Ultimo Aggiornamento:
30 novembre 2024
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Argomenti

In nome dell’orrore. Lo scontro di civiltà fra Islam e Occidente esiste davvero?

Omar Bellicini * - 02.04.2016

Nuovo sangue, nuovi morti. Non sono ancora sfumate le odiose immagini degli attacchi a Bruxelles, Iskanderiyah e Lahore. Uomini, donne, ragazzini: incolpevoli comparse di una mattanza che non ammette giustificazioni. In un tempo come il nostro, che si nutre di oscenità come gli eccidi indiscriminati, le conversioni forzate, gli stupri sotto l’egida della legge e quant’altro possa partorire la fantasia di un carnefice che spaccia il sadismo per devozione, è importante comprendere cosa sia quel carneade di cui abbondano i riferimenti giornalistici, senza che i più abbiano nozione delle sue caratteristiche e dei sui significati: parliamo dell’Islam. Cos’è davvero questa forza, in nome della quale migliaia di persone accolgono una tetra vocazione al martirio? È un caso che il suo nome venga pronunciato a sostegno di crimini ed orrori? Posando l’occhio sulle pagine -mai troppo percorse- della Storia, ci rendiamo conto che pressoché ogni fede è stata occasione di slancio fanatico. Leggendo i libri sacri -tutti i libri sacri- ci accorgiamo che ognuno di essi può rappresentare una spinta verso il “bene” o essere una patente per i progetti più deplorevoli. Perché il Corano, non meno del Vecchio e del Nuovo Testamento, è prima di tutto un grande affresco, che incarna le molteplici espressioni dell’esperienza umana.  leggi tutto

La lunga prigionia di Palmira: cronaca di un sequestro

Francesca Del Vecchio * - 31.03.2016

«Palmira è libera». Dopo dieci mesi sotto il dominio dell’Isis, la Città ha visto allontanarsi le bandiere nere del califfato. La mattina del 27 marzo l’esercito del presidente siriano Bashar al-Assad ha sconfitto le ultime sacche di resistenza, infliggendo un potente colpo alle truppe di al-Baghdadi. La conquista del sito Patrimonio dell’Unesco, da parte dei jihadisti, era avvenuta nel maggio scorso, quando lo Stato Islamico ne aveva assunto il controllo, utilizzandola come base strategica per gli attacchi contro Damasco.

La portata strategica del successo conseguito dagli uomini di Assad non è inferiore rispetto alla sua rilevanza simbolica: la cacciata dei fondamentalisti oltre a permettere un percorso meno insidioso verso Raqqa, baluardo dell’Isis, consente di alleggerire la pressione su Deir-ez-Zor, centro vicino al confine iracheno, controllato al 60% dai terroristi islamici.

Gli eventi degli ultimi dieci mesi parevano volerci preparare allo spettacolo cui avremmo assistito dopo la cacciata delle milizie del califfo: abbiamo visto la distruzione dell’Arco di trionfo di Palmira e del tempio di Baal Shamin. E poi la decapitazione di Khaled Asaad, archeologo e storico direttore del complesso.  Sembrava abbastanza. Ma il volo del drone sulle rovine ha raccontato uno spettacolo ancor più desolante: una creatura maestosa e solenne mutilata e abbandonata in un’inesauribile distesa di sabbia e rocce. “Palmira appare in condizioni meno disastrose di quanto ci si potesse aspettare” avrebbe dichiarato alla stampa Maamoun Abdulkarim, direttore delle antichità siriane. leggi tutto

Tra le cause dei conflitti in Africa i nostri cellulari

Donata Frigerio * - 26.03.2016

In Africa si contano numerosi conflitti di carattere economico, per lo sfruttamento delle risorse naturali, legnami, terre coltivabili, materie prime come il petrolio e i minerali preziosi. In Sierra Leone è scoppiata nel 1991 una violentissima guerra, terminata nel 1999, per la gestione delle miniere di diamanti. E’ stato coniato allora il termine “diamanti insanguinati” per definire i diamanti provenienti da aree di conflitto. A seguito della guerra nel 2000 il World Diamond Council promulgò il Kimberly Process, approvato dall’ONU, per la certificazione di provenienza dei diamanti.

