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Libero scambio Europa – Giappone: un patto con tante luci e qualche ombra
E’ in dirittura d’arrivo il patto di libero scambio tra Unione Europea e Giappone. Presentato al G20 di Amburgo dal presidente della Commissione Ue e dal premier del Giappone Abe. Dovrà in seguito essere approvato da Consiglio, Parlamento europeo nonché ratificato dai parlamenti nazionali che intendono esprimersi secondo quanto stabilito in maggio dalla corte di giustizia della Ue. Con questo accordo Giappone ed Europa si avvicinano mettendo ordine in un commercio non sempre facile ma in espansione e che vede il Giappone in perenne surplus. L’accordo non è una reazione alla cancellazione dei negoziati per l’area di libero scambio nel Pacifico da parte di Trump. I negoziati iniziarono infatti nel 2013 ed è prevista anche una possibile alleanza strategica (Strategic Partnership Agreement) su questioni come l’ambiente, la sicurezza e la collaborazione in caso di disastri. L’accordo commerciale tra Ue e Giappone prevede un abbattimento progressivo dei dazi doganali, un’apertura, anche questa graduata su diversi anni, a molti beni che oggi semplicemente non entrano in Giappone, un riconoscimento simultaneo di gran parte delle denominazioni d’origine per prodotti del settore agroalimentare - di grande interesse per l’Italia - l’apertura reciproca degli appalti pubblici alle imprese delle due aree e forme di convergenza tecnica normativa in numerosi settori. leggi tutto
Chi ha paura del protezionismo?
Le politiche commerciali riguardano norme, imposte (dazi) e agevolazioni su esportazioni ed importazioni di beni e servizi di un paese. Il Trattato di Roma cancella le politiche commerciali nazionali e attribuisce la materia alla Commissione UE. Nel 1957 l’Italia ha un interscambio - Import + export - sul Pil pari al 30% (nel 2016 è quasi il 50%). C’è più specializzazione: un settore che esporta molto importa poco e viceversa, mentre oggi ogni comparto esporta ed importa molto. Negli anni ‘50 scarsi sono i servizi scambiati, limitati al turismo. Le imprese fanno in casa gran parte dei beni intermedi invece di comprarli o produrli ai quattro angoli del pianeta come avviene oggi. Poche multinazionali sono presenti in limitati settori manifatturieri. Oggi sono tante, medie e grandi, in tutti i settori, servizi compresi. Per questo nel 1957 non trova opposizione il trasferimento delle politiche commerciali dalle capitali europee a Bruxelles, con un dazio unico sulle importazioni extra Ue e zero dazi intra Ue. Ne risulta un’unione doganale con libertà di movimento delle persone (perfezionata con Schengen nel 1995) e delle attività finanziarie (massima nell’aera euro) in un mondo di tassi di cambio fissi e trascurabili flussi finanziari internazionali privati.
Molto è cambiato in sessant’anni. Soprattutto la profondità della integrazione internazionale ridimensiona strumenti di leggi tutto
"Generazione Erasmus": l'Europa dei giovani?
L'anno in corso segna il trentesimo compleanno del programma Erasmus (felice acronimo, data la coincidenza col nome del grande intellettuale e umanista olandese, dell'importante programma della UE, European Region Action Scheme of Mobility of University Students), compleanno che molte università anche da noi ricordano vantando, giustamente, i dati in costante crescita della mobilità studentesca fra le università europee. Il programma in questione in materia di istruzione e cooperazione fra le diverse sedi universitarie, ai fini di promuovere la mobilità fra docenti e studenti d'Europa, era stato accompagnato, per parte almeno del suo cammino (circa dalla metà degli anni novanta del secolo scorso alla metà del primo decennio del nuovo secolo) dal programma di azione comunitaria in materia di istruzione Socrates. Assumendo anche in questo caso il nome di uno dei massimi filosofi d'Occidente a faro-guida di una istruzione e di una formazione che sempre più si prospettava dover necessariamente andare oltre le barriere dei confini nazionali, Socrates metteva bene in rilievo l'ambizione di voler sviluppare un'Europa della conoscenza. La finalità di fondo è di rispondere meglio alle grandi sfide del nuovo secolo promuovendo l'istruzione ad ogni livello e l'accesso ad essa da parte di leggi tutto
Migranti e Europa: la fiera delle ipocrisie
Che la questione delle ondate dei migranti che investono l’Europa fosse una bomba ad orologeria è stato detto e scritto più volte: ciò che stupisce è la fiera di ipocrisie che si è scatenata per far finta di essere tutti buoni e lasciare invece marcire la questione.
