Ultimo Aggiornamento:
22 gennaio 2025
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Argomenti

Se l’islamismo è una nevrosi. Per una terapia psicanalitica del fenomeno ISIS

Omar Bellicini * - 23.01.2016

La sconfitta del fondamentalismo di matrice islamista potrebbe non dipendere dall’azione degli eserciti o dalle mediazioni di qualche diplomatico, ma dalle considerazioni di un analista svizzero di inizio Novecento. Più precisamente, di Carl Gustav Jung: allievo di Freud e padre di una delle teorie psicanalitiche più ricche e fortunate. La tesi può sembrare provocatoria, ma merita attenzione. Il principio di partenza è piuttosto lineare: le società sono composte da persone; ergo: i disturbi che affliggono gli individui, se particolarmente diffusi, possono trasferirsi alla società nel suo complesso. L’assunto non appare rassicurante, ma ci sono implicazioni positive. La prima: se davvero il “male sociale” corrisponde a quello individuale, il metodo più efficace per sanarlo può essere lo stesso che viene impiegato per vincerlo nella loro dimensione soggettiva. Il che è già di per sé sorprendente. Lo è ancor di più se ci si focalizza su un aspetto piuttosto trascurato: a ben guardare, l’integralismo è una forma di nevrosi. Com’è ovvio, non lo si vuol ridurre a una mera devianza psicologica. È evidente che i fenomeni di massa siano determinati da un concorso di fattori, anzitutto storici ed economici. Tuttavia, è indubbio che il radicalismo islamico, nelle sue manifestazioni private come in quelle collettive, ricalchi molte delle intuizioni di Jung. La chiave è spinosa, poiché si presta meno di altre interpretazioni alle semplificazioni giornalistiche e alle strumentalizzazioni politiche cui siamo, nostro malgrado, abituati. leggi tutto

Yemen, un conflitto all'ombra dei media

Raffaele Crocco * - 21.01.2016

Le cose si intrecciano, quasi sempre. Così capita che la guerra che nello Yemen si combatte ormai da più di un anno sia l’intreccio di realtà differenti. Da un lato ha la faccia della guerra interna – civile l’avremmo chiamata qualche anno fa – tutta puntata al controllo e al governo del Paese. Dall’altro ha l’aspetto dell’ingerenza di una potenza media straniera – l’Arabia Saudita – nei fatti di uno stato indipendente.

Si parla meno, molto meno di quanto si dovrebbe di questa guerra. Prima cosa, giusto per non sbagliarci: è guerra vera, i morti ormai sono migliaia e sono quotidiani. Prendete un giorno a caso, il 18 gennaio 2016: 26 persone morte e 15 ferite per gli effetti di un bombardamento aereo da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Le bombe sono cadute sulla capitale, Sanaa, controllata dalle milizie sciite Houthi. Dal settembre del 2014 questa popolazione ha cacciato il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, sunnita, scatenando la guerra interna. L’Arabia Saudita, paese sunnita e integralista, non poteva accettare che degli sciiti governassero nella Penisola Arabica e ha scatenato la razione, cioè la guerra.

Ora: lo Yemen non è mai stato un paese tranquillo. Fino al 1990 era diviso in due, Yemen del Nord e Yemen del Sud, con i governi spesso in conflitto fra loro. L’unificazione non ha trovato nuovi equilibri, anzi. Le tensioni interne, fra Governo centrale e Clan, sono sempre state fortissime. leggi tutto

Ashraf Fayadh, l’Arabia Saudita e la libertà di stampa

Francesca Del Vecchio * - 12.01.2016

Secondo Albert Camus “La stampa libera può essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non può essere altro che cattiva”. È evidente che il regime saudita non la pensi allo stesso modo: condanne a morte per apostasia, esecuzioni pubbliche e frustate per i prigionieri. Un numero sempre crescente di vittime sacrificali dell’assolutismo ideologico di Riad. L’uccisione dello sceicco Nimr al-Nimr, insieme a quella di altre 47 persone, – dello scorso 2 gennaio - è solo l’ultima sulla linea cronologica.

