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Il disarmo nucleare globale è a portata di mano, ma dipende tutto dall’Olanda
Lo scorso sette luglio i paesi membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno firmato un trattato che li impegna ad astenersi dallo sviluppo, dalla sperimentazione, dalla produzione, dall’acquisto, dal possesso e dall’accumulo di armi nucleari. Si tratta del primo vero e proprio accordo legalmente vincolante volto a mettere al bando in maniera permanente le armi nucleari, inclusi gli arsenali atomici già presenti sulla scena internazionale. L’ambizioso trattato è il risultato più rilevante di oltre un decennio di campagne promosse da vari gruppi transazionali e non governativi quali il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa,l’ICAN, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, PAX, un’organizzazione a carattere ecumenico erede di quel Comitato Interconfessionale per la Pace che fu tra i gruppi più attivi nelle proteste contro gli Euromissili dei primi anni Ottanta, ma anche da leader religiosi, politici, scienziati e accademici provenienti da ogni parte del mondo.
L’ambizione e la portata del trattato lo rendono un esempio pressoché unico nella lunga storia dei negoziati nucleari. Uno dei principali obiettivi dell’accordo, infatti, è quello di superare leggi tutto
L’accordo libico
L’accordo raggiunto a La Celle Saint Claud tra Fayez alSarraj, premier del Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli, e Khalifa al Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico con base a Tobruk, rappresenta sicuramente un passo avanti verso la stabilizzazione libica. Senonchè, il percorso di pace deve ancora attraversare un lungo percorso minato da numerose incognite e questioni irrisolte, che rischiano di comprometterne l’esito.Insomma, Parigi canta vittoria ma la crisi libica è tutt’altro che risolta.
Di certo, la Francia ha sfruttato la sua spregiudicatezza politica, che la ha vista sostenere ufficialmente al Sarraj, ma nella pratica appoggiare al Haftar. Ha sfruttato inoltre la nomina a rappresentante ONU per la crisi libica di Ghassan Salamè, un politico libanese legato a filo doppio e stretto a Parigi; infine, Macron ha approfittato dei recenti mutamenti della situazione politica internazionale e di quella militare libica.
Infatti, l’accordo è maturato proprio quando cominciavano a circolare voci di una possibile apertura americana ad Haftar; in altri termini, è verosimile che Parigi abbia avuto luce verde da Washington, spazientita dal protratto insuccesso di al Sarraj e desiderosa di chiudere il dossier libico. Secondariamente, l’accordo è maturato immediatamente dopo una serie di vittorie militari di Haftar, che ha strappato Bengasi agli islamisti, leggi tutto
Violenza sulle donne: la Tunisia approva la legge. Niente più “matrimoni di riparazione”
Mentre notizie dal Pakistan parlano ancora di legge del taglione - in Punjub per punire un violentatore è stato ordinato lo stupro di sua sorella 17enne da parte del fratello della vittima - la Tunisia sembra giunta finalmente a un punto di svolta: il 26 luglio il Parlamento ha approvato all’unanimità la legge organica contro la violenza sulle donne. Dalla promulgazione del codice sullo statuto personale voluto da Bourguiba nel 1956 è la prima grande svolta per le cittadine tunisine che da lungo tempo scendono in piazza per questa causa.
Il voto
Un iter parlamentare reso impervio da rinvii e ostacoli, tanti da metterne in dubbio l’esito. Nessuna conclusione era scontata: Salem Labiadh del Movimento Popolare aveva accostato le modifiche della legge ad un miscuglio tra femminismo e l'omosessualità. Altri, della fronda più conservatrice, ritenevano che il testo fosse incompatibile con i valori arabi musulmani.
Quarantatre articoli divisi in 5 capitoli forniranno d’ora in poi le misure adeguate per sanzionare ogni forma di violenza o sopruso di genere. L’obiettivo della battaglia parlamentare e sociale è quello di garantire alla donna il rispetto della dignità e assicurarle l'uguaglianza, già prevista dalla Costituzione.
La legge punta inoltre leggi tutto
«Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti». Alcune considerazioni sul Comprehensive Trade and Economic Agreement (CETA)
Il 25 luglio il Senato italiano sarà chiamato ad approvare il trattato commerciale tra Unione Europea e Canada il cui obiettivo è la liberalizzazione dei commerci grazie all’abbattimento quasi completo dei dazi doganali, in tutti e tre i settori produttivi (agricolo, manifatturiero e terziario).
Attualmente, l’Italia, potenza manifatturiera prima che agricola, è l’ottavo fornitore mondiale del Canada con un volume di interscambio bilaterale di oltre 5 miliardi di euro nel 2015, grazie all’esportazione di beni capitali e prodotti industriali: macchinari, automobili, navi, aerei, piastrelle, calzature, farmaci, mobili, rubinetti, valvole, pompe e compressori.