Ora assistiamo ad una guerra altrettanto devastante per l’accaparramento a buon prezzo di minerali indispensabili alla tecnologia informatica (ma non solo). Nelle regioni dell’Est della Repubblica Democratica del Congo da più di vent’anni si combatte una guerra che ha già provocato almeno 8 milioni di morti (l’Alto Commissariato per i Diritti umani ONU ha pubblicato nel 2010 un Rapporto Mapping sui crimini più gravi commessi tra il 1993 ed il 2003) in grandissima parte civili, donne e bambini compresi.
In quelle regioni lo stupro è arma di guerra, con tutte le conseguenze sanitarie, civili, sociali, che ne conseguono.

Tutto ha avuto inizio con il genocidio del 1994 in Rwanda e con un picco di richieste di tali minerali per la produzione delle prime play station. leggi tutto

L’Europa davanti al terrorismo islamista

Paolo Pombeni - 24.03.2016

Non è semplicemente una questione di terrorismo quanto sta succedendo, perché il terrorismo islamista ha caratteristiche peculiari. In Europa ci sono stati nei decenni passati altri tipi di terrorismo, basti citare quello basco e quello nordirlandese, per non risalire a quello verificatosi negli anni Sessanta nel Sudtirolo/Alto Adige. Si trattava però di un’altra cosa: erano vicende storiche, molto meno cruente, con un obiettivo chiaro e facilmente identificabile per quanto discutibile come giustificazione di azioni violente da guerriglia. Avevano come bersaglio uno specifico “nemico”, cioè un potere politico che veniva considerato, lasciamo stare al momento se a torto o a ragione, il responsabile di uno stato di cose che avrebbe potuto essere cambiato solo che si fosse “vinto”. Nei casi citati si trattava di rivendicazione di movimenti indipendentisti.

Certo più complesso da inquadrare il terrorismo fra anni Settanta ed anni Ottanta del secolo scorso degli estremismi di destra e di sinistra. In quel caso l’obiettivo era assai vago, il cambio di regime, lo si chiamasse o meno rivoluzione. Una meta utopica, ma almeno in astratto raggiungibile e già raggiunta in alcune circostanze in un passato non molto lontano.

L’obiettivo del terrorismo islamista è invece così globale e catastrofista da essere del tutto sfuggente. A che cosa mirano i programmatori e gli esecutori delle stragi di cui siamo testimoni? leggi tutto

Il welfare è la miglior risposta al terrorismo: il caso olandese.

Dario Fazzi * - 24.03.2016

Ad oggi, i cittadini belgi di religione islamica sono all’incirca settecento mila persone. In termini relativi si tratta grossomodo della stessa percentuale di musulmani che vivono nei Paesi Bassi, attorno al 6% dell’intera popolazione. A Bruxelles circa il 26% dei residenti si professa di fede musulmana, una proporzione non del tutto dissimile a quella presente in città quali Rotterdam (25%) e Amsterdam (24%). In entrambi i paesi, le principali componenti etniche all’interno della comunità islamica sono quelle turche e marocchine e, tanto in Belgio quanto in Olanda, tali comunità si concentrano maggiormente nei contesti urbani. Demograficamente, dunque, si tratta di due situazioni abbastanza omogenee e relativamente comparabili tra loro.

 

Sebbene i Paesi Bassi non siano stati attraversati, almeno finora, da attentati della portata di quelli occorsi di recente a Parigi e Bruxelles, il processo di radicalizzazione di alcune componenti della comunità islamica olandese è un fenomeno diffuso nel paese, ben noto alle autorità locali e legato a doppio filo a forti interessi criminali. Secondo le forze di polizia olandesi, infatti, nel paese opererebbero circa trecento gruppi criminali a connotazione islamica che sarebbero non soltanto molto ben armati e violenti ma anche molto ben strutturati e in grado di gestire leggi tutto

Missione compiuta. Ma quale missione?