E poi c’è Ashraf Fayadh, poeta, 35 anni e origini palestinesi. Fayadh è stato arrestato per la prima volta il 6 agosto 2013, in seguito alle rimostranze di un cittadino saudita secondo cui l’autore avrebbe promosso l’ateismo e diffuso idee blasfeme tra i giovani con la sua antologia poetica, Instructions within (2008). Il giorno successivo, il rilascio su cauzione. Ma la sua libertà è stata altrettanto breve: il 1 gennaio 2014 viene nuovamente incarcerato con l’accusa di apostasia. A questo primo capo d’imputazione se ne aggiunge un secondo: la violazione dell’articolo 6 della legge saudita contro il cybercrimine, per aver scattato fotografie a donne con il proprio cellulare e averle conservate. Risultato: una condanna a quattro anni di detenzione e 800 frustate. Successivamente il suo caso viene giudicato da una seconda corte che, il 17 novembre scorso, lo condanna a morte. leggi tutto

Un test per tutti: la bomba nordcoreana, la fine della deterrenza e la mancata leadership statunitense.

Dario Fazzi * - 09.01.2016

Il recente annuncio secondo il quale la Corea del Nord avrebbe sperimentato con successo armi termonucleari, le cosiddette bombe all’idrogeno o bombe-H, ha scosso l’opinione pubblica mondiale, confermando, almeno in parte, la stratificazione e il consolidamento di una coscienza assolutamente contraria alla proliferazione degli ordigni atomici. Nonostante i proclami, però, la detonazione avvenuta nelle prossimità della capitale nordcoreana parrebbe non esser stata provocata da una bomba-H “pura”, basata cioè su una reazione di fusione nucleare in grado di rilasciare una quantità di energia nell’ordine dei megatoni (milioni di tonnellate di tritolo).

 

Più verosimilmente si tratterebbe di una più tradizionale arma atomica il cui rilascio di energia avviene per fissione nucleare e la cui portata distruttiva si situerebbe nell’ordine di qualche decina di chilotoni (migliaia di tonnellate di tritolo), non di molto superiore cioè alle armi utilizzate dagli statunitensi a Hiroshima e Nagasaki. Nel caso nordcoreano, si tratterebbe, se le analisi degli esperti dovessero confermarlo, di un’arma atomica arricchita all’idrogeno, dove questo elemento chimico svolgerebbe un ruolo di moltiplicatore di energia e, assieme, una funzione molto più fisica che chimica, cionondimeno molto importante. leggi tutto

Perseguitati per la fede. Un dramma senza esclusive

Claudio Ferlan - 07.01.2016

La libertà religiosa è garantita in ambito internazionale dall’articolo diciotto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed è assicurata in molte leggi fondamentali: bastino qui gli esempi del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America o l’articolo diciannove della Costituzione italiana. Ciononostante, a una percentuale molto alta di donne e uomini non è consentito vivere e professare apertamente il proprio credo. Lo affermava il Pew Research Center nel bilancio presentato il 28 febbraio scorso, dove si suonava anche l’allarme per una situazione in sensibile peggioramento. Previsioni fosche che i primi resoconti del nuovo anno confermano a pieno.

Tutti abbiamo ben presenti movimenti terroristici come Boko Haram o Isis, abbiamo notizia delle violenze religiose in Kenya o in Somalia, ma in molti casi l’intolleranza è tutt’altro che fuori dalla legge. Guardiamo alla lista pubblicata dalla Organizzazione Non Governativa Human Rights Without Frontiers (HRWF), che segnala venti Paesi nelle cui carceri vi sono persone detenute per motivi religiosi: i cosiddetti FoRB (Freedom of Religion or Belief & Blasphemy Prisoners). L’elenco è lungo ma non esaustivo: Arabia Saudita, Azerbaigian, Bhutan, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Egitto, Eritrea, Indonesia, Iran, Kazakistan, Laos, Pakistan, Russia, Singapore, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Non esaustivo perché leggi tutto

La trappola dell’escalation

Ryad, Teheran

 

Lo scontro politico in corso tra Arabia Saudita e Iran è un passaggio importante e pericoloso della più grande trasformazione delle relazioni internazionali del Medio Oriente.

