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01 maggio 2024
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Argomenti

“Il simpatizzante”: storie da un altro Vietnam

Giovanni Bernardini - 04.03.2017

Il Vietnam dellaguerra civile, dell’ultima resistenza imperiale francese e del disastrosointervento statunitense, della liberazione nazionale e dei sordidi giochi di Guerra Fredda, il Vietnam dell’“Agent Orange”, del sentiero di Ho Chi Minh tra giungle impenetrabili, dei boat people in fuga, vive ormai da decenni una vita autonoma in quanto luogodell’immaginario collettivo. In modo sempre più indipendente dalle reali dinamiche storiche, la vicenda vietnamita ha assunto i caratteri allegorici dello scontro tra Davide e Golia, o tra civiltà e barbarie, in una connessione sempre più labile con la realtà storica di uno degli scontri più anomali, lunghi e sanguinosi del XX secolo. L’evidenza che la principale fucina di tante raffigurazioni sia da sempre la bulimica e onnipotente Hollywood, con il suo inesauribile arsenale di dollari e fantasia, ha condotto al paradosso per cui il Vietnam del grande schermo coincide di volta in volta con la proiezione delle speranze, degli incubi, dell’eroismo e delle delusioni del “secolo americano”. Il risultato evidente è una colonizzazione (intenzionale o meno che sia) dell’immaginario collettivo a uso e consumo di un pubblico per sua natura globale. Il risultato paradossale è che, per la prima volta, a scrivere la storia di un conflitto sono stati e sono “gli sconfitti”: leggi tutto

Da Rabat a Tunisi: Uno sguardo sul Maghreb

Leila El Houssi * - 22.02.2017

All’indomani delle Primavere arabe, il quadro regionale del Nord Africa, in particolare l’area del Maghreb, ha subito importanti trasformazioni.  In Tunisia, Algeria e Marocco si sono registrati cambiamenti rilevanti dal punto di vista sociale, politico ed economico.

Nel febbraio 2011, in Marocco aveva preso forma un movimento popolareprevalentemente giovanile, “Movimento 20 febbraio”, il quale rivendicava riforme costituzionali che limitassero parzialmente il potere del Re, maggiore libertà di espressione e la liberazione dei prigionieri politici. Richieste che Muhammad VI ha in parte esaudito promuovendo una revisione della Costituzione approvata con il 98.5% dei consensi il 1 luglio 2011 in un referendum consultivo. Tra le novità introdotte nella Carta ricordiamo il riconoscimento legale dell’uguaglianza di genere, della lingua berbera Tamazigh come seconda lingua ufficiale dopo l’arabo e un’importante cambiamento relativo alla figura del Re non più definito “sacro” ma “inviolabile e degno di rispetto”. La prontezza della monarchia nelle riforme, per quanto invero limitate, ha consentito al Marocco di evitare una lacerazione tra i manifestanti e il potere come quella che si è registrata in altri contesti.

Oggi il Marocco sta vivendo un momento di stallo politico leggi tutto

Il Grande Iran di Giuseppe Acconcia

Francesca Del Vecchio * - 18.02.2017

Mentre il Medioriente è una polveriera, e gli Stati Uniti certo non svolgono il ruolo di paciere, c’è un Paese che, neanche troppo silenziosamente, raduna le idee per affrontare una nuova fase della sua storia. Stiamo parlando dell’Iran, che il prossimo 19 maggio sceglierà il suo ottavo presidente (il primo dopo la rivoluzione khomeinista venne eletto nel 1980 con la costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran). Dopo la morte dell’ex presidente Hashemi Rafsanjani, leader dei riformisti - di cui fa parte l’attuale presidente Hassan Rohani - e figura di spicco del post khomeinismo, le tensioni tra conservatori e riformisti si sono inasprite. Alle prossime elezioni, i primi faranno di tutto per impedire la rielezione del presidente uscente, artefice del compromesso sul nucleare. Anche l’uscita di scena di Mahmud Ahmadinejad dai giochi ha destabilizzato gli equilibri sul tavolo: ancora non ci sono certezze sul nome del futuro candidato conservatore.

Alla luce del ruolo che l’Iran ricopre, non solo in Medioriente ma anche nei rapporti internazionali, è fondamentale conoscere questo Paese. Giuseppe Acconcia, giornalista salernitano collaboratore di diverse testate italiane, ha realizzato l’impresa di raccontare l’Iran senza sensazionalismi; senza l’approccio orientalista tanto inviso a Said. Il libro, edito da Exòrma Edizioni, leggi tutto

Cosa cambia per l'Europa all'ONU dopo la Brexit

Lorenzo Ferrari * - 11.02.2017

L'idea di assegnare all'Unione europea un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU circola da qualche decennio. È una fantasia che è stata spesso animata dall'Italia – soprattutto per bloccare altri più concreti progetti di riforma dell'ONU – ma che ha naturalmente raccolto anche le speranze dei federalisti. L'Europa sarebbe così diventata a pieno titolo un soggetto politico sulla scena internazionale, in grado di farsi valere e di esprimersi con una sola voce sulle grandi questioni del momento.