Mosca, Damasco, Aleppo.

 

L’annuncio del ritiro del grosso del contingente militare russo dalla Siria ha preso di sorpresa la maggior parte delle diplomazie e dei commentatori internazionali. Nella stessa Russia la decisione è giunta inaspettata e ha lasciato spazio a sollievo come a perplessità. In Siria le reazioni pubbliche variano dal sollievo, alla preoccupazione allo scetticismo.

Il dispiegamento iniziale come questo ritiro parziale mostrano bene come l’obiettivo reale dell’intervento militare di Putin in Siria fosse quello di riportare il governo di Damasco e l’esercito siriano su posizioni di forza, e dunque respingere le offensive delle forze di opposizione che minacciavano al Assad fino a Settembre 2015. Secondo Mosca, il ri-equilibrio delle forze in campo e la messa in sicurezza del proprio alleato devono portare comunque ad una soluzione negoziata e di compromesso tra le parti: l’importante, però, è negoziare da una posizione di forza relativa, se non assoluta.

Mosca non cercava una vittoria totale di Damasco sulle opposizioni, che sarebbe sancita dalla riconquista dell’intera città di Aleppo. Del resto, i militari russi ne hanno constatato la difficoltà: i loro attacchi siano stati sì efficaci per la riconquista di villaggi, territori e rotte strategiche; si pensi all’entroterra vicino a Lattakia, al nord di Aleppo che collega i ribelli direttamente con la Turchia. leggi tutto

Da Pio XII a Francesco. Lo sguardo di Hans Küng sui sette Papi della sua vita

Claudio Ferlan - 05.03.2016

Uscito nella versione tedesca per l’editore Piper il 10 agosto 2015, il nuovo libro di Hans Küng è stato recentemente (febbraio 2016) pubblicato in traduzione italiana con il titolo “Di fronte al Papa. La mia vita nella Chiesa da Pio XII a Francesco”. Come spesso accade, esigenze editoriali hanno suggerito una modifica del titolo originale “Sette Papi. Come io li ho vissuti”, più fedele al contenuto, dal momento che il noto teologo svizzero non è stato propriamente sempre “di fronte” ai Papi. Basti pensare a Giovanni Paolo II, che gli revocò la missio canonica (ovvero l’investitura della Chiesa cattolica a poter insegnare nel suo nome) e che rifiutò sempre di incontrarlo.

Il libro riprende e integra la corposa autobiografia di Küng, composta di tre volumi nell’edizione tedesca (“Libertà conquistata”; “Verità contestata”; “Umanità vissuta”) e di un unico tomo – approvato dall’autore – in quella italiana, ancora Rizzoli, intitolato “Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo”. Così come nelle memorie, anche nel raccontare i rapporti personali e nell’esprimere le proprie considerazioni sui Papi della sua vita, Küng dimostra la raffinata capacità di parlare di sé e degli altri mantenendo una costante attenzione al contesto storico, solidamente radicata su di una conoscenza continuamente in divenire grazie allo studio, all’esperienza individuale e a una non ordinaria capacità di lettura dell’attualità. leggi tutto

Nessuna guerra è giusta, tranne…Star Wars, o le difficili parole delle nuove guerre (2)

Novello Monelli * - 05.03.2016

Guerre Stellari, o l’ultima incarnazione dello spirito di crociata

 

