Ultimo Aggiornamento:
30 novembre 2024
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Argomenti

Perché la morte del pescivendolo in Marocco può essere l’inizio di una nuova Primavera

Francesca Del Vecchio * - 05.11.2016

Migliaia di persone scendono in piazza affollando le vie di Casablanca e Rabat. È la nuova Primavera araba, gridano alcuni attivisti dei diritti umani intervistati dalla Bbc. Tra le braccia alzate s’intravede qualche cartello con la scritta: «Siamo tutti Mouchine». Dietro questa sollevazione popolare c’è la tragica storia di un pescatore trentenne, Mouchine Fikri, morto schiacciato da un cassonetto ad al-Hocheima - una delle principali città della regione del Rif, nord del Paese - dopo un controllo di polizia andato male. Venerdì scorso, le forze dell’ordine gli avevano confiscato tonnellate di pesce spada - la cui pesca, in questo periodo, è vietata - scatenando le ire del venditore e di alcuni suoi colleghi. Tutti si sono scagliati, come in un assalto, sul camion della spazzatura su cui era stata gettata la merce requisita. Purtroppo, questo gesto disperato d’impeto e ira non ha tenuto conto delle conseguenze: la pressa per lo smaltimento si è messa in moto schiacciando il corpo del pescatore. Le grida «assassini» all’indirizzo dei poliziotti hanno innescato una protesta - inizialmente locale - continuata nelle ore e nei giorni successivi anche attraverso i social: migliaia di Tweet, scioperi e centinaia di cortei di piazza che da venerdì 28 ottobre non si arrestano.

Resta a guardare preoccupato leggi tutto

La Siria e noi: perché armare (con prudenza) i ribelli e aiutare (molto di più) i curdi

Bernardo Settembrini * - 02.11.2016

Mentre sembra finalmente avviata l’offensiva per liberare Mosul – che ha rappresentato il Godot inutilmente atteso della vicenda mediorientale degli ultimi due anni – le forze governative siriane, con l’appoggio determinante russo, continuano ad applicare ad Aleppo la “tattica Grozny”: sconfiggere i ribelli radendo al suolo le parti della città da questi controllate. Si tratta di due vicende che è bene trattare distintamente.

La prospettiva di una tregua che possa alleviare le sofferenze di Aleppo appare purtroppo irrealistica. La ragione è semplice: Putin e Assad stanno vincendo e non hanno alcun interesse a stipulare un cessate il fuoco. Per questo se si vuole, nel medio termine, far tacere le armi, occorre che, nell’immediato, USA e occidentali armino i ribelli fino a consentire loro di rovesciare il fronte (o, in alternativa, di evacuare la città per non far soffrire ulteriormente i civili e organizzare altrove una forte controffensiva). A quel punto di fronte allo stallo Putin come gli altri “padrini” di Assad, gli iraniani, si convinceranno a trattative di pace serie (Assad seguirà o sarà sostituito da uno dei suoi generali).

Di fronte a questa proposta due sono le possibili obiezioni, una fondata, l’altra assai meno. Parto da quella fondata: l’opposizione al governo siriano è oramai egemonizzata da forze fondamentaliste; leggi tutto

La guerra infinita in Sud Sudan

Sara De Simone * - 29.10.2016

Il 25 ottobre, Amnesty International ha diffuso un rapporto che documenta le uccisioni indiscriminate, gli stupri e i saccheggi commessi dall’esercito governativo in Sud Sudan durante l’ondata di violenza che a luglio si è scatenata nella capitale Juba. Il rapporto raccoglie le testimonianze di donne e ragazze prevalentemente di etnia nuer che sono state vittime di atrocità commesse negli ultimi mesi.

Eventi come quelli documentati dal rapporto di Amnesty costituiscono una realtà tristemente quotidiana in Sud Sudan da almno due anni. Dopo un breve periodo di pace dopo la fine della guerra col Sudan nel 2005, durante il quale il Paese ha ottenuto l’indipendenza, il neo-nato stato è ripiombato nella guerra civile a dicembre 2013. Con più di 700 vittime in soli tre giorni di combattimenti a Juba, gli scontri si sono estesi al resto del paese assumendo rapidamente una connotazione etnica, in linea con la storia di militarizzazione dell’etnicità della regione sud sudanese.

Già durante la guerra civile contro Khartoum, infatti, il movimento ribelle Sudan People Liberation Army (la cui ala politica, il Sudan People’s Liberation Movement è poi diventato partito di governo) aveva dovuto fronteggiare numerose defezioni e rivolte, anche a causa leggi tutto

Dopo Mosul il diluvio?

Giovanni Parigi * - 26.10.2016

“La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana”

John Keats

 

 

Mosul, ovvero l’antica Ninive, è la seconda città più popolosa dell’Iraq; si trova nel nord, lungo le rive del Tigri, ed anche se a maggioranza araba e sunnita, era una sorta di microcosmo dove era molto forte la presenza di numerose minoranze etniche e religiose, come curdi, yazidi, turcmeni, shabak, caldei e assiri.

