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Lo scoglio libico
E’ bene non sottovalutare l’impatto che a questione libica potrebbe avere sulla navigazione del governo Renzi. Rischia di diventare uno scoglio piuttosto difficile da evitare, comunque la si inquadri.
Innanzitutto sta già facendo riemergere un pacifismo puramente ideologico che da qualche anno era entrato in sonno. Naturalmente torna il solito argomento fasullo della presunta violazione dell’articolo 11 della Costituzione che, secondo queste valutazione vieterebbe qualsiasi guerra che non fosse puramente difensiva contro un aggressione esterna. Non è così, perché il “ripudio della guerra” la riguarda “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e non è facile immaginare che opporsi all’avanzata dell’Isis offenda la libertà di qualche popolo, né che un tentativo di pacificare la Libia possa essere inquadrato come risoluzione di una controversia internazionale.
Il fatto è che la nostra Carta parlava di “guerra” nei termini in cui la si poteva concepire nel 1946-48 ed è curioso che quelli che ritengono che la definizione che essa dà della “famiglia” vada storicizzata a quel momento non ritengano necessario fare altrettanto per la nozione relativa alla guerra.
Ovviamente altra cosa è discutere se un intervento militare nel caos libico sia in grado di raggiungere i risultati di pacificazione del territorio a cui mira. leggi tutto
Epidemie e intervento umanitario: una lettura geografica del caso “Ebola” in Sierra Leone e nelle regioni di confine.
Abbiamo più o meno tutti seguito il diffondersi progressivo del problema della diffusione di ebola, una malattia insidiosa poiché di facile contagio e di difficile cura, che ha messo a dura prova non soltanto alcune regioni dell’Africa occidentale (Guinea, Sierra Leone, Liberia), ma l’intera umanità: l’impotenza disarmante di assistere ad una sciagura senza poterla fermare prontamente provoca stupore, sgomento, senso di fallimento.
In un’Africa in forte e veloce crescita economica, dove si stanno compiendo importanti passi avanti nel processo di sviluppo, rimane ancora marcato lo iato fra ricchezza (poca e mal distribuita) e povertà (molta e molto diffusa). Per tali ragioni, la sfida posta dalla risoluzione di un problema sanitario apre scenari complessi, poiché essa va inserita in un più ampio terreno di studio, che coinvolge inevitabilmente anche l’ambito economico, politico e sociale.
Non è per mera ironia della sorte il fatto che ebola si sia diffusa nelle stesse zone colpite dal dramma della guerra dei diamanti insanguinati e dei bambini soldato: sono vasti spazi di frontiera, zone di passaggio da uno Stato all’altro, povere di evidenti barriere istituzionali. Le regioni di confine, in Africa, sono spazi aperti, poiché i confini sono porosi e permeabili: al di qua e al di là di essi vivono gruppi etnici spesso imparentati, leggi tutto
Polpette di pesce avvelenate: nuove tensioni a Hong Kong
A dispetto di un inverno più freddo e lungo del solito, il clima politica dell’ex colonia britannica negli ultimi mesi si è progressivamente surriscaldato, andando a toccare nuove bollenti vette lunedì 8 febbraio, quando, in concomitanza con le celebrazioni per il capodanno cinese, una violenta rivolta contro la polizia si è sollevata nel quartiere popolare di Mong Kok, nella penisola di Kowloon. All’origine delle rivolta, vi è stata la controversa decisione della polizia di sgomberare dal quartiere i numerosi venditori ambulanti di jiu daan (polpette di pesce) e altri cibi da strada che affollavano Mong Kok durante il capodanno. La decisione presa dalle forze dell’ordine si poneva in contrasto con il tradizionale periodo di amnistia concesso dalle istituzioni locali per l’igiene pubblica ai venditori