Per quasi quarant’anni, la saga di Star Wars è stata una riserva pressoché intoccabile per la messa in scena della lotta tra bene e male, e per tutti i riutilizzi possibili in chiave di sfruttamento a fini politici. E questo non perché la materia a cui fece ricorso Lucas ai tempi della trilogia originale fosse meno che complessa. A differenza di ciò che viene comunemente creduto, regista e produzione non avevano alcun interesse a generare una metafora fantascientifica della guerra fredda. Le fonti di ispirazione dell’universo fantastico degli Jedi erano molteplici, dai Templari alla guerra di indipendenza americana fino alla storia della repubblica romana del I secolo a.C. Per non parlare del fatto che le prospettive degli autori erano molto complesse dal punto di vista ideologico, come è stato ricostruito da una prolifica bibliografia, l’ultimo capitolo della quale è stato scritto probabilmente nel 2013, quando Nancy Reagin e Janice Liedl hanno messo insieme una pattuglia di storici appassionati del tema nel volume Star Wars and History. L’Impero intergalattico ha molto più che a fare con la Germania nazionalsocialista che con l’Unione Sovietica, sia come inquietante modello per il suicidio consapevole di una democrazia in crisi pronta a scivolare verso l’autoritarismo, sia per l’estetica della narrazione. leggi tutto

Lo scoglio libico

Paolo Pombeni - 03.03.2016

E’ bene non sottovalutare l’impatto che a questione libica potrebbe avere sulla navigazione del governo Renzi. Rischia di diventare uno scoglio piuttosto difficile da evitare, comunque la si inquadri.

Innanzitutto sta già facendo riemergere un pacifismo puramente ideologico che da qualche anno era entrato in sonno. Naturalmente torna il solito argomento fasullo della presunta violazione dell’articolo 11 della Costituzione che, secondo queste valutazione vieterebbe qualsiasi guerra che non fosse puramente difensiva contro un aggressione esterna. Non è così, perché il “ripudio della guerra” la riguarda “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e non è facile immaginare che opporsi all’avanzata dell’Isis offenda la libertà di qualche popolo, né che un tentativo di pacificare la Libia possa essere inquadrato come risoluzione di una controversia internazionale.

Il fatto è che la nostra Carta parlava di “guerra” nei termini in cui la si poteva concepire nel 1946-48 ed è curioso che quelli che ritengono che la definizione che essa dà della “famiglia” vada storicizzata a quel momento non ritengano necessario fare altrettanto per la nozione relativa alla guerra.

Ovviamente altra cosa è discutere se un intervento militare nel caos libico sia in grado di raggiungere i risultati di pacificazione del territorio a cui mira. leggi tutto

Epidemie e intervento umanitario: una lettura geografica del caso “Ebola” in Sierra Leone e nelle regioni di confine.

Filippo Pistocchi * - 03.03.2016

Abbiamo più o meno tutti seguito il diffondersi progressivo del problema della diffusione di ebola, una malattia insidiosa poiché di facile contagio e di difficile cura, che ha messo a dura prova non soltanto alcune regioni dell’Africa occidentale (Guinea, Sierra Leone, Liberia), ma l’intera umanità: l’impotenza disarmante di assistere ad una sciagura senza poterla fermare prontamente provoca stupore, sgomento, senso di fallimento.

In un’Africa in forte e veloce crescita economica, dove si stanno compiendo importanti passi avanti nel processo di sviluppo, rimane ancora marcato lo iato fra ricchezza (poca e mal distribuita) e povertà (molta e molto diffusa). Per tali ragioni, la sfida posta dalla risoluzione di un problema sanitario apre scenari complessi, poiché essa va inserita in un più ampio terreno di studio, che coinvolge inevitabilmente anche l’ambito economico, politico e sociale.

Non è per mera ironia della sorte il fatto che ebola si sia diffusa nelle stesse zone colpite dal dramma della guerra dei diamanti insanguinati e dei bambini soldato: sono vasti spazi di frontiera, zone di passaggio da uno Stato all’altro, povere di evidenti barriere istituzionali. Le regioni di confine, in Africa, sono spazi aperti, poiché i confini sono porosi e permeabili: al di qua e al di là di essi vivono gruppi etnici spesso imparentati, leggi tutto