Sono evidenti, quindi, le ottime possibilità di espansione dell’export e, conseguentemente, dell’occupazione, che verranno dall’abbattimento delle barriere tariffarie; basti pensare che attualmente i dazi canadesi in alcuni settori trainanti sono particolarmente elevati: 20% per l’abbigliamento, 13%, per i prodotti in pelle, 9,5% per i macchinari industriali e i mobili. Di fronte a una politica monetaria europea, che non sembra voler ricorrere alla svalutazione dell’euro per favorire le esportazioni, la riduzione delle tariffe rappresenta un modo per agevolare la competitività dei prodotti italiani e un importante strumento per rafforzare la penetrazione della manifattura italiana nel mercato canadese.
Anche nel terziario, l’Italia occupa una posizione di rilievo nell’esportazione di servizi (assicurazioni, telecomunicazioni, ingegneristica), per un interscambio dal valore leggi tutto
Libero scambio Europa – Giappone: un patto con tante luci e qualche ombra
E’ in dirittura d’arrivo il patto di libero scambio tra Unione Europea e Giappone. Presentato al G20 di Amburgo dal presidente della Commissione Ue e dal premier del Giappone Abe. Dovrà in seguito essere approvato da Consiglio, Parlamento europeo nonché ratificato dai parlamenti nazionali che intendono esprimersi secondo quanto stabilito in maggio dalla corte di giustizia della Ue. Con questo accordo Giappone ed Europa si avvicinano mettendo ordine in un commercio non sempre facile ma in espansione e che vede il Giappone in perenne surplus. L’accordo non è una reazione alla cancellazione dei negoziati per l’area di libero scambio nel Pacifico da parte di Trump. I negoziati iniziarono infatti nel 2013 ed è prevista anche una possibile alleanza strategica (Strategic Partnership Agreement) su questioni come l’ambiente, la sicurezza e la collaborazione in caso di disastri. L’accordo commerciale tra Ue e Giappone prevede un abbattimento progressivo dei dazi doganali, un’apertura, anche questa graduata su diversi anni, a molti beni che oggi semplicemente non entrano in Giappone, un riconoscimento simultaneo di gran parte delle denominazioni d’origine per prodotti del settore agroalimentare - di grande interesse per l’Italia - l’apertura reciproca degli appalti pubblici alle imprese delle due aree e forme di convergenza tecnica normativa in numerosi settori. leggi tutto
Chi ha paura del protezionismo?
Le politiche commerciali riguardano norme, imposte (dazi) e agevolazioni su esportazioni ed importazioni di beni e servizi di un paese. Il Trattato di Roma cancella le politiche commerciali nazionali e attribuisce la materia alla Commissione UE. Nel 1957 l’Italia ha un interscambio - Import + export - sul Pil pari al 30% (nel 2016 è quasi il 50%). C’è più specializzazione: un settore che esporta molto importa poco e viceversa, mentre oggi ogni comparto esporta ed importa molto. Negli anni ‘50 scarsi sono i servizi scambiati, limitati al turismo. Le imprese fanno in casa gran parte dei beni intermedi invece di comprarli o produrli ai quattro angoli del pianeta come avviene oggi. Poche multinazionali sono presenti in limitati settori manifatturieri. Oggi sono tante, medie e grandi, in tutti i settori, servizi compresi. Per questo nel 1957 non trova opposizione il trasferimento delle politiche commerciali dalle capitali europee a Bruxelles, con un dazio unico sulle importazioni extra Ue e zero dazi intra Ue. Ne risulta un’unione doganale con libertà di movimento delle persone (perfezionata con Schengen nel 1995) e delle attività finanziarie (massima nell’aera euro) in un mondo di tassi di cambio fissi e trascurabili flussi finanziari internazionali privati.