ambulanti durante le festività. Una rapida mobilitazione attraverso i social media della galassia di movimenti studenteschi e giovanili che hanno animato la cosiddetta “Umbrella Revolution” che sconvolse Hong Kong a fine 2014 ha quindi portato una folla di giovani nel quartiere, pronti a protestare contro la polizia. La protesta tuttavia è rapidamente degenerata in una notte di guerriglia urbana, con lancio di mattoni verso gli agenti e l’incendio dei cassonetti della spazzatura, e si è conclusa in tarda nottata con un bilancio di cinquanta feriti e cento arresti. leggi tutto
La (ri)comparsa di Yehoshua? Ha il fascino discreto di un romanzo imperfetto
«Durante l’ultima prova mi è sembrato che le corde della tua arpa abbiano prodotto un suono nuovo, più audace, quasi un ululato. Ma forse è stato un altro artista». È il ritratto di Noga, protagonista chiaroscurale e discreta di questo undicesimo romanzo di Abraham Yehoshua, edito da Einaudi: “La Comparsa”. Sono passati 38 anni da “L’amante”, opera prima dell’autore israeliano: testo che si impose all’attenzione della critica internazionale. “È nato uno scrittore”, si disse. Uno scrittore era effettivamente nato, e di prima grandezza. Ma di quel talento, di quell’urgenza narrativa, non restano che gli echi: i fantasmi di un artista sopraffatto dalla malinconia. Come la sua ultima eroina, del resto: anch’essa artista, anch’essa umbratile e incompiuta. Questa la trama: Noga, musicista israeliana approdata nella cosmopolita e libertaria Olanda, fa ritorno a Gerusalemme, per occupare la casa di una madre rimasta vedova. Qui scoprirà il cambiamento progressivo, e all’apparenza inesorabile, del Paese: l’avanzata silenziosa degli «uomini in nero», gli ultraortodossi; la distanza della realtà rispetto ai luoghi della memoria. Presenti, e talvolta prepotenti, tutti i temi del repertorio di Yehoshua: il rapporto fra genitori e figli, le relazioni irrisolte, la nostalgia verso una patria forse mai davvero esistita, il percorso sociale e politico dello Stato di Israele. leggi tutto
I grandi dell’Africa ad Addis Abeba per il Vertice dell’Unione Africana
Diritti umani, sicurezza, migrazioni, contrasto al radicalismo e situazione in Libia: questi i principali temi inseriti nell’agenda del 26° Vertice dell’Unione Africana che si è tenuto a fine gennaio ad Addis Abeba, in Etiopia. Tante le aspettative e altrettanti i problemi scottanti in discussione, dalla crisi del Burundi al terrorismo della nigeriana Boko Haram e della somala Al Shabaab. Poche purtroppo le decisioni e quasi tutte nella direzione di uno scostamento rispetto al percorso di depotenziamento delle violenze e del rafforzamento diffuso dei diritti umani.
È stato il presidente del Ciad, Idriss Déby Itno, designato nuovo presidente dell’Organizzazione regionale africana in sostituzione dell’anziano Capo di Stato dello Zimbabwe, Robert Mugabe, a far risuonare nella sala la profonda apprensione per la situazione in Burundi, un potenziale disastro di portata ben più vasta dei confini del piccolo Stato centroafricano. Già in dicembre le centinaia di migliaia di profughi, le sparizioni forzate e le uccisioni sommarie di oppositori del governo, giornalisti o attivisti, nonché la creazione di milizie armate, avevano indotto il Consiglio per la pace e la sicurezza (CPS) dell’Unione Africana a sancire l’invio in Burundi di una missione di peacekeeping di 5.000 unità per stabilizzare la situazione e proteggere i civili. Tuttavia, il mancato assenso del presidente burundese Pierre Nkurunziza aveva bloccato il dispiegamento e, alla vigilia del Summit, sembrava possibile che il consesso di alto livello dell’UA avrebbe tentato di imporre la decisione al Burundi. Tutt’altro ciò che si è verificato. leggi tutto
Ancora una volta.
