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03 giugno 2023
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Argomenti

Cosa è accaduto dopo il referendum sull’indipendenza del Kurdistan

Francesca Del Vecchio * - 25.10.2017

Nelle scorse settimane si è parlato molto di Kurdistan iracheno e del referendum per l’indipendenza da Baghdad, tenutosi il 25 settembre. Poco si sa della storia dei curdi, questo popolo senza terra disperso tra Turchia, Iraq, Iran e Siria dal primo dopoguerra, quando gli venne rifiutato uno Stato, dopo averlo inizialmente promesso. I curdi iracheni vivono in autonomia dal 1991, quando l’Iraq invase il Kuwait, ma non hanno mai smesso di sentirsi animati dal sogno di autodeterminazione. Dopo anni di battaglie e campagne propagandistiche, il mese scorso si sono pronunciati in massa a favore dell’indipendenza, attraverso il voto. L'iniziativa referendaria, voluta dal presidente della regione autonoma curda Masoud Barzani, ha suscitato preoccupazioni dentro e fuori i confini dell’Iraq: primo tra tutti il governo centrale di Baghdad, poi i Paesi confinanti, dimora di importanti minoranze curde: Turchia, Iran e Siria. L'Iran, addirittura, aveva annunciato la chiusura delle frontiere terrestri e aeree, salvo poi lasciare il via libera. 

Purtroppo,  i rapporti già tesi tra la capitale irachena ed Erbil, roccaforte del Kurdistan, sono giunti al collasso definitivo tra il 16 e il 17 ottobre, distruggendo il sogno curdo d’indipendenza. Le forze militari di Baghdad, infatti, hanno condotto leggi tutto

Da Kirkuk a Raqqa e ritorno.

Tra domenica 15 e lunedì 16 ottobre 2017 le forze armate del Governo di Baghdad sono rientrate nella città di Kirkuk dopo anni di assenza: meglio, dopo essersi disciolte o ritirate di fronte all’avanzate delle forze dell’Organizzazione dello stato islamico in Iraq e in Siria (ISIS) che erano già entrate senza colpo ferire nella grande città irachena di Mosul, nell’estate del 2014. Da lì, i miliziani di quella che diventerà poi Organizzazione dello stato islamico (IS)si diressero verso nord, a Kirkuk, incontrando però la resistenza armata delle forze curde, che in Irak prendono il nome di peshmerga. Queste entrarono in città, ne presero i punti strategici tra cui i grandi, e antichi, giacimenti petroliferi, contravvenendo ad un accordo politico con il Governo centrale di Baghdad per cui solo le forze di sicurezza irachene, nazionali, potevano entrare armate nella città multi-“etnica” e multi-confessionale. La minaccia contingente di IS era comunque prioritaria rispetto alle rivalità pre-esistenti, per il momento. Una volta sconfitta militarmente IS,tornano però allo scoperto le divisioni tra chi deve governare la città: qui vivono comunità curde, arabe e turcomanne la cui entità è sempre stata oggetto di dispute e spostamenti, volontari e forzati, di popolazione nel corso degli ultimi decenni, ossia da quando leggi tutto

Il Nobel per la Pace all’ICAN: il disarmo nucleare globale in primo piano nel dibattito internazionale

Angela Santese * - 18.10.2017

Negli ultimi mesi il timore di un conflitto nucleare è tornato al centro dell’agenda politica internazionale, così come i tentativi, intrapresi sin dall’alba dell’era atomica, di abolire definitivamente il pericolo nucleare.

Il 6 ottobre, il Comitato norvegese ha difatti deciso di assegnare il Premio Nobel per la Pace 2017 alla Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari. L’ICAN, organizzazione ombrello costituita da 468 gruppi non governativi,operanti in 101 paesi, è stata fondata a Vienna nel 2007. I suoi promotori si sono ispirati alla campagna internazionale contro le mine degli anni Novanta che contribuì a creare un clima di opinione favorevole alla Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo firmata nel 1997. Sin dalla sua nascita, l’organizzazione con sede a Ginevra ha lavorato per rilanciare il dibattito pubblico internazionale sulla questione del disarmo, appannatosi dopo che i timori nucleari della Guerra fredda si erano attenuati grazie alla firma del trattato Inf del 1987 e alla caduta del muro di Berlino due anni dopo.

La Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari è riuscita a dare nuovo impulso agli sforzi a favore del disarmo nucleare, sia a livello di opinione pubblica internazionale sia nell’alveo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, esattamente 71 anni dopo l’adozione della prima risoluzione ONU in cui si sottolineava la necessità del leggi tutto

Il capo dei capi: Trump e la linea di comando nucleare statunitense

Dario Fazzi * - 07.10.2017

Qualche settimana fa si è spento nei dintorni di Mosca Stanislav Petrov, un ex ufficiale dell’aviazione sovietica che nel 1983 contribuì in maniera fondamentale ad evitare il possibile scoppio di una guerra nucleare. Mentre si trovava di guardia al sistema difensivo satellitare sovietico – quello che in pratica monitorava lo stato di allerta e operatività delle istallazioni nucleari statunitensi - Petrov scorse un segnale che lo avvisava dell’avvenuto lancio di ben cinque missili intercontinentali diretti verso l’Unione Sovietica. Era il 26 settembre e qualche settimana prima i russi avevano abbattuto un aereo di linea sudcoreano con a bordo un parlamentare statunitense. Una ritorsione americana, figlia dell’incidente e in linea con la retorica aggressiva di un presidente che aveva da poco pubblicamente definito l’Unione Sovietica come l’impero del male, era quindi del tutto plausibile. La linea di comando delle forze nucleari sovietiche, della quale Petrov costituiva un primo fondamentale tassello, avrebbe dovuto comunicare la notizia al segretario Andropov, sì da consentire ai vertici del Politburo di valutare le possibili reazioni alla minaccia, incluse quelle di tipo nucleare. Come raccontato in successivi diari e recenti volumi, Petrov decise tuttavia,e in maniera del tutto autonoma, di interpretare leggi tutto

22 anni dopo Dayton: Bosnia Erzegovina, il Paese che non c'è

Simona Silvestri * - 04.10.2017

La guerra è finita, andiamo in pace? A guardare la Bosnia Erzegovina di oggi la risposta è tutt'altro che positiva, nonostante le due decadi trascorse da quel 21 novembre 1995, quando gli Accordi di Dayton posero fine a uno dei conflitti più sanguinosi dalla Seconda guerra mondiale, dando il via a uno tra i fallimenti più clamorosi della politica internazionale del Novecento.

Quel giorno, sotto la supervisione delle potenze mondiali, Slobodan Milošević, Franjo Tuđman e Alija Izetbegović – presidenti dei tre gruppi nazionali coinvolti nel conflitto, serbo, croato e bosgnacco - misero la parola fine a cinque anni di violenza e sangue, aprendo la strada a una pace fallace e problematica.

Oggi la Bosnia Erzegovina paga ancora a caro prezzo le decisioni di Dayton, a cominciare dalla suddivisione del Paese sulla base dell'appartenenza nazionale, che di fatto accettò, ratificandoli, i risultati della pulizia etnica realizzata tra il '91 e il '95. Da un punto di vista politico, i veri vincitori di Dayton furono quei partiti nazionalistici causa della guerra, usciti dal conflitto rafforzati e trasformatisi rapidamente in classe dirigente senza colpo perire. Un gruppo dirigente senza troppi scrupoli, che ha saputo sfruttare a suo favore l'ingestibilità amministrativa della struttura tentacolare costruita dagli Accordi, che all'interno di leggi tutto

Conquista storica per le donne tunisine: la libertà di sposare un non musulmano.

Leila El Houssi * - 20.09.2017

Una grande conquista quella ottenuta dalle donne tunisine il 14 settembre scorso. Il Ministero della giustizia ha finalmente decretato la caduta della circolare 216 del 1973 che impediva a una donna tunisina musulmana di sposarsi con un non musulmano. La Presidente dell'associazione tunisina delle donne democratiche (ATFD) ha affermato che si tratta di una vittoria vera e propria per le donne. Un provvedimento che si realizza dopo il discorso pronunciato dal presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi il 13 agosto scorso, in occasione della Festa della Donna in cui annunciava di voler raggiungere l'uguaglianza dei sessi dettata dalla Costituzione promulgata nel 2014, tramite una commissione di studio, assicurando l'uguaglianza uomo-donna nel diritto ereditario e, il matrimonio tra una tunisina e uno straniero non musulmano. A favore del discorso del presidente si era schierato anche l'Ufficio del Mufti della Repubblica.

Com'è noto la Tunisia, già all'indomani dell'indipendenza nazionale ottenuta nel 1956 aveva promulgato un codice di statuto personale all'avanguardia. Tra le innovazioni più importanti introdotte  ricordiamo l’abolizione della poligamia. Nel giustificare l’abolizione della poligamia l'allora Presidente della Repubblica Habib Bourguiba leggi tutto

Da rivoluzionario a senza patria: Saakashvili e le battaglie perse per la democrazia

Nicola Melloni * - 09.09.2017

Nelle ultime settimane è tornato a circolare tra i media internazionali il nome di Mikhail Saakashvili – già presidente georgiano dopo esser stato alla guida della cosiddetta rivoluzione delle rose, e già governatore della regione di Odessa, in Ucraina, dopo la rivolta di piazza Maidan a Kiev. L’ineffabile politico cosmopolita è riuscito nell’impresa di perdere la cittadinanza ucraina che gli era costata in precedenza quella georgiana, e rimanere così apolide, ormai più personaggio in cerca di autore che rivoluzionario in cerca di una causa.