La Comunità europea in quanto tale iniziò a essere un soggetto riconoscibile all'ONU durante gli anni Settanta, quando fu ammessa come osservatore permanente all'Assemblea Generale e quando i suoi stati membri cominciarono a coordinare le loro posizioni in quasi tutti gli organi delle Nazioni Unite. La sola eccezione era costituita dal Consiglio di Sicurezza, di cui facevano parte Regno Unito e Francia in maniera permanente e quasi sempre un terzo stato CE in maniera temporanea. Nonostante le richieste dei partner, i due membri permanenti si rifiutarono sempre di portare al Consiglio di Sicurezza posizioni “europee” concordate con gli altri stati membri.

La coordinazione europea sulle questioni leggi tutto

Sono solo sparate di Trump?

Gianpaolo Rossini - 08.02.2017

Trump non perde tempo e dà corso al suo programma più velocemente di qualsiasi altro presidente americano di epoca recente. In economia chiude il negoziato per il trattato di libero scambio nel Pacifico. Attacca Cina, Giappone e Germania accusandole di manipolare i cambi e minaccia dazi doganali. Su un altro fronte nomina alla corte suprema un giovane giudice schierato sul fronte antiabortista che daràuna impronta duratura all’alta corte Usa dato che la nomina è a vita. Sta sbagliando su questi due fronti Trump? O dà corso ad una reazione ormai inevitabile a situazioni deteriorate sfuggite di mano?

Iniziamo dall’economia. Nel corso della storiatensioni e guerre feroci scoppiano per squilibri nei conti con l’estero. Non di rado i paesi cercano di risolvere i  loro guai finanziari con l’estero facendo guerra a chi ha concesso loro credito. La guerra dell’oppio del 1839 è dichiarata dall’impero britannicoalla Cina nei confronti della quale ha un debito insostenibile. La Cina esporta manufatti di qualità e risparmia troppo. L’Inghilterra di Lord Palmerston non regge la concorrenza dell’impero celeste ed è meno formica. Cosa possono vendere gli inglesi alla Cina per colmare il divario? Visto che il made in UK non piace non resta che l’oppio prodotto nei possedimenti reali di Tailandia e Afganistan. leggi tutto

Il Marocco torna a far parte dell’Unione Africana

Miriam Rossi - 08.02.2017

Decisione storica al 28esimo vertice dei capi di stato e di governo dell’Unione Africana (UA) che si è tenuto dal 22 al 31 gennaio ad Addis Abeba, in Etiopia. Il Marocco torna ufficialmente a far parte dell’UA dopo ben 33 anni di separazione: era infatti il 1984 quando re Hassan II, padre dell’attuale sovrano del regno alawita, decise di abbandonare il seggio dell’allora Organizzazione dell’Unità Africana in segno di protesta per l’ammissione della Repubblica Democratica Araba Sahrawi (RASD). Secondo Rabat, tale ammissione era in conflitto con il principio di “non interferenza” e di “rispetto dei confini” degli Stati membri, posti a fondamento dell’Organizzazione. Come noto, il riconoscimento di quello che per il Marocco è uno pseudo-Stato appariva inaccettabile politicamente e aveva indotto alla “decisione dolorosa” di lasciare l’Organizzazione: una decisione che voleva esercitare evidenti pressioni internazionali per una scelta di campo nell’annosa questione ma che fu promossa mediaticamente come un atto coscienzioso per “evitare la divisione dell’Africa”. Non sfugge però che solo 20 Paesi dei 54 membri dell’UA riconoscono ancora oggi la RASD, con ambasciate saharawi in Nigeria, Algeria, Sudafrica, Etiopia, leggi tutto

Un nuovo bipolarismo (imperfetto)

Luca Tentoni - 28.01.2017

L'ipotesi che, dopo le prossime elezioni politiche, la destra lepenista di Salvini e Meloni si allei col M5S per formare un governo appare improbabile. Alcune convergenze in materia di politica estera, immigrazione e soprattutto sull'euro spingono alcuni a ritenere che ci sia spazio per una collaborazione. Forse, però, la situazione è diversa. Mentre nel 2013 avevamo visto il bipolarismo della Seconda Repubblica lasciare il posto al tripolarismo (centrodestra, centrosinistra, M5S), oggi appare chiaro che la distinzione principale - almeno quella percepita da parte non irrilevante dell'elettorato - è pro o contro l'euro e l'Unione europea: una sorta di nuovo bipolarismo, molto imperfetto. La contrapposizione destra-sinistra perde forza se abbiamo da un lato un partito che "si chiama fuori" da questa distinzione (il M5S) e dall'altro due blocchi che dovrebbero essere compatti e contrapposti, ma che in realtà non lo sono (nell'ex centrosinistra lo strappo fra il Pd e le forze di sinistra radicale è ben lungi dall'essere ricucito; nel centrodestra le distanze fra Forza Italia e Lega-FdI, a maggior ragione dopo l'elezione di Tajani alla guida dell'Europarlamento e la vittoria di Trump negli USA, si accentuano anzichè ridursi). Oggi il partito di Berlusconi è più vicino al PPE, alla Merkel e persino al Pd di Renzi di quanto lo sia rispetto agli alleati lepenisti italiani. leggi tutto