Aleppo. Le notizie che giungono dalla Siria nelle ultime settimane mostrano un quadro militare in veloce trasformazione a fronte dell'immobilità sostanziale del quadro politico. Il governo di Damasco sta cercando di cingere d'assedio Aleppo, la seconda città della Siria e una volta centro economico e produttivo del Paese. I soldati dell'esercito siriano, assieme alle truppe iraniane e altre formazioni paramilitari alleate, sfruttano la potenza di fuoco dell'aviazione russa che da settembre attacca senza sosta principalmente le forze di opposizione armate: laici, islamisti. Ovviamente, a farne le spese sono principalmente i civili. Negli ultimi mesi sono riusciti a riconquistare e "mettere in sicurezza" le roccaforti governative sulla costa mediterranea. Successivamente, negli ultimi dieci giorni sono riusciti ad avanzare nelle campagne a ovest, sud ed est della città di Aleppo, riconquistando terreno tanto alle opposizioni armate quanto all'Organizzazione dello stato islamico. In questo modo, hanno tagliato una delle due linee di comunicazione e rifornimento della città di Aleppo con il confine turco. I portavoce del governo di Damasco tornano a parlare di vittoria, militare.
Il successo della controffensiva del fronte Damasco-Mosca-Teheran mostra la potenza, e finora l'efficacia, dell'integrazione tra aviazione e intelligence russa e truppe iraniane e siriane. Da un punto di visto organizzativo, e politico, riporta in auge il primato delle forze armate regolari rispetto alle milizie paramilitari, qui spesso comunitarie e confessionali, che dal 2014 all'autunno leggi tutto
Nessuna guerra è giusta, tranne… Star Wars, o le difficili parole delle nuove guerre (1).
«Siamo isolati, siamo disarmati»
«Non è come se stessimo per riaprire i rifugi antiaerei», ha dichiarato Henry Rousso in un articolo pubblicato da Le Monde all’indomani degli attentati di Parigi «ma gli europei si devono interrogare sulla loro capacità di organizzarsi per la nuova guerra e di viverla», anche a costo di richiamare dal passato esperienze che si pensavano seppellite, come l’idea del sacrificio di sé e la necessità di saper ricorrere alla violenza delle armi. Quella di Rousso, uno dei maestri riconosciuti tra gli storici dei conflitti novecenteschi e del totalitarismo, è stata una delle voci più lucide e incisive che si è levata nel disorientamento generale seguito alle stragi del 13 novembre. Mentre François Hollande proclamava ad una nazione spaventata che ci si trovava di fronte ad una nuova guerra, lo storico si interrogava su quali strumenti culturali avessero i francesi per affrontare la nuova prova. «Di fronte alla minaccia siamo isolati, siamo disarmati». E’ difficile dargli torto. Gli europei di oggi sono gli eredi della demilitarizzazione seguita all’apocalisse del 1945, quell’età post-eroica, per usare un’espressione di James Shehaan un po’ grossolana ma indubbiamente efficace, durante la quale armi e armati sono stati rimossi dalla quotidianità e dall’immaginario, anche se non dalla politica reale. leggi tutto
Prezzi del petrolio in discesa: opportunità e rischi
Un piccolo rimbalzo del prezzo del petrolio da 27 a 32 dollari tra venerdì 22 gennaio e inizio settimana non altera molto la condizione dei mercati dell’oro nero che hanno visto le quotazioni scendere dai quasi 110 dollari a barile toccati nel 2012-4 ai livelli del 1979. Come cambiano le prospettive dell’economia mondiale con un prezzo del petrolio tornato ai livelli di quasi 40 anni fa? Chi ci guadagna? Chi ci perde? E come saranno i prezzi nel futuro prossimo?