Molto è cambiato in sessant’anni. Soprattutto la profondità della integrazione internazionale ridimensiona strumenti di leggi tutto
Trump come Nixon? Russiagate, Watergate e i tanti dubbi dell’impeachment
Nelle ultime settimane, le vicende legate al c.d. ‘Russiagate’ (la presunta interferenza di Mosca nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi in favore di Donald Trump) hanno vissuto più di una accelerazione. In particolare dopo il licenziamento dell’ex Direttore dell’FBI, James Comey, il Presidente Trump appare sotto attacco, anche attraverso una serie di indiscrezioni di stampa che, in modo più o meno velato, ventilano la possibilità di una sua messa in stato d’accusa. Questa possibilità acquista un appeal particolare in questi giorni. Il 17 giugno 1972, infatti, l’arresto di cinque uomini sorpresi nel tentativo di penetrare nei locali del comitato nazionale democratico presso l’Hotel Watergate di Washington apriva la porta allo scandalo che poco più di due anni dopo (8 agosto 1974) avrebbe portato alle dimissioni di Richard Nixon. Nelle ultime settimane, i paragoni fra Trump e Nixon, si sono sprecati, con la stessa espressione ‘Russiagate’ a richiamare un parallelo che – negli Stati Uniti e fuori – resta sempre evocativo. E’, tuttavia, ancora da capire se le due situazioni siano effettivamente paragonabili. Si tratta inoltre di capire il significato effettivo di un atto come la messa in stato d’accusa del Presidente, che, al di là delle sue implicazioni giuridiche, ha una natura essenzialmente politica. Il margine di leggi tutto
Ritorno al futuro: Trump in Medio Oriente
Il viaggio del Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, in Arabia Saudita e in Israele ha avuto rilevanza nei limiti in cui segna il tentativo di riportare Washington al centro della politica medio orientale: al centro di una regione che sta attraversando le difficoltà legate alla lotta tra quelle forze che desiderano rendere la regione più autonoma dagli interventi politici esteri e guidarla tanto in nome dei diversi nazionalismi quando della cosiddetta “civiltà islamica”, e quelle forze ritengono essenziale il sostegno estero (leggi statunitense od europeo) sia per controbilanciare le supposte mire egemoniche altrui sia garantire le capacità di governo sulla propria popolazione.
Fin qui nulla di nuovo, nel senso che fin dalla costruzione del Medio Oriente post-Prima e Seconda Guerra Mondiale i gruppi dirigenti dei Paesi arabi si sono divisi e scontrati sul legame tra indipendenza, sovranità, integrazione regionale e relazioni con le ex-potenze coloniali o le superpotenze della Guerra Fredda. Il passaggio dal dominio franco-britannico a quello statunitense negli anni Cinquanta si intrecciava con l’indipendenza postcoloniale del nazionalismo arabo, a guida egiziana: la posta in gioco era l’allineamento della “giovane” repubblica di Siria alle monarchie hashemite di Iraq e Giordania oppure alla leadership egiziana di Nasser. leggi tutto
Elezioni iraniane: scenari e protagonisti in campo
Negli ultimi mesi le elezioni presidenziali iraniane - previste per il prossimo 19 maggio - hanno destato l’attenzione della stampa internazionale più per la possibile ricandidatura di Mahmoud Ahmadinejad che non per un effettivo interesse per la politica di Tehran. Scongiurato il pericolo di un ritorno sulle scene dell’ex sindaco della capitale, bocciato dal Consiglio dei Guardiani dopo essersi iscritto nelle liste di candidatura, è sceso di nuovo un parziale silenzio e un cinico disinteresse per le sorti del Paese.
Facciamo un passo indietro: la Repubblica Islamica dell’Iran si recherà alle urne per scegliere il suo Presidente, l’ottavo dalla Rivoluzione del ‘78, durante la fase preliminare della campagna elettorale diversi erano i possibili candidati: si era parlato, appunto, di Ahmadinejad - conosciuto per il suo regime quasi dittatoriale tenuto nei due mandati (dal 2005 al 2013) -, e di Marziyeh Vahid Dastjerdi, già primo Ministro (della salute) donna nel 2009 con Ahmadinejad (da lui stesso licenziata perché aveva osato contestare i prezzi troppo alti dei medicinali). Dei due, solo il primo si è iscritto alle liste dei candidati ma il Consiglio dei Guardiani - che ha anche il compito di vagliare le candidature, ha posto leggi tutto
Elezioni legislative 2017 in Algeria: tra apatia e disincanto
Il prossimo 4 maggio in Algeria 23 milioni di cittadini – su un totale di 40 milioni circa di abitanti – si recheranno alle urne per rinnovare l’Assemblea popolare nazionale (APN), eleggendone i 462 nuovi deputati. Da quando a inizio aprile la campagna per le legislative è stata inaugurata, nonostante il dispiegamento di mezzi da parte di partiti, organi di governo e persino leader religiosi per motivare la cittadinanza al voto, l’apatia e il disincanto nei confronti del quinquennale appuntamento elettorale regnano sovrani. Gli analisti sul campo raccontano che in questi giorni, per le strade di Algeri, il dibattito sia particolarmente acceso non tanto sullo scrutinio nazionale ormai alle porte, quanto sul ballottaggio delle presidenziali francesi. Per inciso, le preferenze di autorità e semplici cittadini convergono su Emmanuel Macron: l’unico tra i candidati a essersi recato in Algeria durante la campagna e soprattutto il solo ad aver “osato” giudicare pubblicamente i 132 anni di colonizzazione francese nel paese maghrebino come un “crimine contro l’umanità” (gli algerini, si sa, sono ancora in attesa delle scuse ufficiali di Parigi per la lunga parentesi della loro storia recente vissuta sotto il dominio della potenza europea).
Quale partito o quale alleanza di partiti vincerà in Algeria, invece, non interessa veramente granché: l’unico vero risultato leggi tutto