, composta dai paesi della UE, dagli USA e dalla Russia, insieme alle principali potenze regionali, come Iran, Arabia Saudita e Turchia, in grado di sconfiggere l’Isis sul piano militare; 2) isolare economicamente il Califfato, prendendo le distanze da quei paesi che si suppone stiano appoggiando l’Isis, attraverso traffici e affari di ogni genere con i suoi dirigenti.

Molti commentatori, inoltre, hanno censurato l’eccesso di prudenza del governo italiano, in particolare del presidente del Consiglio. Il premier Renzi, infatti, pur ribadendo con chiarezza la volontà di partecipare alla lotta contro il terrorismo islamista, ha allo stesso tempo invitato governi amici e alleati a inserire ogni eventuale intervento militare in un disegno strategico complessivo, volto a stabilizzare la regione e non semplicemente a eliminare un gruppo di potere per creare l’ennesimo vuoto politico, fonte di nuova anarchia e nuova conflittualità: in breve, non interventi affrettati, attuati soprattutto per dare una risposta all’opinione pubblica, giustamente spaventata e disorientata, leggi tutto

Dov'è finita la visione liberale delle relazioni internazionali?

Lorenzo Ferrari * - 10.12.2015

A distanza di una generazione, di solito le cose tendono a tornare di moda. Per il revival della musica e dell'abbigliamento degli anni Novanta manca poco: ma c'è un aspetto di quegli anni che invece pare destinato a minore fortuna. Poco dopo la fine della guerra fredda, l'idea di costruire una polizia internazionale guadagnò rapidamente popolarità, assieme all'idea che la comunità internazionale dovesse farsi garante del rispetto dei diritti fondamentali di qualsiasi individuo. Si parlava di caschi blu e forze di interposizione, di cessate il fuoco e responsibility to protect, di corridoi umanitari e tribunali internazionali.

Crisi, guerre e pulizie etniche ci sono anche oggi, ma di quelle idee non si parla praticamente più. Le discussioni sulla Siria riguardano quasi solo le modalità e gli obiettivi dei bombardamenti; eppure la situazione nel paese non è meno grave di tante altre crisi che negli anni Novanta suscitarono discussioni molto più articolate – dalla Bosnia al Kosovo, dalla Somalia al Ruanda. Non è che in Siria non ci sia bisogno di corridoi umanitari, o che non si verifichino episodi di pulizia etnica. E non è che non venga violata la Convenzione di Ginevra, o che non ci siano criminali di guerra.

Così come non se ne parla per la Siria, non se ne parla nemmeno per le altre crisi in corso, come quelle dell'Iraq, della Libia, del Mali, del Burundi, dello Yemen, e così via. leggi tutto

La politica estera italiana e la questione islamica

Michele Iscra * - 08.12.2015

Il premier Renzi ha seccamente affermato che l’Italia non può andare in giro a spargere bombe sull’Isis solo per far piacere a qualche commentatore. Ha perfettamente ragione, anche perché in questo momento ciò che manca non sono gli aerei da bombardamento: mancano gli obiettivi e soprattutto la strategia per capire dove si voglia andare a parare.

Sempre Renzi ha aggiunto che per ogni euro speso in contrasto all’Isis bisogna spenderne un altro in cultura per impedire la radicalizzazione dei mussulmani europei. Anche qui a ragione, ma la faccenda è meno semplice da trattare.

In termini di politica estera l’Italia ragiona tenendo conto, come è naturale, della sua posizione particolare. Con un problema come quello libico a poca distanza dalle nostre coste non è davvero sensato fornire scuse alle forze del radicalismo islamico presenti in quel paese per coprire le loro gesta con pretestuosi rinvii alla lotta contro l’ex potenza coloniale occupante, cioè noi. In più abbiamo davanti la delicata prova del Giubileo e anche qui bisogna evitare di fornire pretesti agli esaltati che non mancano. Quel che è successo di recente nel Metrò di Londra così come gli eventi di San Bernardino negli USA mostrano anche troppo bene cosa possa succedere in queste fasi di sovraeccitazione. Non che in nome della prudenza sia opportuno rinunciare al contrasto ad un fenomeno preoccupante: leggi tutto