Iniziamo dall’ultima questione osservando che dal 2008 il consumo di petrolio nel mondo è cresciuto ad un misero tasso annuo dello 0.5%. Dal 2000 l’energia prodotta con le rinnovabili è cresciuta circa 15-16 volte e quella idroelettrica dal 2010 ha compensato con la sua salita la lenta discesa di quella nucleare. Le proiezioni dei consumi per i prossimi 15 anni, per quanto veritiere, ci danno tassi di crescita annuali del consumo di petrolio attorno allo 0.4%. A fronte di nuovi giacimenti scoperti soprattutto in Africa, produzione Usa di shale oil e ripresa estrazione in Iran le previsione di prezzi, a meno di conflitti di larghe proporzioni, sono piatte se non cedenti.
Per capire invece gli effetti del basso prezzo dell’energia, occorre muoversi per grandi aree. Nei paesi produttori del golfo persico le entrate fiscali provengono in gran parte dalle royalty su petrolio e gas esportati. Ad esempio, nel sultanato dell’Oman, petrolio e gas fanno il 72% del bilancio pubblico. leggi tutto
L’Africa centrale che sogna la pace
Pochi giorni fa il Programma Alimentare Mondiale (PAM/WFP) ha lanciato l’allarme attraverso le parole del vice direttore dell’Agenzia Specializzata dell’ONU, Guy Adoua. Nella conferenza stampa è echeggiata la stima secondo cui 2,5 milioni di persone nella Repubblica Centrafricana (RCA) si troverebbero in una “situazione di scarsa o grave insicurezza alimentare”. Poco più di un individuo su due tenendo conto che la popolazione del Paese sub-sahariano conta meno di 5 milioni di abitanti. Non si tratta di un allarme che sorprende il mondo della cooperazione: lo scorso anno una analoga verifica di emergenza sulla sicurezza alimentare in RCA aveva indicato un rischio per “appena” 1,5 milioni di persone, il 30% della popolazione. “Tre anni di crisi hanno stremato la popolazione della Repubblica Centrafricana, facendole pagare un tributo enorme” ha dichiarato Guy Adoua che ha portato doverosamente l’attenzione sulla ragione principale di tale disastro umanitario, ossia l’insicurezza diffusa. Secondo il rapporto, il raccolto del 2015 è stato povero dal momento che gli agricoltori non hanno potuto coltivare i campi, con centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire, abbandonando abitazioni, terre e mezzi di sostentamento.
Dal dicembre del 2012 nel Paese imperversa una guerra civile tra la fazione musulmana Séléka e i guerriglieri cristiani anti-Balaka. Un conflitto a lungo restato senza vie di uscita se non la fuga leggi tutto
Empowerment femminile, sviluppo e tutela dell’ambiente nel continente africano
Secondo le stime della Banca Mondiale, l’Africa ha conosciuto un’incredibile crescita economica nel corso dell’ultimo decennio (per quanto al momento si prevede che nel 2015 le performances del continente abbiano rallentato), con una crescita media del Pil che si protrarrà anche nei prossimi anni. Le cause di questa crescita sono da attribuire all’aumento della domanda interna ed estera, agli investimenti nelle infrastrutture e ai consumi privati, sostenuti dal basso prezzo del petrolio. Esistono comunque alcuni aspetti critici: anzitutto s è registrato un calo degli investimenti diretti esteri cinesi, inoltre si stima che le rimesse estere siano diminuite nel corso del 2015, probabilmente come conseguenza dell’apprezzamento del dollaro, e infine persistono situazioni di crisi politica e sanitaria nella regione che mettono a rischio non solo l’andamento dell’economia ma anche la pace e il benessere della popolazione.
Nonostante miglioramenti in alcuni paesi e in alcuni ambiti specifici, il continente africano continua a rimanere il fanalino di coda nelle statistiche del Rapporto sullo sviluppo umano ed è particolarmente vulnerabile alla sicurezza alimentare, come evidenziato nel Rapporto 2012 dell’UNEP dedicato allo sviluppo umano in Africa, dal titolo “Africa Human Development Report: Towards a Food Secure Future”. Lo studio evidenziava che la fame continua ad essere pervasiva in questa regione del mondo, nonostante un’abbondanza di risorse agricole, un clima favorevole leggi tutto