Nel giugno del 2014 cadde rapidamente nelle mani del Da‘esh, complici la neutralità, o persino il tacito appoggio, della popolazione sunnita nonchè l’estrema debolezza delle forze governative.

Oggi a difenderla sono rimaste poche migliaia di miliziani jihadisti, al massimo novemila. Dall’altra parte ci sono decine di migliaia di peshmerga curdi, unità dell’esercito iracheno e di quello turco, milizie sciite delle forze di mobilitazione popolare, milizie sunnite tribali locali, il tutto col supporto di americani, iraniani e truppe di quasi una ventina di altri paesi, compresa l’Italia. Per conquistare la città ci vorranno settimane, forse mesi, con il Da‘esh che si fa scudo con migliaia di civili, già contrattacca a Kirkuk e ha avuto più di due anni per fortificarsi.

Probabilmente però, il peggio verrà proprio quando l’ultima bandiera nera in città sarà ammainata, leggi tutto

“La virtualità sta uccidendo l’informazione”

Francesca Del Vecchio * - 22.10.2016

“Se il giornalismo vuole sopravvivere, deve abbandonare questo virtualismo e pensare a cos’è davvero una notizia. Altrimenti è destinato a morire”. È questo l’allarme di Silvia Finzi, Direttore del Corriere di Tunisi e presidente della sede locale della Dante Alighieri, nonché professore ordinario presso la Facoltà di Lingue e Letterature dell’Università di Tunisi. Cresciuta nel mondo del giornalismo e dell’editoria - suo padre Elia è stato fondatore e direttore del giornale fino al 2012, suo nonno Giulio, primo editore privato in Nord Africa - ha un’idea molto chiara della “malattia” che affligge l’attuale sistema dell’informazione.

 

Finzi, com’è cambiato l’approccio al giornalismo negli ultimi anni?

 

La gente legge sempre meno. Questo è un fatto. Un tempo, anche le persone di livello culturale medio-basso compravano il giornale. Adesso non lo compro più neanch’io, perché non ci trovo nulla in più rispetto a quanto trovo su internet. Non è una novità. Bisognerebbe, invece, indagare le cause.

 

Secondo lei, come è successo?

 

Il problema del giornalismo di oggi è l’eccesso di virtualismo. Provoca uno straniamento dalla realtà: l’annuncio di una bomba che fa migliaia di morti e leggi tutto

Dal Venezuela il nuovo ‘Papa Nero’.

Claudio Ferlan - 19.10.2016

Venerdì scorso, 14 ottobre, è stato eletto il nuovo generale dei gesuiti, il venezuelano Arturo Sosa Abascal. Tradizionalmente l’uomo al vertice della Compagnia di Gesù viene definito ‘Papa Nero’. A quel che ne sappiamo, l’espressione fu riportata la prima volta dal prete-scrittore francese Jean Hippolyte Michon, che in una novella del 1865 (Le Jésuite) aveva messo in scena proprio il rientro del generale Jan Roothaan a Roma dopo l’esilio seguito ai moti del 1848, acclamato dalla folla al grido di «Viva il papa nero». L’invocazione richiamava l’abitudine degli ignaziani di abbigliarsi in quel colore. A un bambino che chiedeva spiegazioni alla madre sul significato di quel saluto, la donna – stando alla penna di Michon – rispose: «È il papa nero, il vero papa».

 

Arturo Sosa, tra periferia e centro

 

Oggi che «il vero papa» è egli stesso un gesuita, questa distinzione suona stonata, ma è indubbio che il capo dei gesuiti ricopra un posto di rilievo per la vita della Chiesa. Arturo Sosa ha un altissimo profilo intellettuale e non è certo una novità per il generale della Compagnia di Gesù. Esperto di scienza politica, accademico di valore, conosce il mondo e l’arte di governare, come dimostrato dalla sua strada all’interno dell’ordine, in Venezuela prima e a Roma poi, leggi tutto

Aleppo e Mosul: Guerra Fredda e Proxy Wars

Giovedì 13 ottobre, il vice-Primo Ministro turco Numan Kurtulmuş ha dichiarato che le guerre per procura, o proxy wars, in Medio Oriente sono il segno del riemergere di un possibile scontro diretto tra le superpotenze della Guerra Fredda, cioè Stati Uniti d’America e l’odierna Russia. La guerra in Siria si sta trasformando in un conflitto regionale di più ampia portata, sempre a suo dire. Inoltre, alle tensioni relative alla sorte della città siriana di Aleppo si aggiungono ora quelle per Mosul in Iraq. Qui, da settimane il governo di Baghdad sta ammassando truppe dell’esercito regolare e delle milizie di “Mobilitazione popolare”, in larga parte sciite, in attesa dell’assalto finale alla roccaforte irachena dell’Organizzazione dello stato islamico (IS). Facendo eco alle monarchie del Golfo, il Premier turco Erdogan ha minacciato “fuoco e fiamme” se la città verrà occupata da truppe sciite e non da quelle sunnite, e intanto ha mobilitato l’esercito turco al confine con l’Iraq e alcune milizie irachene sunnite che sostiene da tempo. Il governo vacillante di Baghdad respinge le accuse al mittente e chiede il ritiro di alcuni contingenti turchi presenti nel nord dell’Iraq, ufficialmente a difesa delle comunità turcomanne. Per la precisione, queste ultime si sono divise tra il sostegno o meno alla stessa IS. leggi tutto