Partiamo dal rinvio al codice del mare di Amburgo che impone il salvataggio dei naufraghi e il loro sbarco nel porto più vicino. Tutti fingono che le masse umane che attraversano con mezzi precari il canale di Sicilia o i mari greci siano paragonabili ai “naufraghi” che sono vittime di disgrazie più o meno accidentali. Ovviamente quel tipo di naufraghi, per così dire classico, sono persone che hanno un loro radicamento e che, una volta salvati come è doveroso, torneranno a quello. L’obbligo di farli sbarcare nel porto più vicino è una regola per evitare che le navi che operano i salvataggi per non avere intralci nei loro programmi se li portino dietro fino ai loro approdi definitivi, rallentando e complicando il ritorno dei naufraghi alla loro vita normale.
Evidentemente non è questo il caso delle masse di migranti disperati, che una volta sbarcati non hanno alcuna intenzione di tornare alla loro vita precedente. Gli stati europei, sempre più leggi tutto
Un ritratto di Helmut Kohl
Il «più giovane e il più alto» dei cancellieri della Repubblica di Bonn. Così venne salutata dalla stampa tedesco-occidentalel’investitura a capo del governo di Helmut Kohl, cinquantaduenne leader cristiano-democratico, nell’ottobre 1982. Helmut Kohl era natoa Ludwigshafen, in Renania-Palatinato, il 3 aprile 1930.Apparteneva a una nuova generazione di politici tedeschi che non poteva più essere colpevolizzata per ciò era accaduto durante il regime nazista; lo ricordò con orgoglio lo stesso Kohl una volta salito al potere. Non ancora quarantenne, venne eletto ministro-presidente del suo Land, mentre nel giugno 1973 subentrò a Rainer Barzel come presidente della Cdu. Sfruttòil periodo all’opposizione per riorganizzareil partito, optando per una politica centrista e adoperandosi per ricomporre le fratture interne che si erano consumate nel dibattito sulla Ostpolitik. Considerato l’esponente di un gruppo più liberale e moderno, nel giugno 1975 Kohl venne designato candidato alla Cancelleria, in vista delle elezioni federali dell’anno successivo. «Volevo diventare cancelliere»,scrive Kohl nelle sue memorie. Tuttavia, per realizzare il suo obiettivo Kohl dovette aspettare ancora sei anni, quando nel 1982 riuscì a subentrare al cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt in seguito a un voto di sfiducia costruttiva promosso congiuntamente dai cristiano-democratici e dai liberali.
Non vi è dubbio che l’elevazione postuma di Kohl a statista di leggi tutto
Il voto radicale
I risultati delle recenti elezioni inglesi meritano qualche riflessione. Come sottolineato da quasi tutti i commentatori, il grande vincitore (politico e morale, anche se non elettorale) della tornata è stato Jeremy Corbyn. Dopo quasi due decenni di arretramento il Labour ha fatto un significativo balzo in avanti, passando dal 30 al 40%, ritornando ai livelli pre-guerra in Iraq, un risultato superato negli ultimi trent’anni solo dal primo Blair nel 1997.
Eppure, durante i 2 anni della sua segreteria e fino a poco più di un mese fa, Corbyn era dato per spacciato, il distacco dai Conservatori rischiava di essere di oltre 20 punti, il suo stesso partito era in costante rivolta contro il segretario. Come si spiega dunque il successo del Labour?
C’è chi sostiene sia stato l’effetto degli attentati di Manchester e Londra. E chi attribuisce le colpe a Theresa May, la cui campagna elettorale è stata timida, impacciata, inadatta. Per quanto questi elementi abbiano un fondo di verità, non raccolgono in pieno la novità rappresentata da queste elezioni: non sono stati i Conservatori a perdere le elezioni – in fondo questi ultimi hanno aumentato i propri voti – quanto piuttosto il Labour a vincerle.
I motivi di questo successo van ricercati proprio in quello che i commentatori leggi tutto
Il ritorno di Berlusconi?
Ammettiamolo, Berlusconi è un formidabile uomo di spettacolo: sa sempre come entrare in scena e come far concentrare su di sé i riflettori. Così quando ha fiutato che le elezioni amministrative avrebbero segnato un punto a favore del centrodestra si è affrettato a tornare in pista per non farsi sfuggire l’occasione di essere nuovamente al centro dell’attenzione.
Tutto però non è una semplice questione di spettacolarizzazione della presenza di un personaggio a cui il narcisismo non ha mai fatto difetto. C’è anche il fiuto politico di chi sa cogliere gli umori dell’opinione pubblica e le debolezze dei suoi avversari. Bisogna vedere se il fiuto è infallibile come lo fu in passate occasioni, ma escluderlo a priori sarebbe sbagliato.