First ladies e diplomazia. Un lungo passato dal futuro incerto

Dario Fazzi * - 28.01.2017

Nel marzo del 1972, nel corso di una intervista a Monrovia, in Liberia, Thelma “Pat” Nixon descrisse quello della first lady come il “il più duro lavoro non pagato al mondo”. La costituzione degli Stati Uniti infatti non prevede alcun incarico ufficiale néforme di emolumenti per le first ladies, la cui funzione si basa sostanzialmente su una tradizione le cui origini risalgono a Martha Washington e alla cultura alto-borghese anglosassone di fine settecento.

 

Eppure, per quanto informale, la posizione della first lady resta molto influente nel sistema socio-politico statunitense, ben al di là di quelle che una volta Betty Ford descrisse come “chiacchiere da letto.” Pare infatti che il presidente Andrew Johnson ritenesse l’opinione di sua moglie molto più valida e autorevole di quelle di numerosi consiglieri. Sarah Polk era indispensabile segretaria, consigliera politica e confidente del marito. Per molti, la vera deus ex machina dietro l’amministrazione Taft era Helen, moglie del presidente. L’impegno politico di Eleanor Roosevelt e il suo rivoluzionario impatto sull’immagine pubblica della first lady hanno caratterizzato questa figura sino ai tempi di Michelle Obama.

Quello che è interessante notare è che spesso le first ladies hanno avuto un ruolo di primo piano anche nella conduzione della politica estera statunitense. In particolare, leggi tutto

C’è bisogno di “buona” politica, non di una politica “bella”

Mattia Baglieri * - 21.01.2017

Justin Trudeau fino ad oggi pareva un leader impeccabile: di successo, capace, in Canada, di riportare alla vittoria i liberali dopo un lungo mandato conservatore guidato da Stephen Harper, ma soprattutto di bell’aspetto, con il coraggio di posare senza veli e di esibirsi in flessioni e addominali nelle aule parlamentari, in una politica sempre più attenta a “fare colpo” sull’elettorato attraverso gli effetti speciali.

 

Ma la politica del consenso attraverso la “bellezza”, il fare colpo in maniera sensazionalistica e chiacchierata si nutre di un consenso volatile e che può essere facilmente eroso nel momento in cui si verifichi la tendenza ad uno iato tra i valori che si professano e le azioni che si compiono. Senz’altro queste leadership che giocano abilmente sull’ostentazione di sé, ammiccando l’occhio alle riviste patinate e cercando pedissequamente il flash dei fotografi, non possono che apparire più pacate, più rispettabili e, ovviamente, meno pericolose rispetto alle leadership strillate, che giocano sul consenso di pancia e non sedimentato, su quella che viene chiamata “politica della paura” (pensiamo a Marine Le Pen in Europa o al partito Hindutvà in India). Sono di questo tenore la maggior parte delle leadership liberali di oggi, ma queste leadership, attirando su di sé i riflettori quasi volontariamente, leggi tutto

Papa Francesco e i problemi di oggi. Nuovi approcci?

Loris Zanatta * - 18.01.2017

Il discorso del Papa al corpo diplomatico era molto atteso e non ha deluso. La Santa Sede dirà, come deve dire, che non ci sono novità nelle parole di Francesco, che la dottrina è quella eterna, che il Vangelo è la guida. Eppure delle novità ci sono eccome e infatti tutti le hanno notate. Per chi, come me, è sempre stato molto critico del Pontefice, sono novità importanti e positive. Verrebbe da dire che Francesco fa sue talune obiezioni ricevute da tanti critici: non ci sarebbe niente di male, anzi gli farebbe onore. Ma non è il caso di cercare il pelo nell’uovo.

Quali sono le novità? E come si spiegano?  Della prima novità si erano in realtà già avute alcune anticipazioni. Ora è conclamata e riguarda l’immigrazione. Il Papa ribadisce con forza il valore evangelico dell’accoglienza, ci mancherebbe. Ma più di quanto mai avesse fatto prima, dimostra di avvertire gli immani problemi che ad essa si associano. Da ciò la sibillina frase: occorre garantire “il diritto di ogni essere umano di immigrare in altre comunità politiche”, senza però che queste “sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali”. La botte piena e la moglie ubriaca, insomma. leggi tutto