Dagli anni Settanta, la ricchezza del petrolio ha contribuito a spostare l’asse politico, militare e ideologico della regione dalle coste orientali del Mediterraneo e dal conflitto arabo-israeliano verso il Golfo (persico o arabo dipende da dove lo si osserva) e verso il conflitto politico tra tre Paesi e modelli: l’Iraq baathista del nazionalismo arabo e laico, la Monarchia saudita bastione del radicalismo musulmano-sunnita e la Repubblica islamica d’Iran, bastione del radicalismo musulmano-sciita. Dopo oltre due decenni di guerre, l’Iraq da attore politico è diventato terreno di battaglia tra forze che in modo diverso si richiamano ai modelli ideologici e statuali dell’Iran o dell’Arabia Saudita. Dunque, in una sorta di “guerra fredda” a base confessionale è il conflitto tra diverse correnti dell’Islam politico a prevalere nel Medio oriente di oggi.

 

Dallo sviluppo trainato dal consumo di massa di petrolio negli anni Trenta e dalla Guerra fredda negli anni Cinquanta nacque l’alleanza strategica prima tra USA e Arabia Saudita, e poi tra USA e Iran. La Rivoluzione islamica del 1979 in Iran recise questa alleanza ponendo Washington e Teheran su fronti opposti e consolidando i legami tra Washington e Ryad. leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (3° parte)

Guido Samarani * - 29.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

*Collaborazionismo, letteratura e amore: il caso di Hu Lancheng e Zhang Ailing

 

Nell’agosto 1945, insieme alla resa giapponese, si concludeva anche in Cina l’esperienza del collaborazionismo. Nata sin dai primi anni Trenta in parallelo con l’espansione nipponica nella Manciuria e nel Nord della Cina, tale esperienza aveva toccato il suo apice nei primi anni Quaranta con l’adesione di Wang Jingwei (1883-1944), uno dei più stretti collaboratori negli anni Dieci e Venti del XX secolo di Sun Yat-sen, “padre della patria” e fondatore della Repubblica di Cina nel 1912. leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (2° parte)

Guido Samarani * - 19.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

*Il Settimo Congresso del Partito comunista cinese e la nascita del Pensiero di Mao Zedong

 

Tra il 23 aprile e l’11 giugno del 1945, mentre la guerra andava volgendo al termine in Cina e nel mondo, il Partito comunista cinese (Pcc) tenne a Yan’an (nella provincia nord-occidentale dello Shenxi, la “capitale rossa” come era allora definita) il suo Settimo congresso nazionale. Erano passati ben 17 anni dall’ultimo congresso leggi tutto

Elezioni USA 2016: perché Hillary Clinton teme più il terrorismo che i Repubblicani

Francesco Maltoni * - 17.12.2015

Sembra rimasto solo un rivale tra Hillary Clinton e il suo ritorno alla Casa Bianca, stavolta nelle vesti di presidente. Quel nemico, guarda un po', si chiama Isis. L'improvviso balzo in vetta all'agenda internazionale dell'allarme terrorismo, a poche settimane dall'inizio delle primarie in Usa, è l'unico pericolo attualmente in grado di spodestare l'ex first lady da una vittoria fin troppo annunciata.

 

Con i Repubblicani sempre alla ricerca, ancora prima di un candidato, di un'identità, il campo per la candidata in pectore del Partito Democratico sembra sgombro di contendenti all'altezza. Anche se mancano molti mesi all'election day, solo l'imprevedibile escalation a cui stiamo assistendo in queste settimane potrebbe rimettere in discussione la corsa alla presidenza di Washington. Mai come in questo periodo è parso evidente che il tallone d'Achille dell'amministrazione uscente sia proprio la politica estera, con la signora Clinton a guidarla in prima persona durante il quadriennio iniziale di mandato. Se, negli auspici, Obama, ormai giunto al capolinea, lasciava immaginare un cambio radicale di strategia sullo scacchiere internazionale dopo otto anni di lotta al terrore sotto l'insegna dei Bush, in realtà pace e la sicurezza, dal 2008, anno di insediamento, a oggi sembrano molto più in pericolo.

 

Nella cartina mondiale, le situazioni esplose in rivolte, leggi tutto

Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (1° parte)

Guido Samarani * - 12.12.2015

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

The China Critic e l’elogio della bomba atomica

 

Il 23 agosto 1945, otto giorni dopo la resa ufficiale da parte del Giappone, riprendeva le proprie pubblicazioni, dopo quasi cinque anni di silenzio, The China Critic, considerato il più antico (o uno dei più antichi) periodici cinesi pubblicato in lingua inglese e gestito e pubblicato da Cinesi. The China Critic, che avrebbe cessato definitivamente la propria attività solo pochi mesi dopo, a fine 1945, era nata nel 1928 a Shanghai, leggi tutto