Cosa ha intuito Berlusconi? A nostro avviso tre cose. La prima è che una certa quota del paese ha di nuovo paura di finire in mano al radicalismo (lui lo chiama “comunismo”, ma è solo perché il termine è più intuitivo per la gente). Può essere quello di Salvini, rispetto al quale può però presentarsi nelle vesti del domatore che lo terrà al guinzaglio. E’ molto più quello dei Cinque Stelle, che suscitano preoccupazioni perché non si capisce dove vogliano andare a parare, ma si capisce al tempo stesso
Al lavoro, Signor Presidente!
Come si era detto la scorsa settimana (http://www.mentepolitica.it/articolo/il-primo-turno-delle-legislative-2017-ovvero-la-assegno-in-bianco-firmato-a-macron/1186), quello nelle mani di Macron dopo il primo turno delle legislative assomigliava più ad un “assegno in grigio” che ad un “assegno in bianco”. Ebbene i risultati definitivi, dopo il secondo turno, hanno confermato questa impressione.
La République en marche ottiene la maggioranza assoluta, ma è ben lontana dai 400 seggi annunciati. Il successo è ottimo, l’autonomia è totale anche dagli alleati centristi del Modem di Bayrou (42 deputati), ma nulla a che vedere con i 484 seggi ottenuti nel 1993 da RPR e UDF, né con i 365 seggi ottenuti dalla maggioranza di Chirac nel 2002.
Bisogna poi aggiungere che mai maggioranza così netta è stata espressa dal voto di così pochi elettori. Al secondo turno l’astensionismo è aumentato di un altro 6%. Quasi 6 elettori su 10 non si sono recati alle urne e, fatto altresì significativo, il 9% di quelli che hanno deciso di recarvisi ha scelto di votare bianco o nullo.
Fatte queste premesse, siamo di fronte all’Assemblée nationale più radicalmente rinnovata della Quinta Repubblica. Nemmeno nel 1958 si era arrivati alla quota di 434 nuovi eletti su 577 deputati. Cresce notevolmente il leggi tutto
Dalla Francia con amicizia: come ripensare la politica democratica?
Fra gli innumerevoli commenti che cercano di individuare le ragioni dello straordinario successo di Macron e del partito da lui fondato, mettendo rapidamente fuori causa forze politiche assai consolidate e di lunga tradizione, si stanno facendo strada anche alcune interessanti analisi che puntano l'accento sugli elementi anticonflittualisti e sulla volontà di fare appello a un progetto comune per la società francese nel suo insieme. L'idea di una République rinnovata e in cammino, nella salda cornice d'Europa, proposta dal giovane leader francese, sarebbe stata premiata dagli elettori anche nel segno di una nuova appartenenza collettiva, per dar corpo alla quale donne e uomini dell'era post-ideologica si sono sentiti chiamati in causa nel segno di un progetto comune. L'elettorato si sarebbe largamente riconosciuto in un programma orientato alla prospettiva unificatrice di una politica dell' et-et, punendo sia da destra che da sinistra programmi basati invece sull'idea di una politica dello scontro muscolare e dell' aut-aut. Agli albori della modernità un grande pittore come Ambrogio Lorenzetti, nel suo celebre affresco sulla Allegoria del buon governo del Palazzo pubblico di Siena, aveva rappresentato la concordia fra i cittadini come elemento caratterizzante del buon governo stesso: possibile che ora, dopo secoli di affermazione della modernità leggi tutto
Il primo turno delle legislative 2017 ovvero l’assegno in bianco firmato a Macron
Se si osservano le reazioni dei principali media italiani (meno quelli francesi in realtà) il primo turno delle elezioni legislative non è stato altro che la conferma del trionfo del 7 maggio. E da un punto di vista numerico probabilmente dopo il secondo turno di domenica prossima il successo del giovane presidente francese sarà imponente. Le stime, piuttosto realistiche, parlano di almeno 400 deputati per La République en marche!, ben più dei 289 necessari per avere la maggioranza assoluta.
È certo possibile porsi qualche domanda su solidità ed esperienza del nuovo personale che siederà all’Assemblea nazionale. Allo stesso modo ci si può interrogare sull’astensionismo record: domenica 11 giugno più di un francese su due ha deciso di non recarsi alle urne. Resta però che la debacle dei due partiti cardine della Quinta Repubblica e i risultati con più scuri che chiari di estrema destra ed estrema sinistra sono evidenti.
Per quanto riguarda il PS l’impressione è la conferma di ciò che si era già tratteggiato a fine aprile dopo il primo turno delle presidenziali. Si è chiusa la lunga sequenza apertasi ad Epinay nel 1971 e dominata dalla figura di François Mitterrand. L’hollandismo, se interpretato in quest’ottica, è stato solo il tentativo di perpetrare quel modello e di unirlo leggi tutto