Saakashvili si è fatto immediatamente sentire, accusando il governo di Kiev di cospirazione politica dopo aver fatto lo stesso con quello di Tblisi qualche anno fa: a suo parere Poroshenko avrebbe tradito gli ideali libertari di Maidan e si sarebbe sentito minacciato dal carisma e dalla popolarità dello stesso Saakashvili.

La vicenda ha i contorni dell’opera buffa ma invita aduna riflessione più seria su alcuni dei regimi politici post-Sovietici che circondano la Russia e che a tornate periodiche si affacciano sui nostri giornali.  Proprio Saakashvili è stato il primo interprete di quelle rivoluzioni colorate che, nella mente di commentatori e analisti, sarebbero dovute essere il compimento di quelle iniziate, e mai finite, nel 1989.

In effetti, se in Europa Orientale, pur tra leggi tutto

Alla ricerca di un “vincitore”

Luca Tentoni - 02.09.2017

Alle prossime elezioni regionali siciliane e alle "politiche" del 2018 assisteremo alla consueta disputa sull'interpretazione del voto. Ne avremo tre: quella degli esperti, tendenzialmente avalutativa e basata su molteplici criteri; quella della stampa, mirante a semplificare e a proclamare vincitori e sconfitti; quella dei partiti, che cercheranno a far propria l'interpretazione - fra tutte quelle proposte - per loro più lusinghiera, dunque vantaggiosa. Il problema della valutazione dei dati fa parte ormai del gioco politico: si può dire che è la fase supplementare della campagna elettorale, perchè - a livello di comunicazione - non basta (si può dire: talvolta non è neppure necessario) vincere ma bisogna trasmettere - inverare mediaticamente - l'immagine della propria affermazione. Ecco perchè occorre tenere distinta, nella lettura dei risultati da parte dell'opinione pubblica e della stampa, l'analisi scientifica operata dagli esperti da quella politica, veicolata dai partiti. Poichè talvolta i dati possono essere confrontati e analizzati prendendo come riferimento precedenti diversi (in ordine di tempo o di tipo della competizione) o campi particolari (territorio, condizione socio-culturale, PIL, classi di età) o privilegiando alcuni risultati (il numero dei seggi o dei voti in percentuale, per esempio) rispetto ad altri (i voti assoluti, l'incremento o il decremento in voti anzichè in percentuale) può capitare che si ingeneri leggi tutto

Il disarmo nucleare globale è a portata di mano, ma dipende tutto dall’Olanda

Dario Fazzi * - 05.08.2017

Lo scorso sette luglio i paesi membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno firmato un trattato che li impegna ad astenersi dallo sviluppo, dalla sperimentazione, dalla produzione, dall’acquisto, dal possesso e dall’accumulo di armi nucleari. Si tratta del primo vero e proprio accordo legalmente vincolante volto a mettere al bando in maniera permanente le armi nucleari, inclusi gli arsenali atomici già presenti sulla scena internazionale. L’ambizioso trattato è il risultato più rilevante di oltre un decennio di campagne promosse da vari gruppi transazionali e non governativi quali il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa,l’ICAN, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, PAX, un’organizzazione a carattere ecumenico erede di quel Comitato Interconfessionale per la Pace che fu tra i gruppi più attivi nelle proteste contro gli Euromissili dei primi anni Ottanta, ma anche da leader religiosi, politici, scienziati e accademici provenienti da ogni parte del mondo.

 

L’ambizione e la portata del trattato lo rendono un esempio pressoché unico nella lunga storia dei negoziati nucleari. Uno dei principali obiettivi dell’accordo, infatti, è quello di superare leggi tutto

L’accordo libico

Giovanni Parigi * - 02.08.2017

L’accordo raggiunto a La Celle Saint Claud tra Fayez alSarraj, premier del Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli, e Khalifa al Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico con base a Tobruk, rappresenta sicuramente un passo avanti verso la stabilizzazione libica. Senonchè, il percorso di pace deve ancora attraversare un lungo percorso minato da numerose incognite e questioni irrisolte, che rischiano di comprometterne l’esito.Insomma, Parigi canta vittoria ma la crisi libica è tutt’altro che risolta.

 

Di certo, la Francia ha sfruttato la sua spregiudicatezza politica, che la ha vista sostenere ufficialmente al Sarraj, ma nella pratica appoggiare al Haftar. Ha sfruttato inoltre la nomina a rappresentante ONU per la crisi libica di Ghassan Salamè, un politico libanese legato a filo doppio e stretto a Parigi; infine, Macron ha approfittato dei recenti mutamenti della situazione politica internazionale e di quella militare libica.

 

Infatti, l’accordo è maturato proprio quando cominciavano a circolare voci di una possibile apertura americana ad Haftar; in altri termini, è verosimile che Parigi abbia avuto luce verde da Washington, spazientita dal protratto insuccesso di al Sarraj e desiderosa di chiudere il dossier libico. Secondariamente, l’accordo è maturato immediatamente dopo una serie di vittorie militari di Haftar, che ha strappato Bengasi agli islamisti, leggi tutto