L'empasse istituzionale Congolese, solo la punta dell'iceberg

Alessandro Soggiu * - 15.10.2016

L'1 Settembre si è aperto, a Kinshasa – capitale della Repubblica Democratica del Congo – un tavolo negoziale per traghettare il paese verso le elezioni, allora prospettate per la fine di Novembre 2016, ma già spostate a “data da definirsi” nel 2018, stando alla CENI (Commissione Nazionale Indipendente per le Elezioni), che denuncia una mancanza cronica di fondi. Il “Dialogue national et inclusif” - nelle stesse parole del Presidente congolese Joseph Kabila quando propose alle opposizioni un round di negoziati per l'organizzazione di elezioni “free and fair” - ha da subito sofferto molte defezioni da parte degli esponenti più in vista dell'opposizione stessa. Se si potesse indicare soltanto uno dei moltissimi movimenti che si muovono nell'area “anti-kabilista”, è forse corretto rappresentare una parte dell'opposizione congolese con il cosiddetto “Rassemblement”, un raggruppamento dei principale partiti “storici” all'opposizione, primo fra tutti l'UDPS (l'Union pour la Démocratie et le Progrés Social) di Étienne Tshisekedi, già Primo Ministro nel 1993 nello Zaïre di Mobutu, e sconfitto alle ultime elezioni congolesi del 2011. Al suo fianco c'è Moïse Katumbi, ex-governatore della regione del Katanga (nel Sud-Est del paese), passato dalle file del Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Démocratie (PPRD) – il partito di Kabila, facente parte dell'MP (la Maggioranza Presidenziale) – leggi tutto

"Things are changin’?" Washington e le Filippine di Rodrigo Duterte

Gianluca Pastori * - 08.10.2016

Le provocatorie dichiarazioni del Presidente Duterte durante il recente vertice ASEAN di Vientiane offrono una buona occasione per fare il punto sullo stato dei rapporti fra gli Stati Uniti e le Filippine e – più in generale – sui cambiamenti che stanno interessando gli equilibri dell’Asia sud-orientale. Dopo il ridimensionamento del ‘pivot to Asia’ e le rinnovate tensioni con la Corea del Nord intorno all’apparentemente intrattabile dossier nucleare di Pyongyang, le intemperanze verbali di Duterte sono parse a molti una nuova dimostrazione della crisi che gli USA starebbero vivendo sulla scena internazionale. Da questo punto di vista, è valso poco che la Casa Bianca abbia annullato l’incontro che il Presidente Obama avrebbe dovuto avere con l’omologo filippino. La sfida di Duterte ha lasciato comunque l’impressione di un’America in difficoltà, tanto arrogante da volersi ingerirsi negli affari interno di uno Stato sovrano ma troppo debole per potere imporre effettivamente la propria volontà. E’ abbastanza difficile distinguere – nelle parole del Presidente filippino – quanto risponda a una logica di consenso interno e quanto a vera convinzione. Nei in questi primi mesi di mandato (l’insediamento ufficiale risale al 30 giugno scorso), Duterte si è segnalato per i ripetuti (e coloriti) attacchi non solo contro gli Stati Uniti, leggi tutto

Donne vittime di violenza: la morte di Amira in Algeria rianima il dibattito

Francesca Del Vecchio * - 01.10.2016

Era il 29 agosto, ore 8 del mattino. Amira Merabet, 34 anni algerina, veniva uccisa bruciata viva da suo marito. Allarmata dalle sue grida, una vicina di casa ha chiamato la polizia. Amira è arrivata al City Hospital in condizioni critiche, prima di essere trasferita all’University Hospital di Costantina, capitale della regione. Troppo tardi. Amira ha ceduto alla gravità delle sue ferite ed è morta poco dopo l’arrivo in ambulanza. Il suo aggressore, che è ancora in fuga, è ricercato dalla polizia. Nella cittadina di El Khroub, 390 km a nord di Algeri, la popolazione è sconvolta.

 

Questa non è solo la storia di Amira, ma l’ennesimo episodio di femminicidio che si aggiunge al numero elevatissimo di casi di violenza sulle donne nei paesi arabi. La società civile ha deciso di scendere in piazza perché questa mattanza finisca: a Costantina, Algeri, Orano e Bejaia, si sono tenute diverse manifestazioni di denuncia. "Le associazioni chiedono allo Stato di proteggere le donne che affrontano gli uomini che approfittano di loro impunemente", ha detto Hasina Oussedik, direttore di Amnesty International di Algeri, al settimanale indipendente Jeune Afrique.

 

Tra il 2014 e il 2015, le denunce depositate leggi tutto